L’ultimo sopravvissuto: un libro difficile e controverso sull’Olocausto

di Chiara Poli

La storia di un ragazzo ebreo che, all’arrivo dei nazisti in Polonia, inizia a vivere all’inferno. Con un controverso punto di vista sulla storia del suo popolo. Ecco la recensione de L’ultimo sopravvissuto di Sam Pivnik.

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Ho già avuto modo di scrivere di questo libro, e ho usato la parola che voglio ripetere anche qui: difficile.

L’ultimo sopravvissuto di Sam Pivinik per me è stata una lettura faticosa, anche dolorosa sotto diversi punti di vista.

Perché l’ultima cosa che ti aspetti, quando leggi una testimonianza sugli orrori del nazismo - come nei libri da leggere sull’Olocausto - è di provare una forte antipatia per chi ha vissuto quegli orrori. Un’antipatia motivata da posizioni inaccettabili su una tragedia che nessuno dovrebbe mai svilire.

Ma andiamo con ordine.

L’ultimo sopravvissuto: la trama

Presentato come il libro che ha commosso il mondo intero, L’ultimo sopravvissuto racconta la storia vera di Sam Pivnik, ebreo polacco che quando la Germania invade la Polonia, nel 1939, ha soltanto 13 anni.

Sam viene mandato a vivere nel ghetto, fra la precarietà e la paura. Durante un rastrellamento, viene deportato con la sua famiglia ad Auschwitz, dove è l’unico a sopravvivere: tutti i suoi cari vengono uccisi.

Determinato a restare in vita, Sam sopravvive al campo, al pericoloso e devastante lavoro in miniera, alla famigerata marcia della morte e al bombardamento inglese della nave Cap Arcona, sulla quale finisce prima di essere liberato.

Una voce scomoda

Sam Pivnik, questo è fuori discussione, ha attraversato l’inferno. I soprusi dei nazisti, l’internamento, gli intollerabili turni di lavoro senza cibo sufficiente a sostentarlo, senza contare la perdita della sua famiglia.

Quando è solo un ragazzo, Sam si ritrova solo al mondo.

Ed è allora che prende una decisione: sopravvivrà, a qualsiasi costo. Ma non è come Lale, il protagonista di un’altra storia vera: Il tatuatore di Auschwitz. No. Sam è come il narratore che afferma quanto sia sbagliato uccidere per salvare se stessi e poi uccide. Per salvare se stesso.

Sam è una voce scomoda, che svilisce il coraggio di chi, internato nei campi o rinchiuso nei ghetti, diede la vita nel tentativo di ribellarsi.

Una parte della storia vuole farci credere che non un solo ebreo provò a combattere, che tutti marciavano rassegnati verso la morte. Non è così.

Ma Sam Pivnik ci racconta questo: cancella il coraggio dei molti che, nella sua stessa situazione, si rifiutarono di uccidere.

Sam è determinato a sopravvivere, certo, e per farlo si macchia di crimini orribili. Per intenderci: Sam non è un Kapò, ma la percezione che abbiamo di lui è quasi la stessa.

La questione morale

Non possiamo sapere cos’avremmo fatto al suo posto, perché certe situazioni possono essere immaginate, ma solo chi le ha vissute può comprenderle.

Eppure, il suo atteggiamento ci dice che magari avremmo fatto ciò che ha fatto lui, ma probabilmente senza stare a giudicare come codardi tutti gli altri.

Quando non hai modo di sottrarti agli assassini, diventare un assassino a tua volta è un’opzione moralmente inaccettabile. Ben diverso, però, è uccidere il nemico per provare a reagire o uccidere un altro disgraziato nelle tue stesse condizioni perché non tocchi a te.

Non hai modo di sapere se il giorno dopo qualcun altro farà lo stesso con te e devi prendere una decisione impossibile.

Solo, dovresti farlo senza giudicare come un codardo chi preferisce dare la propria vita piuttosto che prendere quella di un altro.

Negare la lotta?

L’indulgenza che Sam Pivnik rivolge a se stesso non trova spazio per nessun altro. E durante l’Olocausto, moltissimi furono i coraggiosi - e le coraggiose - pronti a morire per provare a rovesciare le sorti della loro famiglia, del loro quartiere, della loro comunità, del loro popolo.

Le ribellioni nei ghetti, gli agguati alle SS, l’omicidio degli esponenti più in vista delle SS (penso a Heydrich, ucciso dalla Resistenza durante l’Operazione Anthropoid, raccontata dal film L’uomo dal cuore di ferro).

La storia di Sam Pivnik spezza il cuore, certo. La sua sofferenza - fisica ed emotiva - non può non suscitare compassione per il suo destino.

Ma la sua ferma volontà di negare ogni possibilità di riscatto a ogni singolo ebreo in Europa influenza inesorabilmente la percezione che abbiamo del suo modo di vedere le cose. E del suo modo di raccontarle.

La storia di Sam spezza il cuore. Ma fa anche riflettere, non solo sull'orrore dello sterminio nazista ma anche sulla diversa percezione della prigionia e del concetto di sopravvivenza che i superstiti potevano avere.

Sam Pivnik non è da giudicare: la sua storia va semplicemente ascoltata. Tramite le parole di un libro da leggere.

L'ultimo sopravvissuto. Una storia vera di Sam Pivnik FrasiX
L'ultimo sopravvissuto. Una storia vera di Sam Pivnik
VOTO8.5 / 10

Un libro difficile, con un punto di vista moralmente controverso. Ma anche una testimonianza da leggere, per provare a mettersi nei panni di chi ha attraversato l'inferno... E per non dimenticare mai.