Torna l'inconfondibile pennellata di Haruki Murakami: la recensione de L'assassinio del Commendatore

Un misterioso quadro, un matrimonio in bilico e un milionario dai fini oscuri: Haruki Murakami torna con (la prima parte di) un romanzo dalla mole e dall'ambizione di grande formato. Ecco la recensione de L'assassinio del Commendatore.

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Haruki Murakami è tornato. Non che si sia mai preso una pausa vera e propria, beninteso: d'altronde neppure il romanziere capace di bruciare tirature da milioni (milioni!) di copie in poche settimane può sottrarsi alla dura legge del mercato editoriale giapponese. Un paese di lettori forti richiede di essere continuamente sostentato dalle grandi firme come dagli esordienti, non importa che si parli di letteratura alta o bassa, di opere minori e capolavori meditati. Il dietro le quinte dei ben informati racconta di autori e autrici noti a livello internazionale affiancati da assistenti che ne coadiuvano la vita di tutti i giorni, affinché il sensei possa scrivere il più possibile.

I due Murakami - Ryū e Haruki - hanno preso a spallate la rigidità dell'impiantito letterario giapponese a partire dagli anni '80. Il risultato è una rivoluzione praticamente invisibile in Occidente, dove la separazione tra opere alte e basse di grandi autori come Mishima, Akutagawa e Kawabata è sostanzialmente sconosciuta. Invece in Giappone è sopravvissuta e prosperata fino all'arrivo dell'opera dei due scrittori omonimi e ribelli, talvolta iconoclasti, che ha di fatto scardinato questa rigida divisione tra alto e basso, commerciale e artistico.

Se l'autore di Blu quasi trasparente attende da tanto (troppo) tempo una ristampa degna di nota del suo libro di culto - praticamente introvabile in Italia - se la passa decisamente meglio Haruki Murakami, le cui novità editoriali sono un evento a livello internazionale. Italia inclusa, dove si è vissuto con grande trepidazione l'arrivo della sua ultima fatica, o per meglio dire, della sua prima parte della sua nuova opera.

L'assassinio del Commendatore: una scelta editoriale

L'assassinio del Commendatore è l'ultima, ambiziosa opera di Haruki Murakami ad arrivare nelle librerie giapponesi. Dopo alcuni romanzi brevi, one shot e contributi vari per riviste e raccolte, l'imponente tomo dell'autore giapponese si presenta comeun ritorno in grande stile, un'opera ambiziosa come non se ne vedevano dalla pubblicazione di 1Q84. Nel Sol Levante il romanzo è stato proposto in due volumi racchiusi in un cofanetto; una confezione molto amata dallo stesso Murakami, che volle far uscire con la medesima veste anche la prima edizione di Norwegian Wood, nel lontano 1987.

Per gli editori occidentali si è posto quindi il problema dicome presentarel'edizione tradotta al pubblico già scalpitante in tempi brevissimi: assoldare più traduttori per consegnare entrambi i volumi in un'unica uscita o dilazionare l'arrivo in libreria della seconda parte? Come spiegato su Twitter, Einaudi ha optato per questa seconda scelta, in modo che l'adattamento sia curato nella sua interezza da una delle traduttrici dal giapponese più note e amate in Italia, grande esperta dell'opera di Haruki Murakami: Antonietta Pastore.

Quello che troverete in libreria è dunque il libro primo, laprima parte del romanzo. L'edizione inglese è invece uscita in un'unica soluzione a cura di più traduttori. Per la stessa costruzione del romanzo, pur lasciando alcuni punti in sospeso, il libro primo del dittico risulta una lettura soddisfacente, che pone i grandi misteri del romanzo e li porta tutti a (sovra)naturale compimento, in attesa del secondo atto. Quindi la scelta di Einaudi risulta tutto sommato vincente.

L'assassinio del Commendatore: la trama

Murakami probabilmente odierebbe sentirmelo dire, ma L'assassinio del Commendatore rientra chiaramente nella sua produzione "alta": è la stessa magnitudo della premessa a suggerire un lavorio più intenso del solito, una sfida che impegna tutta l'abilità e la concentrazione dell'autore di Kafka sulla spiaggia. Per una volta ci allontaniamo dalle metropoli notturne giapponesi e finiamo in una vallata circondata dai monti, in cui l'oceano appare metallico, appena visibile in uno squarcio tra montagne. A condurre il protagonista lontano dalla sua routine e dal setting tipo del suo autore è l'improvvisa einspiegabile crisi del suo matrimonio, comunicata dalla moglie con l'atonalità del dato di fatto, dell'aneddoto irrilevante.

Incapace di reagire, di individuare i segnali della crisi e di immaginare il proprio futuro, l'uomo abbandona la capitale, sale in macchina e percorre l'Arcipelago in lungo e in largo. Il protagonista ricerca una solitudine selvaggia, da consumarsi come un'escursionista che vive in tenda o negli squallidi alberghetti delle città costiere, nel tentativo di ritrovare un punto fisso. Ad autovettura e autista ormai esausti, arriva l'offerta inaspettata di un amico: una casa tra i monti, l'atelier di un pittore ormai anziano affittato a prezzo di favore. Essendo a sua volta pittore e trovandosi a mettere in discussione la sua arte - piegata tempo addietro a esigenze economiche e matrimoniali - il protagonista accetta l'offerta e si rintana nei pressi di Odawara, dividendosi tra lezioni di pittura agli allievi locali, i pomeriggi pigri tra le braccia delle sue amanti e l'ispirazione che proprionon arriva.

Ci siamo già ampiamente inoltrati in questa nuova foresta norvegese di Murakami quando arriviamo alla raduna dove è allestito il palco principale, dove si svolgerà lo spettacolo vero e proprio. Sono due i misteri insolubili da cui si dipana la trama vera e propria. Uno è costituito da un oggetto: un quadro sconosciuto del precedente proprietario dell'abitazione, un'opera riposta (nascosta?) con cura in un angolo della soffitta, di cui una laconica etichetta restituisce il titolo ma non la storia: l'assassinio del commendatore. Perché nascondere una tela (un capolavoro?) in casa propria? Cosa raffigura il bizzarro dipinto in stile giapponese?

L'altro mistero invece bussa alla porta dell'atelier: è un enigmatico milionario che vive in una delle ville poste dall'altra parte della valle, la più lussuosa e appariscente. L'uomo dal nome bizzarro, dai modi impeccabili e dalle macchine lussuose chiede al protagonista un ritratto, nonostante questi abbia annunciato di non lavorare più su commissione. Quali sono le vere intenzioni del potente magnate?

L'assassinio del Commendatore: il commento

A differenza di altri titoli dell'autore, non è difficile riassumere la trama de L'assassinio del Commendatore, perché è la fattura stessa del romanzo a possedere una concretezza inusuale per il suo autore, amante del rarefatto e nebuloso. L'atmosfera cede stavolta il posto alla materia, che sia quella pittorica di un omicidio immortalato su tela o quella di un mistero che si rivela man mano più coerente e concreto, pur andando a parare come di consuetudine nel regno delle idee non razionalmente riassumibili.

Seguendo il girovagare senza meta del suo protagonista, Murakami ritrova un bandolo della matassa che non individuava così precisamente da parecchio tempo. La sua pennellata caratteristica qui viene impressa con forza, per un primo abbozzo di soggetto finale che impressiona per qualità dei colori e delle contrapposizioni. In un romanzo dello scrittore giapponese più noto al mondo si dà per scontata la fascinazione del mistero, ma spesso viene a mancare la concretezza di una risposta altrettanto soddisfacente.

Se nel recente L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio (2014) forse a mancare davvero era un'idea da fuoriclasse, qui ce ne sono almeno tre degne di nota, tutte chiaramente figlie della sensibilità artistica di Murakami, una contenuta nell'altra. La storia d'amore del protagonista in bilico racchiude il lento dipanarsi di un legame affettivo celato con cura, entro cui si consuma un amore il cui mistero è racchiuso in una mente prigioniera della malattia e nelle tombe degli altri protagonisti del dramma. A ricordare la passione e la sua tragica fine è un quadro che urla una verità che forse più nessuno è in grado di decifrare.

L'assassinio del Commendatore però non è una spada sguainata che trafigge il lettore fino in fondo, conficcandosi nel suo cuore e nella sua mente fino all'elsa. È il suo artefice a tenerla riposta troppo a lungo e una volta sguainata, a ornarla con eccessiva indulgenza di ogni orpello a lui gradito, rendendola meno tagliente. L'assassinio del Commendatore incapsula di passaggi non necessari un romanzo molto più potente, un libro che avrebbe potuto essere molto più incisivo, ma solo a patto di essere assai più breve. L'impressione è che a salvare il libro primo dall'accusa di avere interi capitoli puramente accessori sia la bravura del suo artefice, capace di piegare ogni digressione futile o estetica (le considerazioni sul suono della portiera di un auto di lusso che si chiude, le cene a base di cracker e ketchup, l'infinito girovagare senza meta e forse senza ragione del protagonista prima di arrivare al dunque) in un passaggio che si lascia leggere fluidamente.

Se il romanzo è (anche) una riflessione sull'arte e sull'artista, sull'istinto e sulla genialità inconscia che concorrono al risultato finale, Haruki Murakami romanziere qui risultasin troppo indulgente verso i suoi vezzi e vizi. Lo scrittore si concede quasi per capriccio d'introdurre una serie infinita di feticci letterari e personali che impediscono al romanzo di calare in picchiata, costringendolo a un lento planare sulla storia. Non solo: la ricorrenza di questi elementi dà quasi un senso di eccessiva familiarità, minando il carisma di un romanzo che avrebbe potuto ritagliarsi già dal primo tomo un'identità molto più precisa.

VOTO7 / 10

Dopo qualche titolo minore, Murakami torna a cimentarsi con una grande sfida: l'idea è intrigante e tutto trova una sua collocazione, ma la sensazione è la vera forza del romanzo sia molto diluita.