Finalmente approda anche in Italia il volume autobiografico di Kabi Nagata che ha conquistato anche il pubblico statunitense con la sua estrema onestà. La recensione di La mia prima volta.
Essere onesti verso sé stessi è una faccenda molto complicata, specie quando questo cammino di comprensione e accettazione interiore viene ripercorso di fronte a un pubblico più o meno ampio di lettori. Raccontare il primo sé senza reticenze né ingentilimenti a detta di molti autori è un processo catartico, che tende a impressionare il pubblico per la forza della storia che ne risulta. A tutti sarà capitato di chiedersi come tal autore abbia trovato il coraggio di rivelare un vizio, una mania o una debolezza che magari anche il lettore ha ma sarebbe imbarazzato a confessare ad alta voce, forse persino a sé stesso.
L’aspetto più sorprendente di La mia prima volta, una vera e propria confessione autobiografica in chiave manga che arriva in fumetteria in questi giorni con J-Pop, è come l’autrice trovi la forza di fare il punto sui suoi problemi e guardarsi dentro, proprio grazie al processo di creazione della sua opera. Nata come pubblicazione amatoriale online sul portale giapponese Pixiv, l’opera ha conosciuto un rapido aumento della propria platea, grazie a un’incessante passaparola tra utenti, tanto da sbarcare ben presto in libreria in un’edizione cartacea dal formato tradizionale.
La fama di questo volume unico ha poi superato i confini nazionali, raggiungendo il successo anche negli Stati Uniti. Dopo aver fatto registrare il record di vendite nel comparto fumetti nella sua categoria, ha vinto il premio Harvey come miglior manga del 2018.
La mia prima volta, la trama del manga di Kabi Nagata
Nella traduzione in inglese dell’opera il titolo è ben più esplicito: my lesbian experience with loneliness, che sintetizza almeno in parte l’apertura shock del volume. Kabi Nagata appare infatti nuda su un letto, tesissima, pronta ad avere il suo primo rapporto sessuale con una escort a pagamento. C’è di che rimanere intrigati e spiazzati di fronte a questa partenza, che rimane l’amo narrativo a cui abbocca il lettore. Si rimane saldamente ancorati alle pagine del volume grazie a quest’incipit che somiglia a un’ammissione a bruciapelo.
Quello che segue è invece il soffertissimo, ponderato racconto della crisi esistenziale che investe Kabi Nagata alla fine delle superiori e dell’università. Una ragazza spensierata come tante si ritrova all’improvviso priva di un ambiente (scolastico o universitario a cui appartenere) o una routine che scandisca le sue giornate. Nella descrizione della sua crescente sensazione di sentirsi come sgretolare e svanire nell’aria sembra quasi di rileggere la celebre smarginatura che affligge Lila, una delle due protagoniste di L’amica geniale di Elena Ferrante. Alla disperata ricerca di qualcosa a cui appartenere, la giovane donna si trova un impiego part time al supermercato, ma la sua vita lavorativa dura pochissimo. I suoi attacchi di panico paralizzante, i suoi problemi con l’anoressia o le violente crisi di fame nervosa la rendono una pessima dipendente. Sono spie d'allarme che nascondono la crescente mancanza di unità, spirito familiare e senso d'appartenenza che vorrebbe ottenere dall'ambiente lavorativo, ma che non può essere soddisfatto.
A cosa appartengo? Chi sono io veramente? Comincia a chiedersi Kabi Nagata personaggio, guidata dalla Kabi Nagata voce narrante, che scopriremo più tardi aver appena imparato a stare a galla, avendo doppiato da pochissimo la crisi. Rimasta senza lavoro, oppressa dalle aspettative dei famigliari, la giovane è perseguitata da ogni genere di disturbo psicologico e dalle drammatiche conseguenze sul proprio corpo (un’alopecia causa dal continuo strapparsi nervosamente i capelli, una serie infinita di cicatrici figlie dell’autolesionismo, un fisico paurosamente sottopeso a causa del disastroso rapporto col cibo). La protagonista di La mia prima volta arriva ad avere un così disperato bisogno di essere abbracciata da decidere d'interpellare una escort di sesso femminile per “sbloccarsi”, compiere il grande passo; avere il suo primo rapporto sessuale.
In effetti l’esperienza, a tratti tenera e a tratti surreale, sblocca dentro di lei qualcosa. Non a livello sessuale, ma a livello psicologico: l’autrice riesce per la prima volta a desiderare di vedere la vera sé accuratamente nascosta per tanti anni. Scoprendola a poco a poco, tavola dopo tavola, Kabi Nagata troverà la salvezza proprio imparando a capirsi, forse persino ad amarsi, attraverso la sua catarsi a disegni.
La mia prima volta, la recensione del manga di Kabi Nagata
Viene quasi da sfogliarlo con delicatezza questo volume di J-Pop, perché ci si rende conto prestissimo che da lettori si ha per le mani il cuore dell’autrice. Ancor più dei momenti terribili affrontati da Kabi Nagata e dell’altrettanto drammatica incapacità di comunicarli all’esterno, a colpire come un pugno in pieno stomaco è proprio l’assoluta sincerità, il candore estremo con cui Kabi Nagata si confessa, anzi si esamina, lasciando che gli altri vedano le piaghe, tocchino la carne viva.
Non è certo la prima autrice giapponese ad addentrarsi in racconti più o meno personali sull’autolesionismo e i disturbi alimentari, però la cronaca autobiografica della lenta risalita dall’abisso di Kabi Nagata ha una sfumatura unica, così come la tricromia sbarazzina delle sue tavole. Quel rosa brillante e femminile che accompagna il classico bianco e nero dei manga è un contraltare perfetto a un manga del contenuto drammatico ma incapace di fare del male al lettore. Si percepisce che da qualche parte c’è un’illuminazione, una svolta, una ripresa.
Questa ripresa è proprio il manga stesso, il processo di raccontare e disegnare la propria storia anche nei passaggi più inconfessabili, fino a fare chiarezza dentro sé stessi. Quella nota dolce onnipresente dentro questo abisso di amarezza è la consapevolezza che il lettore ha, inizialmente solo inconscia, che ci sarà un “lieto fine”, o quantomeno un miglioramento. Leggendo La mia prima volta si scopre via via che è attraverso la lettura altrui che Kabi Nagata ha trovato una via d’uscita dal suo vicolo cieco. Ogni lettura, in un certo senso, è per lei e per il lettore una nuova esperienza di salvezza, la crescente consapevolezza che il suo "dolce nettare" non è adeguarsi alle aspettative della famiglia, ma esprimersi attraverso il disegno.
Colpisce durissimo La prima volta, talvolta presentato erroneamente come un “semplice” titolo queer. Oltre Freud e Kafka, è uno sguardo dentro le proprie zone d’ombra di brutale onestà, una luce violenta su desideri al limite del tabù. Si prova sincera empatia di fronte alle difficoltà iniziali dell’autrice, ma non si può che rimanere impressionati per come riesca a scavare dentro il suo complicato e morboso rapporto con la madre, fino a trovare la sé stessa che rema contro la sua felicità.
Il disegno di Kabi Nagata è simile a una bozza figlia dell’intuizione, è comunque capace di soluzioni brillanti. Così quando scova dentro il suo io quella sé stessa che ne blocca la crescita emotiva e sessuale, che ne azzera l’autostima, la disegnatrice la rappresenta come una sua gemella con una maglietta che recita genitori > io. Sembra una soluzione elementare, ma il continuo accapigliarsi tra le due getta una luce ben sinistra sulla “ragazza spensierata come tante” che va in crisi ad inizio volume. Il disagio è sempre stato lì, profondo, radicato in una relazione familiare che la sua psiche ha distorto nella realtà e nei suoi ricordi. È la soluzione nascosta dentro quella figura nera che, qualche decina di pagine prima, emergeva dal corpo vuoto dell’autrice, quasi che la sua pelle fosse un camuffamento per nascondere la vera sé stessa.
Kabi Nagata arriva dritta al cuore del lettore guardandosi dentro con un rarissimo candore e con un'onesta abbagliante. La mia prima volta è una confessione che colpisce nel profondo. Toccante.