Il romanzo più celebre di Umberto Eco torna in TV grazie all'adattamento made in RAI. Pubblicato nel 1980, Il nome della rosa rimane ancor oggi uno dei classici moderni imprescindibili (e più accessibili) della letteratura italiana.
Il 2018 è stato l'anno in cui il grande pubblico poco avvezzo alla letteratura ha scoperto L'amica Geniale, il primo romanzo della quadrilogia napoletana di Elena Ferrante, grazie alla notevole serie TV realizzata dalla RAI in collaborazione con HBO. Il 2019 potrebbe aprirsi con un'altra grande (ri)scoperta letteraria. Dopo un film di grande successo di pubblico diretto da Jean-Jacques Annaud, torna infatti sullo schermo Il nome della rosa, stavolta in formato televisivo. La serie TV è uno dei grandi progetti della televisione pubblica italiana per l'annata, con un cast internazionale e ambizioni sul mercato europeo e globale.
La domande di sempre é: vale la pena di (ri)leggere il celebre romanzo di Umberto Eco, l'ultimo grande umanista europeo, accademico apprezzatissimo divenuto celebre a livello mondiale proprio grazie a questa suo prima fatica in forma di romanzo? Non è un mistero che il semiologo, saggista e medioevalista avesse sviluppato unsenso di rimorso nei confronti del suoprimo romanzo, a suo dire non abbastanza sbozzato, ricco di imprecisioni. Negli anni successivi alla sua prima pubblicazione per Bompiani (la casa editrice storica dei romanzi di Eco, che ancor oggi li ristampa) Il nome della rosa conobbe enorme fortuna, ma anche la sgradita nomea di "mattone", data la sua imponente mole e la sua complessità. Secondo alcuni, in tanti millantavano di averlo letto, ma in pochi lettori avevano assaporato la celebre risoluzione dell'enigma e la chiusa del libro.
Nel 2019 è arrivato il momento di guardare all'opera di Umberto Eco per quello che è:un capolavoro, senza tentennamenti o dubbi. Senza nemmeno la premessa di "libro popolare" scritto da un grande studioso, versione accessibile del sapere accademico. Come ogni opera magistrale, Il nome della rosa si schiude di fronte al lettore con la sua bellezza, come il fiore del titolo. C'è chi ne apprezza la semplice bellezza, chi da esteta ne ammira il colore e la forma dei petali, il giardiniere che ne inspira il profumo e poi c'è il botanico, che ha le conoscenze maturate nel tempo e con lo studio per apprezzare in pieno la rarità di una certa fioritura. L'accessibilità è casomai un pregio che va riconosciuto a Eco, capace di scrivere un testo diventato un caposaldo nei programmi universitari per medioevalisti, uno dei gialli più incredibili di sempre e uno dei libri che più di ogni altro sanno catturare nella sua essenza la passione travolgente dei lettori per i libri, come concetto e come oggetto.
Sherlock Holmes sbarca nel Medioevo
Ogni nome ha una valenza, ogni passaggio un significato in Il nome della rosa, che è innanzitutto una sorta di gioco letterario con cui Umberto Eco omaggia alcuni grandi classici della letteratura tutta. In un'apertura manzioniana il letterato rivela di aver trovato la trascrizione di un manoscritto antichissimo, redatto da un certo Adso da Melk. Il monaco, divenuto anziano e sentendo la morte incombere su di lui, decide di affidare alla pergamena alcuni incredibili fatti accaduti in gioventù, quando era solo un novizio e seguiva fedelmente il suo maestro.
Il maestro di Adso si chiama Guglielmo da Baskerville e i più appassionati lettori di Arthur Conan Doyle riconosceranno nella sua descrizione fisicail ritratto di Sherlock Holmes. Guglielmo da Baskerville (come il mastino!) è un uomo dallo straordinario ingegno, un benedettino chiamato per la sua saggezza e la sua intelligenza a mediare un difficilissimo incontro tra i vari ordini religiosi. La questione è spinosa: il "nuovo" ordine dei francescani ha irritato il Papa e rischia la scomunica. Si è radunata quindi in tutta fretta una sorta di commissione dei vari ordini, per discutere il da farsi.
Proprio mentre Guglielmo e Adso arrivano nell'abbazia dove si svolgerà l'incontro, un orribile omicidio ne turba la quiete. Il luogo è considerato uno dei centri culturali più importanti d'Europa: in un edificio separato rispetto all'abbazia vera e propria sorge infatti una monumentale biblioteca. Guglielmo, avidissimo lettore e assetato di conoscenza, spera di poter dare un'occhiata alla collezione, ma scopre che viene tenuta sotto chiave e controllata rigidamente. Si mormora che nei recessi dell'edificio, un vero e proprio labirinto, oltre i banchi degli amanuensi che copiano le opere, si nascondano titoli considerati perduti, scritti preziosissimi, ma pagani e quindi proibiti.
Preoccupato dallo scandalo e da un delitto che pare demoniaco, l'abate chiede a Guglielmo di indagare con discrezione. Mentre le morti non si arrestano e anche l'Inquisizione fa visita all'abbazia - ritenuta un covo di eretici - tutto sembra indicare la biblioteca come risoluzione finale della lunga scia di sangue.
Il diavolo, Dio e la conoscenza
Lo scoglio più ostico per i lettori di Il nome della rosa è costituito principalmente da due passaggi: i numerosi passi in latino e le lunghe digressioni riguardanti la riunione dei vari ordini per discutere della crisi tra i francescani e il Papa. Dirò un'eresia: se temete che questi passaggi vi annoino e possano farvi interrompere la lettura, saltateli senza remore. Certo perderete una delle ricchezze nascoste del romanzo di Eco, che ribalta la nostra visione un po' oscurantista e ricca di preconcetti del Medioevo. Il nome della rosa ci restituisce un'epoca incredibilmente attuale, dove sì l'uomo era preda di superstizioni e credeva nell'opera del demonio (sicuri che non succeda anche oggi?) ma in cui passioni e debolezze sono perfettamente sovrapponibili a quelle odierne.
Anche tra le mura dell'abbazia. Tutti i personaggi religiosi del romanzo sembrano consumati da qualcosa. C'è chi come Adso e altri monaci sente il richiamo della carne, chi invece come Guglielmo, già assaggiate in gioventù le delizie del vivere, è ora consumato dalla passione intellettuale, non meno ardente ed eretica. La debolezza di Guglielmo, oltre che l'orgoglio nel proprio ingegno, è la sete inesauribile di conoscenza, che a volte gli fa perdere di vista la sua stessa umanità; proprio come Sherlock Holmes.
Umberto Eco combina in modo pregevole diversi gradi di religiosità e umanità: c'è chi come Guglielmo arriva qua e là ad accennare una visione quasi atea dell'esistenza, chi crede con spirito puro e semplice e poi c'è tutta una splendida zona d'ombra in cui eresia e santità sono così strettamente intrecciate da divenire indistinguibili. Come suggerisce Eco, forse è solo la malizia umana e dell'Inquisizione a decidere da che parte sta chi.
Riguardo alla "dimensione gialla" del libro, non c'è davvero nulla da dire: è una delle indagini più belle di sempre, la cui risoluzione - potente e simbolica ma anche concretamente diabolica - non dimenticherete mai più, dopo averla scoperta. Il merito, come sempre, non va solo al diabolico assassino e all'incredibile catena di delitti che compirà, ma anche ai detective. Adso e il suo maestro Guglielmo sono tra le creazioni più pregevoli di Eco, che li ha intrisi di virtù religiose ma anche di umane debolezze, ritraendo la visione della vita, la religione, l'amore e la morte di due uomini in due età ben differenti della vita. Adso ha lo sguardo ingenuo ma puro del giovane, Guglielmo è più saggio, ma talvolta più pavido, frenato dai ricordi e rimpianti del passato.
Il nome della rosa è davvero l'ultimo grande classico del Novecento letterario italiano; uno di quelli che bisognerebbe proprio leggere almeno una volta nella vita.
È l'ultimo grande classico del Novecento letterario italiano, tra i più freschi, leggibili e appassionanti: quello di Eco è un capolavoro leggibile su numerosi livelli e sempre memorabile. Un must.