Il club delle divorziate, la recensione: lacrime notturne tra i crudeli neon di Tokyo
Il maestro Kazuo Kamimura torna a raccontare il mondo segreto delle donne giapponesi: in Il club delle divorziate esplora la vita amara di un gruppo di donne separate nella Tokyo degli anni '70.
Nel comparto dei manga in Italia il 2018 è stato l'anno di Junji Ito, il maestro horror conteso dalle case editrici nostrane ospite a Lucca Comics & Games 2018 (dove lo abbiamo intervistato). Non è stato l'unico maestro del manga classico a conoscere un picco di popolarità: negli stand della fiera italiana di riferimento per il mondo dei fumetti campeggiavano gigantografie ed edizioni di lusso di anche di una firma ormai scomparsa; quella di Kazuo Kamimura.
Classe 1940, scomparso nel 1986, il mangaka che forse più di ogni altroha amato, compreso e raccontato le donne giapponesi ha conosciuto il suo periodo di maggiore splendore artistico negli anni ’70. Un decennio non semplice per l’arcipelago giapponese, stretto tra una crisi economica preoccupante e inquietudini sociali generate da cambiamenti di ordine globale.
La convivenza, il divorzio, l’emancipazione femminile che hanno incendiato il 1968 a livello mondiale sbarcano anche sulle coste giapponesi. Qui però creano un attrito enorme con la tradizione patriarcale e sociale di un paese che fonda il proprio ordine sociale proprio sul sacrificio delle aspirazioni individuali e in particolare femminili. Le poche che osarono sfidare lo status quo - rifuggendo il matrimonio o chiedendo il divorzio - si trovarono a dover affrontare uno stigma sociale quasi insostenibile, dentro e fuori le mura domestiche e gli ambienti lavorativi.
Il club delle divorziate: la trama
1971, Tokyo. Tra le luci dell’elegante e ricco quartiere di Ginza, appena superata una galleria d’arte che espone opere di Rubens minori, si trova un vicolo appartato. Qui spicca una bizzarra insegna luminosa: c’è un occhio femminile che piange e il nome di un esercizio commerciale: il club delle divorziate. Il locale notturno è minuscolo, occupato quasi completamente da un pianoforte a coda bianco, una manciata di divanetti e un bancone da bar. Sulle pareti corre un motivo bianco e nero, ricavato da palle da biliardo: l’ex sala gioco è stata trasformata in un locale di raffinato intrattenimento. Qui lavorano un gruppo di donne divorziate e Ken, il barista e supporto morale del gruppo.
La proprietaria del locale è Yuko: sempre impeccabile nel trucco e nel vestiario (dai kimono alle acconciature, sempre molto tradizionale), sceglie un taglio severo e serioso per la sua immagine, in modo da sembrare più adulta dei suoi 25 anni. Giovanissima e già divorziata, Yuko è costretta a lavorare tutte le notti nel club per poter mantenere sé stessa e la sua bimba, la piccola Asako, che vive dalla nonna e che vede la mamma solo di domenica. L’ex marito di Yuko è un pianista squattrinato con il vizio del bere, che saltuariamente fa capolino al locale, diviso tra il risentimento verso l’amata e il tentativo di manipolarne la tenerezza, per tentare di costruire di nuovo un rapporto o di poter almeno vedere la propria figlia.
Il club delle divorziate è racconta la vita quotidiana di Yuko e del gruppo di hostess che lavorano con lei, ritraendo uno spaccato di vita drammatico nel Giappone degli anni ’70. Quello di donne costrette a cavarsela da sole, spesso perseguitate dallo stigma sociale del divorzio anche tra i propri familiari, schiacciate dai rimorsi, dalla solitudine e dalla pressione esterna affinché contraggano un nuovo matrimonio al più presto.
Il club delle divorziate: la recensione
Realizzato dopo Una gru infreddolita (di cui vi abbiamo già parlato) e il suo best seller Lady Snowblood, Il club delle divorziate è una delle opere di Kazuo Kamimura più acclamate dalla critica. Negli anni della sua pubblicazione - insieme all’altrettanto intenso L’età della convivenza - Kamimura attirò su di sé anche numerose critiche per come trattava argomenti considerati quasi tabù, di cui era meglio non parlare pubblicamente.
Il club delle divorziate ebbe un enorme impatto sociale e politico, ma rimane innanzitutto uno slice of life ancor oggi intenso, vibrante, che cattura con grande sensibilità e realismo il cuore e la mente di una giovane donna. La storia di Yuko non è raccontata linearmente, ma viene tratteggiata a poco a poco, attraverso una lunga serie di episodi buffi, minori, avvenimenti quotidiani trascurabili o giorni cruciali per il futuro della protagonista, che permettono al lettore di scoprirne le angosce e i desideri.
Insieme a Una gru infreddolita, Il club delle divorziate costituisce un dittico ideale per raccontare come l’Impero giapponese sia basato, ieri come oggi, su una società che esige sacrifici enormi dalle donne. La storia di una bimba avviata a divenire una geisha e quella di una giovane divorziata costretta a lavorare come hostess contrappongono lanterne a luci al neon, ma raccontano di un Giappone immutabile nei secoli, uno stato patriarcale che vessa il singolo individuo. Coloro che deviano dal senso comune, vengono immediatamente stigmatizzati. Pur essendo ancora giovanissima, Yuko è già costretta a fare i conti con un matrimonio infelice e una situazione economica complicata. Deve far fronte anche allo sgarbo continuo con cui viene trattata quotidianamente, dai congiunti come dagli estranei.
Il suo lavoro notturno di hostess prevede una certa ambiguità di fondo: ufficialmente il suo ruolo prevede solo di conversare, giocare e bere con i clienti per far trascorrere loro una serata gradevole, un po’ come le geishe di Una gru infreddolita. Il sottotesto erotico è però palpabile e non mancano clienti che tentano in ogni modo di metterla all’angolo e costringerla a un rapporto sessuale. Oltre i clienti abituali, sono due le figure maschili nella sua vita: una è quella dello sventurato marito, tanto manipolatore quanto debole, l'altra è quella di Ken, il barista pronto a vederla ogni sera tra le braccia di un uomo diverso da dietro il bancone del bar, pur di stare accanto a lei e sostenerla. Ken ama teneramente e rispettosamente Yuko, ma il rimorso che la donna prova per il suo stile di vita e i suoi errori ostacolano il rapporto. Tra i due esplode talvolta la passione - perché un'attrattiva fisica c'è eccome - ma tutta una serie di situazioni tra il comico e il tragico sembrano voler suggerire che il vero tabù per Yuko è quello di sperare di amare di nuovo, di tornare ad essere felice.
Come può essere serena e soddisfatta quando il suo lavoro la rende una poco di buono agli occhi della società? Dall’impiegata bancaria alla sua stessa madre, Yuko viene severamente apostrofata e rimproverata con tono tagliente e sguardo feroce quando cede al sogno di ritrovare la sua felicità. La sua più crudele giudice è però Asako, la figlioletta che vede una volta a settimana. Yuko ha un rapporto complicato con la maternità, ma prova affezione per Asako. La bambina, a sua volta schernita in quanto “figlia di una divorziata”, manifesterà con silenzi e scatti di rabbia tutto il rancore verso la madre. Verso il padre invece, di cui ignora la natura distruttiva, Asako prova un sincero affetto, mettendo ancor di più Yuko in difficoltà.
Yuko e le sue hostess però non sono martiri né prostitute malinconiche: sono donne sfaccettate, contraddittorie, capace di atti di grande generosità, sacrificio o genuina cattiveria. C’è un episodio molto incisivo in cui Yuko si permette di essere “una donna cattiva”, vendicandosi di un'impiegata che l’ha trattata male: in quel breve capitolo c’è tutta la cifra della bravura di Kamimura, la cui sensibilità non nasconde alcun lato delle protagoniste, ma anzi restituisce senza censure tutta la loro umanità.
Il club delle divorziate: lo stile
Questo dittico di volumi ha un costo importante, ma davvero giustificato dalla qualità dell’opera. Il club delle divorziate è un’opera importante non solo per gli argomenti trattati, ma anche per lo stile pittorico e narrativo del suo autore. Le donne bellissime di Kamimura sembrano la naturale derivazione di certe sensuali cortigiane dei rotoli dipinti del medioevo giapponese. Sono seducenti, sorridenti, malinconiche, spesso piangenti, in tavole e illustrazioni dal sapore pittorico e dal grande dinamismo. Lo sguardo è maschile, ma è capace di scrutare nell'anima delle protagoniste, dimostrandosi interessato molto più alla loro interiorità che al loro piacente corpo.
Il club diventa un luogo di cui il lettore si sente frequentatore, immortalato in prospettive aeree che ne raccontano le dimensioni e proporzioni, esplorato in tavole di grande dinamismo che fotografano le conversazioni private e i gaudenti scambi pubblici con i clienti.
C’è un passaggio nel primo volume che testimonia la qualità cinematografica del racconto di Kamimura. Una nuova ragazza arriva al club e, nonostante i supposti nobili natali, si dimostra talmente grezza da sgranocchiare rumorosamente i cubetti di ghiaccio del suo drink. Kamimura si prende due tavole per seguire il passaggio dei cubetti da una guancia all’altra della ragazza e, sfogliando il volume, sembra quasi di sentirlo, quel rumore stridente di ghiaccio masticato. Così come si percepisce acutamente il dolore segreto di Yuko, di Ken, di Asako e degli altri protagonisti, messi a nudo con grande acume e sensibilità dall'autore.
Il club delle divorziate è tradotto ed edito in due volumi da J-pop manga. È un fumetto magistrale, una lettura davvero consigliata, tra i migliori manga pubblicati nel 2018 in Italia.