La Torre della Rondine: la recensione del quarto romanzo di The Witcher
di Simone Alvaro SegatoriSapkwoski indugia un'ultima volta prima di portare il lettore nel finale della vicenda. Un'attesa ripagata però dal mondo del witcher che si fa sempre più ampio.
Se con Il Battesimo del Fuoco abbiamo avuto modo di conoscere finalmente il witcher Geralt di Rivia a 360 gradi, con la Torre della Rondine la narrazione si sposta nuovamente su Ciri, la leoncina di Cintra. Ormai però la bambina conosciuta nei primi romanzi è cresciuta ed è diventata una donna, una donna che deve fare i conti con il suo destino.
La Torre della Rondine si apre nella notte dell'equinozio d'autunno che getta il mondo in preda ad un gelo mai visto prima. Qualcosa di antico come il sangue che scorre nelle vene di Ciri si è risvegliato ed è sulle tracce della ragazza. La Caccia Selvaggia e i suoi cavalieri spettrali è al galoppo per il Continente, lasciando una scia di morte e ghiaccio al suo passaggio e dando vita a quelle storie che fino ad ora erano state presentate come leggende.
Il viaggio di Ciri
Per descrivere appieno la struttura de La Torre della Rondine dovete immaginare degli strati. Ognuno di essi è ambientato in un'epoca diversa, con personaggi differenti, luoghi e visioni che non hanno nulla (o quasi) a che fare l'uno con l'altro. Se però si sovrappongono l'uno con l'altro si ottiene il quadro completo in cui Ciri e il filo conduttore di una vicenda partita tanti secoli prima.
La ragazza viene trovata mezza morta da Vysogota di Corvo che dopo averla curata diventerà il fedele ascoltatore delle sue storie e della danza di morte che lei ha intrattenuto con il cacciatore di taglie Leo Bonhart. Un uomo senza scrupoli, che non ha piani per la ragazza (forse l'unico), ma che vuole semplicemente portare a termine il compito per cui è stato pagato, quasi come un witcher.
Ed è proprio Geralt che intervalla la storia centrale di Ciri, ma perde il ruolo di protagonista che aveva faticosamente conquistato dopo tanti libri. Diventa un personaggio spento, apatico, secondario. Perde la sua essenza di strigo e si sente abbandonato, senza scopo. Completamente avvolto in un viaggio interiore in cui non c'è una meta finale da raggiungere ma di cui non può fare a meno. Per quanto riguarda invece il viaggio fisico finalmente il gruppo arriva a una conclusione, incontrando nuovi personaggi sul cammino. La fine del viaggio però al cospetto del saggio Avallac’h non fa che preannunciare un destino sempre più oscuro.
Tra i vari strati che compongono il volume c'è anche quello della maga Yennefer e finalmente è al centro di una vicenda che le rende giustizia e descrive un personaggio forte e interessante che fino ad ora era rimasto solo sullo sfondo.
Il Continente di The Witcher si espande
Quasi tutti i libri della saga di Geralt si concentrano sulla storia, sui dialoghi, sui personaggi e sui complessi rapporti tra questi. Raramente si ha la possibilità di scorgere il mondo che va oltre quel poco che c'è intorno ai protagonisti della vicenda. Per tutti i romanzi di The Witcher si sente quindi la mancanza di un vero e proprio mondo fantasy, qualcosa in cui immergersi e di cui sentirsi parte. Con La Torre della Rondine si scoprono finalmente tutti i meccanismi che regolano il Continente, la rotazione delle stagioni, la geometria degli astri, ma anche le usanze e le leggende come quella de La Caccia Selvaggia.
Inoltre, ad aggiungersi al panorama di guerre e magie della saga, arrivano anche Kovir e Skellige, due nuovi regni da subito ben caratterizzati. Per Kovir Sapkwoski costruirà una vera e propria genesi del regno, con aneddoti interessanti e addirittura descrizioni delle strade e degli edifici. Una cosa comune in qualsiasi libro ma nuova per The Witcher che raggiunge questi approfondimenti descrittivi solo in questo volume.
Anche Skellige subirà lo stesso trattamento, descrivendo il suo popolo duro come la roccia e salato come il mare, due elementi che permeano tutto l'arcipelago di ispirazione vichinga e di cui Crach An Craite è capo.
Un finale senza premesse
La saga di Geralt di Rivia è ormai prossima alla fine eppure l'autore espande il suo mondo con questo intervento tardivo che però porta il lettore a volerne ancora e a rimpiangere di non averlo avuto prima. Sembra quasi che solo adesso Sapkwoski si sia reso conto di quello che stava creando, di una storia che va al di là dei suoi protagonisti e descrive un mondo vivo e pulsante.
La Torre della Rondine prova ad avvicinarsi alla fine della saga ma non riesce a fornire le premesse necessarie a quello che sarà appunto l'epilogo, indugiando, anche troppo, su aspetti che sarebbe stato meglio veder crescere nel tempo e non come macigni improvvisi buttati sul percorso della run finale. Nonostante la storia di Ciri funzioni appieno, in questo modo cresce la paura che il prossimo e ultimo libro della serie possa lasciare anche troppe domande in sospeso.
Un passo indietro rispetto al libro precedente che inserisce interessanti approfondimenti sul mondo fantasy di Geralt nel momento narrativo sbagliato, rallentando la corsa verso il finale.