Il grande contagio di Charles Eric Maine è uno di quei romanzi di fantascienza che si dimostrano inquietanti per la loro attualità. Da leggere, soprattutto oggi, per riscoprire la modernità di un autore visionario e profetico.
Una nuova malattia, il virus Hueste, inizia a mietere vittime in Giappone, Cina e Russia. Altamente contagioso e con una mortalità superiore al 50%, diventa la più grande sfida dell'OIRV (Organizzazione Internazionale Ricerca Virus) per la ricerca di un vaccino, unica speranza di fermare l'ecatombe.
La dottoressa Pauline Brant dell'OIRV lascia la ricerca in Giappone per tornare a Londra dal marito, il giornalista Clive Brant, che ha una relazione extraconiugale. La dottoressa finirà per lavorare nella sede inglese dell'OIRV insieme al dottor Vincent, nella speranza di impedire che Hueste faccia una strage anche in Europa.
Quando la situazione precipita, gli Stati più colpiti su indicazione dell'OIRV predispongono dei rifugi sotterranei in cui verranno portati al sicuro i politici e gli alti funzionari in attesa del vaccino o di una cura che funzioni. Ma la popolazione inizia a ribellarsi ai criteri di selezione per l'accesso ai rifugi sicuri...
Io lo chiamo "ciclo delle pandemie": ho iniziato presentandovi un testo scientifico, Spillover, e il libro-verità su Ebola, Area di contagio, e proseguo con alcuni romanzi a tema.
A cominciare da questo, un grande classico della fantascienza nell'immancabile edizione Urania che, oggi più che mai, si dimostra non solo attuale ma addirittura premonitore...
Perché ancora una volta la fantascienza classica, quella che fin dagli anni '50 e '60 ci mette in guardia su pericoli futuri puntualmente tradotti in qualche forma di realtà dalla nostra società, palesa la propria modernità, la propria universalità, la propria capacità di prevedere i disastri a cui l'uomo stesso finisce per esporsi.
Se David Quammen in Spillover, sulla base di dati scientifici, prevedeva dieci anni fa una nuova pandemia a partire da un pipistrello nella Cina meridionale, Charles Eric Maine nel 1962 ci racconta come il mondo non cambi mai anche da altri punti di vista.
Non solo rifiutandosi di abbandonare comportamenti pericolosi per la salute pubblica, ma soprattutto continuando a concentrarsi sui privilegi di pochi, ignorando la bomba sociale che ne deriva.
Maine racconta la diffusione di un virus dalla mortalità così alta che potrebbe addirittura portare all'estinzione della razza umana. E il Governo che fa? Corre ai ripari predisponendo pochi posti sicuri sottoterra mentre milioni di persone vengono lasciate a morire, abbandonate in superficie.
Fin qui, però, nulla di nuovo: potrebbe essere la storia di uno zombie movie qualsiasi, o di qualsiasi altra catastrofe a livello globale. Invece Il grande contagio è molto di più, è il verosimile e inquietante racconto di come le autorità decidano di minimizzare, più per crearsi un vantaggio che per contenere il panico. Vi ricorda qualcosa?
La questione non è nuova al genere catastrofico, e purtroppo ora sappiamo che corrisponde esattamente ai comportamenti reali: quanto e cosa bisogna fare per gestire al meglio la situazione? È giusto nascondere alla popolazione informazioni determinanti per la sopravvivenza, al fine di salvare le persone che le autorità ritengono più importanti?
La risposta, per Maine e per noi, non può essere che una: no. Certo che no.
Charles Eric Maine negli anni '60 ci racconta l'inquietante avvento di una pandemia e le reazioni di governi e autorità sanitarie. Un'opera tristemente profetica, che va assolutamente letta.