Dopo lo sfolgorante esordio La mia prima volta, Kabi Nagata torna con una confessione fiume sulla difficoltà di trovare un posto nel mondo e imparare ad amare sé stessi: la recensione di Lettere a me stessa - Dopo la mia prima volta.
Lo sfolgorante esordio di Kabi Nagata La mia prima volta ha colpito i lettori di tutto il mondo per l'estrema sincerità, talvolta la crudezza, con cui raccontava sé stessa. Sospeso tra manga e autofiction, il volume unico raccontava solitudine di una giovane adulta invischiata in un reticolo di rapporti familiari tutt'altro che ottimali, così assetata di contatto umano da ingaggiare una escort per superare un senso intollerabile di lontananza dal mondo. Ansia, depressione, senso di fallimento rimanevano ai margini di quel volume che, nonostante la situazione disperata che raccontava, riusciva ad essere brillante e talvolta ironico (potete leggerne la recensione dedicata).
Lettere a me stessa - Dopo la mia prima volta è il suo corposo seguito, che raccoglie due volumi di brevi storie autobiografiche più una breve one shot extra. È come un viaggio dentro la tana del bianconiglio Kabi, che non promette facili soluzioni o scappatoie narrative. Stretta tra la necessità di guadagnare qualcosa per coronare il suo sogno di andare a vivere da sola e l'incapacità di pianificare una storia fittizia cadenzata e coerente, l'autrice decide di proporre alla casa editrici una sorta di editoriale a fumetti settimanale.
Sospeso tra diario, epistola e memoir, il volume raccoglie qualche decina di lettere a fumetti che l'autrice indirizza a sé stessa. La Kabi che disegna scrive alla Kabi del futuro, raccontandole i suoi progressi e regressi, analizzando talvolta ossessivamente ciò che la frena dal raggiungimento della felicità.
Tra autofiction e memoir
L'avvio del volume, anche se scarno, è ben strutturato. Kabi scrive a sé stessa delle difficoltà di diventare indipendente, distribuendo necessità e bisogni su persone diverse dai tre membri della sua famiglia. Spesso al centro della narrazione c'è la mamma verso ha cui intensi sentimenti ora d'odio ora d'amore. Sono più defilati un padre e una nonna freddi con lei e vessatori con la madre. Isolata dal suo lavoro di mangaka, Kabi trova difficoltà a riallacciare rapporti con gli amici del liceo ma soprattutto è paralizzata dalla forza del desiderio di una relazione importante. La sua solitudine si manifesta con preoccupanti sintomi psicosomatici: un freddo che l'attanaglia senza darle scampo, un'indolenza che le rende difficile uscire dal letto, lo sprofondare in un consumo smodato di alcolici.
Eppure le lettere a sé stessa continuano a essere diligentemente disegnate, anche se i tratti si fanno distorti, i disegni deformati dal dolore psicologico, dalla disperazione. È come se il disegno per Kabi fosse un'ancora di salvezza, ma anche una testimonianza senza scampo della sua incapacità di fare progressi. Lette in un unico volume le sue lettere diventano incarnazione del suo disagio. Le sue tavole irradiano la disperazione e la confusione di una giovane donna capace di riflessioni molto acute su ciò che prova e su quello che le manca, ma anche incapace di vedere con chiarezza attraverso la sua stessa disperazione.
Una confessione intima e potente
Lettere a me stessa - Dopo la mia prima volta riesce a dialogare con il lettore su due livelli. Da una parte è così intimo da metterci al fianco dell'autrice anche nei suoi momenti peggiori, senza filtri o censure. Ogni pagina ci fa provare la potenza della sua disperazione, la difficoltà del rimettere ordine nella sua vita e del risalire la china. Dall'altra parla a tutte le persone che almeno una volta si siano sentite sole, che abbiano provato in piccolo la disperazione, la tristezza, il senso di vuoto che l'autrice vive al massimo grado.
Non è sempre una lettura facile da portare avanti, anzi. Nella prima parte del volume si percepisce chiaramente quanto la visione di Kabi Nagata sulla sua famiglia e sulla sua esistenza sia velata da una depressione di cui è consapevole ma di cui ancora non conosce modalità, limiti ed effetti. Kabi racconta una serie di timidi tentativi d'indipendenza che si trasformano in sonori, disastrosi fallimenti. Mentre il successo delle sue opere aumenta, lei precipita in una spirale distruttiva di sentimenti contraddittori, a cui fa fatica a dare voce.
La seconda parte risulta quasi anticlimatica, ma è una lenta presa di consapevolezza. Attraverso numerosi ricoveri in clinica e la psicoterapia, Kabi Nagata riesce a mettere a fuoco i contorni della sua vita attraverso fiumi di lacrime. A posteriori la prima parte è sfalsata dalla sua incapacità di non vedere la depressione come un superficie deformante sulla sua percezione della realtà. Prima del crollo psicologico, l'autrice arriva spesso a conclusioni diametralmente opposte a quelle che realizza in seguito. Le sue Lettere a me stessa sono il filo sottile a cui si aggrappa in una confessione che a tratti sembra quasi un testamento. Nella forma può sembrare confusa e contraddittoria, ma nella sostanza è un manga che permette di toccare la carne viva di chi lo scrive, insieme ancora di salvezza e fonte infinita di dubbi e di dolore.
Considerazioni finali
Impressiona molto leggere i passaggi in cui ciò che Kabi Nagata scrive e disegna ha poi ripercussioni dirette sulla sua vita, dai commenti online che riceve alla reazione che i suoi familiari hanno quando lei trova il coraggio di far leggere loro le sue opere. La reazione di chi le sta attorno plasma in presa diretta la sua vita e quindi la sua opera: accade per esempio che una ragazza con cui esce ogni tanto le dia spontaneamente il permesso di scrivere della sua presenza e delle sue reazioni nel manga. Un passaggio quasi straniante che diventa poi ricorrente quando l'autrice riflette sulla sua opera e racconta quanto commenti casuali online e nella vita di tutti giorni le inducano continui ripensamenti.
In quanto spettatori e lettori si percepisce chiaramente l'influenza passiva che anche solo la propria presenza esercita sulla vita di chi realizza l'opera; è una constatazione ricorrente nell'era dei social, ma raramente assume questa potenza, portando a interrogarci sulle nostre responsabilità di lettori e testimoni a posteriori.
Sospeso tra memoir e testamento, questo manga conferma la capacità di Kabi Nagata di guardarsi dentro senza filtri e senza sconti. Una lettura forte a livello emotivo e umano sulla solitudine.