Tutto questo ti darò, di Dolores Redondo: recensione del Premio Bancarella 2018

Tra i tanti romanzi da lui scritti, Manuel non avrebbe mai creduto possibile che la storia più intricata della sua vita fosse opera di suo marito Álvaro.

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Preferite le bugie o le mezze verità?

Per amore, Álvaro ha scelto le prime; Manuel, con il cuore a pezzi, avrebbe preferito le seconde.

Dolores Redondo è l’autrice di Tutto questo ti darò, un bestseller internazionale da oltre 300mila copie in Spagna che quest’anno si è portato a casail Premio Bancarella.

Il romanzo, definito un literary thriller, ci porta nelle meravigliose terre della Galizia al cospetto di una famiglia dallo stampo aristocratico con un’anima costantemente tormentata dai propri errori.

Manuel è uno scrittore che non ama mettere sé stesso in ciò che scrive, perché farlo significherebbe spogliarsi delle proprie debolezze e metterle su carta alla mercé di tutti. Soltanto una volta è riuscito a farlo e, a detta di suo marito Álvaro, quello è risultato essere il suo romanzo migliore.

A distanza di anni, Manuel deve affrontare una nuova perdita:Álvaro è morto in quello che sembra essere un incidente stradale e che, invece, risulterà essere qualcosa di più. Non è soltanto la perdita a devastare lo scrittore, ma i misteri che d’improvviso spuntano fuori come funghi velenosi e che mettono in dubbio la purezza di quell’amore tanto professato da Álvaro.

Il dolore provocato dal dubbio è un acido che corrode.

Con una narrazione delicata, e avvalendosi di una descrizione ammaliante del territorio, la Redondo ci porta al cospetto di una famiglia d’altri tempi, il cui titolo aristocratico determina ogni loro scelta di vita, anche la più meschina.

C’era una volta la bestia in un castello

Per quanto se ne respiri l’aria, non siamo nel Medioevo né nei primi anni del Novecento. La Galizia descritta in Tutto questo ti darò è una terra che si fa carico di meraviglie quando ha a che fare con la natura circostante, ma che distrugge il proprio idillio con i segreti delle persone che la popolano.

La mela più marcia del reame, agli occhi di Manuel, è la famiglia Muñiz de Dávila a cui rispondeva il nome di Álvaro, suo marito. Un dettaglio di cui Manuel viene a conoscenza soltanto in seguito alla sua morte accidentale: Álvaro è un nobile e Manuel non crede di conoscere più ciò che resta, nel suo cuore, di suo marito.

Peccato che il titolo aristocratico sia l’ultimo dei suoi problemi: la famiglia Muñiz de Dávila è ostile, rancorosa ea tratti quasi indifferente alla perdita di un loro membro. I personaggi sono costellazioni di debolezze, dipinte dall’autrice come piccole tessere di un puzzle che ha difficoltà a ricomporsi senza quell’ultimo pezzo collante che era Álvaro.

Mi sembra che per questa famiglia tra la versione ufficiale e la verità ci sia sempre un abisso, o sbaglio?

Mentre Manuel è convinto che i segreti di Álvaro l’abbiano allontanato dalla sua vera essenza, Álvaro dal suo canto ha tentato di occultare quella vita il cui retrogusto passato stentava ad andar via. Álvaro ha cercato di mettere le distanze tra il dovere e il piacere, l’obbligo e la scelta, l’odio e l’amore, tra la famiglia assegnatagli e quella che si era cercato.