Il Sangue degli Elfi: la recensione del primo romanzo di The Witcher
di Simone Alvaro SegatoriDopo due libri di racconti finalmente l'oscuro universo fantasy di Sapkwoski prende vita e trascina il lettore nel complesso viaggio di Geralt e Ciri.
Il Sangue degli Elfi è ovunque: scorre nei fiumi del Continente, annaffia i terreni dei castelli della Temeria, si fa strada tra le radici delle rigogliose foreste di Brokilon e pregna ogni angolo della storia del mondo di The Witcher. Un universo che finalmente ha un prima e un dopo, una storia di origini da raccontare costruita proprio sul sangue dell'antica e splendente società elfica.
Il mondo però è andato avanti, come sempre, quasi ignaro dei cadaveri che si è lasciato alle spalle, del rumore scricchiolante delle ossa di chi non ce l'ha fatta. I popoli hanno continuato a trovare motivi per ammazzarsi, per eleggere nuovi re e regine, sordi ad ogni preghiera, soprattutto alle parole della Profezia di Ithlinne: il mondo si finirà, l'epoca degli uomini è giunta al termine e una nuova epoca nascerà dal sangue degli elfi.
Inizia così il primo vero romanzo della saga di Geralt. Un libro che nonostante qualche incertezza estende la limitata mappa del Continente che si era solo intravista nei precedenti libri di racconti e fa sentire il lettore parte di un mondo fantasy molto vasto, ricco di razze, culture e popoli con un proprio passato da scoprire.
L'inizio del viaggio
La storia parte a poca distanza dall’ultimo racconto del precedente volume La spada del destino. Nilfgaard procede nella sua avanzata continuando ad irrorare il regno di sangue, Cintra è caduta e Ciri è stata portata da Geralt a Kaer Morhen, la fortezza degli strighi, in cui il witcher le insegna l'unica cosa di cui è capace: combattere. Ciri impara subito e si dimostra un'allieva attenta per Geralt e gli altri pochi witcher rimasti nella fortezza. La giovane però ha bisogno di cure che gli strighi non possono darle e proprio per questo motivo Geralt si rivolge ad una sua vecchia conoscenza, la maga Triss Merigold che gli consiglia di affidare la bambina alle cure di Nenneke, una guaritrice che ha già aiutato Geralt ne Il Guardiano degli Innocenti.
Il libro ha un inizio statico, atipico per Sapkwoski e i suoi cambi di prospettiva ma necessario per mostrare appieno i witcher e la piccola Ciri. I primi sono una sorta di stirpe in estinzione proprio come i mostri che sono chiamati ad uccidere, uomini mutati bloccati in un presente che non sa cosa farsene di loro. Ciri potrebbe essere il loro futuro o la loro inevitabile fine. Eppure provano ad essere per lei una famiglia, o meglio un'imitazione mal riuscita di una famiglia visto che nessuno di loro l'ha mai avuta.
Ciri prende parte alla farsa perché questa famiglia atipica è tutto quello che ha. Il sangue antico che gli ribolle nelle vene però gli ricorda ogni giorno le parole della profezia e che il conto alla rovescia del mondo è già iniziato. Inoltre ci sono forze che la reclamano: alcuni re vogliono sposarla e diventare i nuovi padroni di Cintra, sempre dopo aver sconfitto Nilfgaard, mentre altri la vogliono per via dei misteriosi poteri manifestati dalla ragazza.
La frammentarietà dell'autore
Quello che nei precedenti volumi sembrava parte della struttura frammentaria insita nell'idea stessa di "racconto" -e cioè di qualcosa che inizia e finisce senza ulteriori collegamenti con una trama più grande, come potrebbe essere un romanzo- si rivela invece una particolarità della scrittura di Sapkwoski. L'autore della saga infatti spazia continuamente tra presente, passato e futuro. Salta di personaggio in personaggio spezzando la narrazione lineare e raccontando uno stesso avvenimento da più prospettive, più tempi e tramite le storie di personaggi magari nemmeno presenti durante la vicenda. Un'idea apparentemente confusionaria di romanzo, spezzata in tante parti che compongono una narrazione corale della vicenda, lo stesso stile ripreso poi anche dall'adattamento seriale di Netflix.
Inoltre, come già successo per i racconti, Sapkwoski non inventa niente o quasi e si ispira ai tòpoi del fantasy, a leggende antiche, alla religione componendo strato dopo strato il suo mondo. E, allo stesso tempo, dando una versione alternativa di altri temi conosciuti. Ne è un esempio la storia degli Elfi, una razza millenaria conosciuta nel panorama fantasy soprattutto per l'immagine pura e buona vista ne Il Signore degli Anelli. In The Witcher diventano un popolo decaduto e spinto dall'odio verso un'umanità che gli ha rubato la terra, che sfrutta le loro conoscenze e che li respinge alla stregua di mostri.
Un romanzo che nasconde tanti racconti
Il Sangue degli Elfi racconta una storia profonda e intensa tramite le varie razze di personaggi che si incontrano (e soprattutto si scontrano) all'interno di dialoghi caustici e divertenti. Sapkwoski scegli volontariamente di farci raccontare un avvenimento dalla bocca di un altro personaggio che l'ha solo sentito raccontare da un altro e così via, alimentando proprio la sensazione di essere nuovamente seduti intorno al fuoco ad ascoltare l'ennesima storia sulla vita di Geralt di Rivia e compagni.
Come tutti i primi libri che aprono le grandi saghe, anche Il Sangue degli Elfi rimane quindi abbastanza statico pur rafforzando l'universo appena accennato visto nei racconti. Le poche vicende che coinvolgono i protagonisti però bastano per far proseguire il lettore, proprio come la giovane Ciri che inizia a comprendere davvero cosa vuol dire essere parte di un mondo dove il destino ha sempre l'ultima parola su tutto.
Geralt e Ciri cedono alle lusinghe del destino e iniziano il loro cammino verso un futuro incerto, accompagnati dal lettore che ormai difficilmente potrà abbandonare il loro viaggio.