Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco: il ritratto di Arya Stark
di Giulia GrecoDiamo uno sguardo alla versione su carta del personaggio di Arya Stark e alle sfumature del suo carattere che nella serie TV sono inevitabilmente andate perse.
Nell'adattamento televisivo de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, conosciamo una Arya Stark imbattibile, fredda e distaccata, soprattutto al suo ritorno a Westeros dopo la parentesi braavosiana. Eppure, la Arya cartacea, il personaggio preferito da Parris McBride, moglie dello scrittore che ha dato vita alla saga dei record, si colora di diverse sfumature, di fragilità, di tenerezza, delle insicurezze tipiche della sua età.
Conosciamo meglio il personaggio scritto magistralmente da George R.R. Martin e ripercorriamone il viaggio nei cinque volumi di A Song of Ice and Fire.
Arya a Grande Inverno, il confronto con Sansa e la femminilità
Il primo capitolo dedicato ad Arya Stark nel primo volume de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco ci fa conoscere la terzogenita di Eddard e Catelyn Stark, una ragazzina che, secondo l'opinione comune, starebbe male nella propria pelle e preferirebbe essere un ragazzo. Eppure, a una lettura più attenta, possiamo notare che Arya è molto più di questo, è il capolavoro di George R.R. Martin, una bambina che, all'inizio della storia, soffre il confronto con la sorella maggiore Sansa, agli occhi di tutti più bella e femminile, dedita alle attività che si confanno a una vera lady di alto lignaggio. Così, la risposta della bambina è quella di ribellarsi agli standard di una società che non la accetta per quello che è e per ciò che le piace. Arya si rifiuta di lasciare che le dure parole di Septa Mordane la feriscano, eppure, inevitabilmente è proprio ciò che accade.
Sansa ha mani così precise, delicate. [...] Arya? La delicatezza di un fabbro ferraio.
La piccola rivolge dunque la propria attenzione ad attività prettamente maschili, soprattutto perché troppo spesso le viene ripetuto di non eccellere in quelle femminili, nel canto o nel ricamo, ma alcune ferite sono difficili a guarire e si convince che non potrà mai essere una di quelle fanciulle di cui cantano le canzoni che tanto ama la sorella, etichettando i sogni dell'idealista e ingenua Sansa come qualcosa di stupido.
Non era giusto, ecco. A Sansa era stato dato tutto. Arya era arrivata due anni dopo e forse, a quel punto, non era rimasto niente da dare a nessun altro. Spesso era così che lei percepiva le cose tra loro. Sansa sapeva ricamare, danzare e cantare, sapeva scrivere poesie e vestirsi, sapeva suonare l'arpa e perfino le campane tubolari. Sansa era bella, e quello era davvero il peggio.
Eppure anche Arya, qualche tempo più tardi, sognerà le canzoni come la sorella, prima di scacciare via il pensiero: "Avrebbe cavalcato con Gendry, diventando una fuorilegge, come Wenda il Daino bianco, celebrata dai cantastorie. Ma era stupido, qualcosa che Sansa avrebbe potuto sognare."
Arya porta con sé queste insicurezze per tutto il suo viaggio, mostra le stesse paure, infatti, mentre viaggia insieme alla Fratellanza senza Vessilli di Beric Dondarrion e Thoros di Myr, sembra essere convinta che il suo essere diversa da Sansa e dalle altre lady di alto rango non la renda, agli occhi della madre, meritevole di affetto.
Lady Catelyn aveva sempre voluto che lei fosse come Sansa, che cantasse, danzasse, ricamasse e coltivasse le buone maniere. Il solo pensiero indusse Arya a ravviarsi i capelli con le dita, ma erano tutti intrecciati, annodati, e l'unico risultato che ottenne fu strapparne un po'.
Persino quando chi le sta attorno le fa notare che tutto ciò che Catelyn Tully Stark desidera è riabbracciare la figlioletta, Arya ricorda le parole della sua Septa, ricorda di avere “le mani di un fabbro”, di non essere abbastanza bella.
Arya, Lyanna, la bellezza e il bullismo
Uno dei temi fondamentali nei capitoli di Arya, soprattutto nei primi tre volumi della saga (Un gioco di troni, Uno scontro di re e Una tempesta di spade) riguarda il rapporto della ragazzina con la bellezza.
La giovane Arya, che all'inizio della storia ha solo nove anni, ricorda spesso e con dispiacere le parole che l'hanno segnata durante tutta la sua infanzia, non solo quelle di Septa Mordane, ma anche quelle di Jeyne Poole, l'amica e dama di compagnia di Sansa, nonché quelle della sorella stessa.
Jeyne Poole la chiamava Arya Faccia di Cavallo e nitriva ogni volta che le passava vicino.
La ragione? Era invidiosa del fatto che esistesse almeno una cosa che Arya sapeva fare meglio di sua sorella: andare a cavallo. Quello, più l'amministrazione della casa. Con i numeri, Sansa proprio non andava d'accordo.
Le continue prese in giro e le angherie subite da bambina fanno sì che Arya perda fiducia in sé stessa e che non riesca mai a scordare di non essere troppo carina.
«Hodor!» Urlò Sansa. «È Hodor che dovresti sposare, sei proprio come lui, stupida e pelosa e brutta!»
Leggendo, tuttavia, diventa sempre più chiaro che la storia di Arya sia quella del brutto anatroccolo che si trasformerà in cigno, qualcosa che i lettori più attenti non hanno potuto fare a meno di notare. In effetti, c'è, nella storia di Arya Stark, un evidente parallelismo con la nota favola. Innanzitutto, Arya è l'unica figlia di Ned e Catelyn ad aver ereditato il look degli Stark, coi capelli scuri, gli occhi grigi e l'ovale del viso allungato. Per questa ragione si sente diversa, goffa rispetto ai fratelli, tanto da credere, da piccola, di essere una bastarda, come Jon Snow.
A un centinaio di piedi dalla riva, tre cigni neri nuotavano sulla superficie, maestosi, incredibilmente sereni... A loro, nessuno aveva detto che c'era la guerra, a loro non importava che gli uomini si facessero a pezzi gli uni con gli altri. Arya li osservò con desiderio. Una metà di lei avrebbe voluto essere un cigno...
Ciò che Arya non sa, però, è che il suo essere diversa non equivale all'avere un aspetto sgradevole, ed è un elemento che emerge in particolare a partire dalla discussione che la ragazzina ha col padre in Un gioco di troni.
«A volte, Arya, in te io vedo lei. Addirittura le assomigli.»
«Lyanna era bella» disse Arya, sorpresa. Tutti lo dicevano. Mentre nessuno l’aveva mai detto di Arya.
Viene qui sottolineato qualcosa di fondamentale: la somiglianza tra Arya e la zia Lyanna Stark, la cui folgorante bellezza fu causa della guerra che distrusse i Sette Regni. Se per sua sorella, per Jeyne e per molti altri la giovane protagonista della saga è sempre stata “Arya faccia da cavallo”, non è lo stesso per tutti gli altri. Ci sono diversi momenti in cui altri personaggi le fanno notare che è carina, come suo padre e Jon (“Non le era mai importato di essere bella, quando era la stupida Arya Stark. Solo suo padre glielo aveva detto. Lui, e Jon Snow, a volte”), oppure Gendry (potete leggere un approfondimento a riguardo su NoSpoiler), lady Smallwood (il cui nome da nubile è Swann, che ricorda l'inglese Swan, cigno) che Arya ricorda come "la lady che le aveva detto che era graziosa", gli uomini che Arya incontra lungo i canali di Braavos, l'uomo inquietante che la importuna alla Pesca e, soprattutto, l'Uomo Gentile, che di volti ne ha visti tanti.
Nonostante ciò, le parole di Jeyne Poole riecheggiano nella mente di Arya anche oltre il Mare Stretto, quando si trova a Braavos, lontanissima da casa, il che ha perfettamente senso nel contesto di una società come Westeros, in cui la bellezza è un elemento importantissimo per una ragazza di lignaggio (cosa anche più evidente nei capitoli narrati dal punto di vista di Brienne di Tarth).
Nonostante le convinzioni di Arya, più volte viene sottolineata l'estrema somiglianza caratteriale e fisica con la zia Lyanna, con la quale condivide molto più del “sangue di lupo”, del temperamento, dell'amore per i fiori o del desiderio di opporsi alle ingiustizie, tanto che Bran scambia addirittura Lyanna per Arya in una delle sue visioni.
Ora due bambini gridavano e duellavano nel Parco degli dèi, usando rami secchi a mo' di spada. La femmina era la maggiore e la più alta dei due. "Arya!" pensò Bran con nostalgia, guardandola saltare su un sasso e vibrare un fendente al maschio. Ma doveva esserci un errore. Se la bambina era Arya, il bambino era Bran stesso... e lui non aveva mai avuto capelli così lunghi. "E Arya non mi ha mai battuto a scherma e sta facendo quella bambina." Lei mise a segno un fendente alla coscia così forte che il bambino perse l'appoggio e finì nel laghetto, cominciando a schizzare acqua e a gridare.
Se Arya sta crescendo e si sta trasformando in una bella fanciulla tanto quanto lo era la defunta zia, Jeyne, causa del suo dolore, per una sorta di legge del contrappasso, sta andando incontro a un destino opposto in Una danza con i draghi, l'ultimo libro edito della saga.
Sono io ad averle dato quel nome. Il suo viso era lungo e cavallino. Il mio non lo è. Io ero carina. Non sono mai stata bella quanto Sansa, ma tutti dicevano che ero graziosa. Lord Ramsay pensa che sia graziosa?
Jeyne è la prima a far sentire Arya insicura riguardo al proprio aspetto, la prima a farle notare i suoi difetti ed è proprio lei a essere costretta a fingersi Arya Stark e sposare il sadico Ramsay Bolton che non fa che torturarla, violarla e renderla brutta.
Il tema del viaggio, la sopravvivenza e la fame
Alla morte del lord suo padre, Arya viene tratta in salvo da Yoren, un confratello giurato dei Guardiani della Notte che cerca reclute da portare alla Barriera.
L'uomo, rude, ma dall'animo gentile, fa passare Arya per un ragazzo in modo che viaggi sicura tra i criminali e gli stupratori che si dirigono al Castello Nero e le promette di ricondurla a casa, a Grande Inverno.
Sempre sporca di fango, con le ginocchia sbucciate e i capelli in disordine, per Arya è semplice passare per un piccolo orfano di nome Arry (non è certo la prima volta che viene, suo malgrado, scambiata per un maschio, “Era la terza volta che la chiamava 'ragazzo'. «Sono una ragazza» precisò Arya”), ciò che è difficoltoso è raggiungere il Nord.
Nel bel mezzo della guerra dei cinque re, la piccola Arya viaggia in lungo e in largo per tornare al posto che non avrebbe mai dovuto né desiderato lasciare, il luogo che le manca più di qualunque altro e in cui spera di ritrovare la propria famiglia. Ma qualcosa va storto e Arya non riesce a raggiungere Grande Inverno, invece resta per lungo tempo nelle Terre dei Fiumi.
Nel corso dei cinque volumi editi della saga, la giovane protagonista vive esperienze estremamente traumatiche, trasformandosi in un personaggio via via più oscuro, senza però perdere mai le doti che la caratterizzano fin dall'inizio: empatia e compassione.
Arya subisce una grande quantità di cambiamenti, lascia casa, spera e viene inevitabilmente delusa, perde le persone a lei care, si ritrova sola mentre è costretta a vivere gli orrori della guerra. In questo clima diventa fondamentale per lei riuscire a sopravvivere e lo fa diventando sempre più avvezza all'uccidere. Arya intende gli assassinii in termini di sopravvivenza ed è chiaro fin dal momento in cui si vede costretta a uccidere il ragazzo di stalla che minaccia di acciuffarla per portarla da Cersei nella Fortezza Rossa.
L'afferrò per un braccio, le fece male. In un istante di assoluto terrore, tutto quello che Syrio Forel le aveva insegnato svanì. L'unica lezione che Arya riuscì a ricordare fu quella che le aveva dato Jon Snow, la prima. Colpì con la punta della spada, muovendo la lama verso l'alto, con brutale forza isterica.
Allo stesso modo, nel momento in cui Gendry scopre che lei è una ragazza sotto mentite spoglie, il primo pensiero che passa per la mente di Arya è di ucciderlo per preservare il proprio segreto e garantire la propria sopravvivenza.
Poteva estrarre Ago e ucciderlo lì, in quel preciso istante, oppure poteva fidarsi di lui.
Nonostante Arya scelga di fidarsi di Gendry, che ormai è diventato suo amico, ciò che è importante sottolineare è che per lei uccidere diventa sinonimo di sopravvivere. Ad Arya non piace togliere la vita alla gente, ammette di trovarlo perfino faticoso, ma ritiene che a volte sia necessario. E non solo quando si tratta di salvare la propria vita o quella di chi le sta accanto, ma anche quando uccidere corrisponde a un senso di giustizia impartitole da suo padre, un po' come quando giustizia Dareon, disertore dei Guardiani della Notte.
Ciò che è fondamentale notare è che la discesa di Arya verso un percorso oscuro si affianca sempre alla paura di ciò che i suoi cari penserebbero di lei se sapessero ciò che ha dovuto fare per non soccombere una volta scappata dalle grinfie di Cersei Lannister o mentre era prigioniera a Harrenhal.
Quello che però Arya non sapeva era quanto Robb avrebbe pagato per lei. Adesso era un re, non più il ragazzo che aveva lasciato a Grande Inverno, con la neve che gli si scioglieva tra i capelli. E se avesse saputo le cose che lei aveva fatto, il ragazzo infilzato nelle stalle della Fortezza Rossa, la guardia sgozzata a Harrenhal, tutto il resto...
Il contesto che fa da sfondo alla storia di Arya è pericoloso e caotico. Non deve sorprendere che Arya, una bambina traumatizzata dagli orrori della guerra, arrivi a pensare che uccidere sia il solo modo per cavarsela in una situazione in cui patire la fame e la sete è la sua nuova quotidianità. Eppure Arya non perde mai quel senso di compassione ed empatia che la caratterizza da sempre.
Un elemento fondamentale nei capitoli dedicati ad Arya Stark nel secondo e terzo volume della saga è proprio quello della fame. È un tema sempre presente nelle pagine di cui Arya è protagonista, in quelle che seguono la sua permanenza ad Approdo del Re. Arya è costretta a condividere il suo già limitato cibo con i suoi compagni di viaggio, il che le fa comprendere, come nessun altro, le sofferenze della stragrande maggioranza del popolo dei Sette Regni.
Tutta la storyline di Arya, soprattutto nei primi volumi de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, è incentrata sulle conseguenze che la guerra dei cinque re ha sulle classi sociali più deboli, sul popolino dei Sette Regni. Arya, che è sempre stata capace di empatizzare con tutti senza distinzioni di classe, comprende la situazione del popolo di Westeros come nessun altro lord o lady riesce a fare. Proprio per questo non solo riesce a sopravvivere nelle Terre dei Fiumi e a Braavos, oltre il Mare Stretto, ma riesce anche a essere una leader tra i suoi compagni, che guardano a lei per guidarli verso la salvezza.
L'idea di branco: Arya è un animale sociale
I legami che Arya intesse con i suoi compagni di viaggio e con le persone con le quali entra in contatto sono un tratto fondamentale del percorso della terzogenita di casa Stark.
Nonostante la serie televisiva di David Benioff e D.B. Weiss ci abbia mostrato una ragazza che ha difficoltà nel relazionarsi con gli altri in particolare nella settima o ottava stagione, la verità è che la Arya di George R.R. Martin ha a cuore la gente e non ha alcuna difficoltà nello stringere amicizia con chiunque.
L'idea che Arya sia una ragazza solitaria non ha basi fondate nelle pagine dei romanzi di Martin, perché è quella che più di tutti gli altri entra in contatto con personaggi di estrazione sociale differente, instaurando legami forti e duraturi, senza mai sentirsi per questo migliore di nessuno.
Pur essendo consapevole del fatto di aver ricevuto un'educazione e un'istruzione che alla maggior parte del popolo è preclusa, pur essendo conscia di essere stata per gran parte della sua vita una bambina privilegiata che ha avuto la fortuna di vivere in un castello, Arya riesce a divenire complice e confidente di ragazzini orfani che non hanno avuto le stesse sue possibilità.
Si affeziona a Gendry e a Frittella al punto tale da considerarli il suo branco. Non le importa di inimicarsi Cersei e Joffrey se ciò significa fare giustizia per Micah, il garzone di macellaio ingiustamente giustiziato dal Martino. Si prende cura della piccola Weasel (e qui si potrebbe aprire anche una lunga conversazione su quanto riesca a essere una figura materna, nonostante la giovane età) e stringe allo stesso modo amicizia con Edric Dayne, lord di Stelle al Tramonto. Arya non dimentica mai Syrio Forel e inserisce il nome di Meryn Trant nella sua lista dell'odio proprio perché il soldato ha preso la vita del suo maestro. E quando sua sorella Sansa ricorda le giornate trascorse nella più totale spensieratezza a Grande Inverno, non può fare a meno di ammettere quanto Arya fosse complice con chiunque, non solo con la sua famiglia, anche con tutti i servitori della casa Stark:
Sansa sapeva tutto quello che c'era da sapere sul genere di gente con la quale ad Arya piaceva parlare: signorotti di basso rango, stallieri, servette, uomini anziani, bambini mezzi nudi, mercenari di dubbia nascita. Arya era capace di fare amicizia con chiunque.
Non è un caso che proprio ad Arya suo padre Ned ricordi che “quando la neve cade e i venti gelidi soffiano, il lupo solitario perisce, mentre il branco sopravvive”.
La solitudine, la sindrome dell'abbandono, l'identità e la vendetta
Arya però un branco non ce l'ha più. Quando lascia Grande Inverno col padre e la sorella è costretta a dire addio a Jon Snow, a sua madre e ai fratelli Robb, Bran e Rickon. Da lì in poi le cose precipitano irreversibilmente. Suo padre viene giustiziato, sua madre e Robb vengono traditi e massacrati durante le Nozze Rosse e Arya crede che Bran e Rickon siano stati uccisi da Theon Greyjoy. Così, mentre viaggia con Yoren, si crea un altro branco, una nuova famiglia, incontra altre persone di cui si fida e alle quali si affeziona. Anche loro però la deludono e, nonostante pensi a loro svariate volte, non può fare a meno di sentirsi abbandonata da tutti.
Loro avevano sterminato il suo branco, ser Ilyn, ser Meryn e la regina, e quando lei aveva cercato di crearsene uno nuovo, erano tutti fuggiti, come Frittella e Gendry, oppure erano morti, come Yoren, Lommy Maniverdi e anche Harwin, che era stato un uomo di suo padre.
Il tema dell'abbandono ritorna ciclicamente nella storia di Arya, così come quello della solitudine. Quando Arya vede, attraverso gli occhi di Nymeria, il suo metalupo, il corpo privo di vita della madre, sente di non avere più nessun legame con Westeros, sente di essere sola, di non avere nessuno al di là di Jon Snow, il fratello che non riesce però a raggiungere. Arya sente un vuoto al posto del cuore, un vuoto che le ricorda tutte le persone che hanno fatto parte della sua vita e che ora non ci sono più.
Vuoto. Arya Stark aveva questa sensazione ogni mattina, a ogni risveglio. Non era fame, sebbene a volte ci fosse anche quella. Era una cavità, un vuoto, là dove un tempo c'era il suo cuore, dove un tempo dimoravano i suoi fratelli, i suoi genitori.
Così, convinta di non avere altro posto in cui andare, si dirige verso Essos, il continente orientale, su una nave mercantile nota come la Figlia del Titano.
Nonostante, giunta a Braavos, si rifugi nella Casa del Bianco e del Nero e accetti di rinnegare e dimenticare sé stessa per diventare nessuno, Arya non riesce mai a scordare di essere una Stark.
Nel suo intimo era qualcuno... ma quella non era la risposta che l'uomo gentile desiderava.
L'uomo gentile la redarguisce, la informa che c'è un lato prezzo da pagare per divenire un'accolita della Casa del Bianco e del Nero, Arya deve essere pronta a offrire tutto ciò che ha al dio dai Mille volti, “il tuo corpo, la tua anima, te stessa. Se non riesci a farlo, allora devi andartene”.
Ma Arya non vuole tornare indietro e non perché pensi di essere nel posto al quale appartiene, non perché voglia diventare un'assassina senza volto, ma perché crede di essere sola al mondo e pensa che, addestrandosi a Braavos, sarà in grado di fare giustizia per la sua famiglia, una famiglia che non potrà mai lasciarsi alle spalle.
Sarebbe stata nessuno, se così doveva essere. Nessuno non aveva buchi dentro di sé.
Nonostante cerchi di convincersi di poter riuscire a essere nessuno, malgrado si trovi a migliaia di leghe da casa, Arya non riesce ad allontanare dalla mente i ricordi e le immagini di Grande Inverno.
«[...]E tu, bambina mia? Quando annusi le nostre candele accese, a che cosa pensi?»
"A Grande Inverno" avrebbe potuto dire Arya. "Sento neve, fumo e aghi di pino. Sento le stalle. Sento Hodor che ride, Jon e Robb che si addestrano nel cortile, Sansa che canta qualche stupida canzone su una bella dama. Sento le cripte dove riposano i re di pietra, sento il pane caldo che cuoce nel forno, sento il parco degli dèi. Sento la mia lupa, la sua pelliccia, come se fosse ancora accanto a me." «Non sento nulla» rispose, giusto per vedere che cosa avrebbe risposto lui.
«Tu menti» ripeté l'uomo gentile «ma puoi tenere i segreti per te, se lo desideri, Arya di Casa Stark.» La chiamava così solo quando lei lo scontentava. «Sai che puoi andartene da questo posto. Non sei una di noi, non ancora. Puoi tornare a casa quando vuoi.»
«Ma tu hai detto che se me ne vado poi non posso più tornare indietro.»
«È così.»
Arya dice all'uomo gentile quello che crede lui voglia sentire, così da poter restare nella Casa del Bianco e del Nero. L'uomo gentile le ha detto che "non è un riparo per gli orfani", per bambini che non sanno dove andare e che hanno sofferto per la fame, per cui Arya deve essere diversa, deve indossare una maschera come già fatto in precedenza.
Solo l'uomo gentile parlava la lingua comune. «Chi sei?» le chiedeva ogni giorno.
«Nessuno» rispondeva, lei che era stata Arya di Casa Stark, Arya Piededolce, Arya Faccia di cavallo. Era stata anche Arry e la Donnola, Squab e Salty, Nan la coppiera, un topo grigio, una pecora, il fantasma di Harrenhal... ma non per davvero, non nel profondo del suo cuore. Nel suo intimo era Arya di Grande Inverno, figlia di lord Eddard Stark e di lady Catelyn, e una volta aveva dei fratelli, Robb, Bran e Rickon, e una sorella di nome Sansa, un meta-lupo chiamato Nymeria, un fratellastro che rispondeva al nome di Jon Snow.
Il legame con il suo Nord, incarnato nella spada che Jon le dona prima di partire per la Barriera, è indissolubile e niente potrà mai intaccarlo, neppure la sua affiliazione alla Casa del Bianco e del Nero e alla filosofia degli uomini senza volto.
Ago era Robb, Bran, Rickon, sua madre, suo padre e anche Sansa. Ago erano le pareti grigie di Grande Inverno e le risate della sua gente. Ago erano le nevicate estive, le storie della vecchia Nan, era l'albero-cuore con le sue foglie rosse e il terribile volto scolpito nel legno, era l'odore caldo di
terra dei giardini coperti, il vento del Nord che faceva sbattere le imposte della sua stanza. Ago era il sorriso di Jon Snow. "Mi spettinava e mi chiamava 'sorellina'" ricordò, e d'un tratto le si riempirono gli occhi di lacrime. […] "Sono gli dèi che vogliono che sia mia." Non i Sette, né il dio dai Mille volti, ma gli dèi di suo padre, i vecchi dèi del Nord.
“Il dio dai Mille volti può avere tutto il resto, ma non questa.”, conclude Arya quando sceglie di conservare qualcosa che simboleggi la sua identità e che anticipi il suo ritorno al Nord.
Gli assassini senza volto e la filosofia della morte
Solo se sfioriamo la superficie e non scaviamo più a fondo possiamo pensare che lo scopo ultimo della storia di Arya sia la vendetta in sé e per sé. È vero che Arya è un personaggio che desidera giustizia per la sua famiglia, è vero anche che probabilmente sarà capace di canalizzare positivamente le proprie esperienze, infrangere le regole e modificare le norme che regolano la società di Westeros. È altresì vero, però, che, nonostante la sua presenza nella Casa del Bianco e del Nero sembri avvalorare questa tesi, il personaggio di Arya potrebbe prendere una direzione molto diversa, una svolta che ha a che fare con la morte, con la Lunga Notte e con la minaccia degli Estranei a Nord.
Servire il Dio dal Mille Volti non significherebbe, per Arya, solamente rinunciare alla propria identità di Stark, potrebbe significare divenire un agente della morte stessa.
Gli assassini senza volto sono diversi da tutti gli altri. Sono conosciuti, temuti e rispettati per le loro eccezionali capacità, ma il loro compito primario non consiste nell'uccidere, bensì nel servire. Solo servendo il Dio dai Mille Volti, i suoi adepti possono donare la morte alle proprie vittime. È proprio qui che sta la differenza: la morte non è percepita come una maledizione, ma come un dono, un'offerta misericordiosa.
«La morte non è la cosa peggiore» le rispose l'uomo gentile. «È un dono che Lui ci fa, la fine alle nostre miserie e tribolazioni. Quando nasciamo, il dio dai Mille volti ci invia un angelo nero che rimane ad accompagnarci per tutta la vita. Quando i nostri peccati e le nostre sofferenze diventano troppo pesanti da sopportare, l'angelo ci prende per mano e ci porta nelle terre della notte, dove le stelle brillano in eterno».
Non possiamo dire con certezza che il destino di Arya sia legato alla Lunga Notte, ma sappiamo per certo che non è un caso che si trovi a Braavos e a suggerirlo è proprio l'uomo gentile che fa da mentore alla giovane Stark.
«Potrebbe essere stato il dio dai Mille volti a condurti qui, in modo che tu sia un suo strumento, ma quando ti guardo vedo un bambino... anzi, peggio, una bambina. Molti hanno servito il dio dai Mille volti nel corso dei secoli, ma pochissimi dei suoi servitori sono stati donne. Le donne portano nel mondo la vita. Noi portiamo il dono della morte. Nessuno può fare entrambe le cose.» […] «Se resti, il dio dai Mille volti ti prenderà le orecchie, il naso, la lingua. Prenderà i tuoi tristi occhi grigi che tante cose hanno visto. Prenderà le mani, i piedi, le braccia e le gambe, le tue parti intime. Si impossesserà delle tue speranze e dei tuoi sogni, di ciò che ami e di ciò che odi. Quelli che entrano al suo servizio devono abbandonare tutto quello che li rende ciò che sono. Credi di farcela?»
Secondo la lettura più popolare della presenza di Arya a Braavos, la giovane sarebbe destinata a diventare un emissario di morte. Il suo ruolo sarebbe assimilabile a quello del primo uomo senza volto, la persona che, secondo il racconto dell'uomo gentile sulla nascita del credo, è colui che ha liberato gli uomini tenuti schiavi a Valirya dai Signori dei Draghi e posto fine alle loro sofferenze facendogli dono della morte.
«Ogni dio ha i suoi strumenti, uomini e donne che lo servono e lo aiutano a esercitare il suo volere sulla Terra. Gli schiavi non sembravano rivolgere le loro invocazioni a cento dèi diversi, ma a un unico dio con cento volti differenti... e lui era lo strumento di quel dio. Quella stessa notte scelse il più disgraziato degli schiavi, quello che aveva pregato con più fervore e lo liberò dal suo giogo. Il primo dono era stato fatto.» […]
Arya fece un passo indietro. «Uccise lo schiavo?» Non le sembrava una giusta. «Avrebbe dovuto uccidere i padroni!»
Pur se letali assassini, gli uomini senza volto hanno uno scopo che va oltre il semplice uccidere su commissione. Il loro fine ultimo è quello di ristabilire l'ordine naturale delle cose, mantenendo intatto l'equilibrio tra vita e morte. E se Arya diverrà un agente della morte, sarà proprio questo il suo compito: restaurare l'armonia della natura quando la Lunga Notte avrà fine.
Possiamo solo immagine che Arya, giunta a Braavos per volere del fato, convinta di essere addestrata per essere un'assassina e vendicarsi di chi ha fatto del male alla sua famiglia, abbia uno scopo molto più grande e che, così come il primo assassino senza volto ha fatto dono della morte agli schiavi dell'Antica Valyria, così Arya potrà fare con i morti che camminano schiavi degli Estranei.
Così l'arco narrativo di Arya a Bravvos ha lo scopo di far sì che lei si ponga un importante interrogativo etico: è giusto decidere chi può vivere e chi merita di morire?