Il colibrì, la recensione del romanzo di Sandro Veronesi che ha vinto il Premio Strega
di Cristina MigliaccioMarco Carrera ha vissuto tante tragedie nella sua vita, ma la più grande forse è stata assorbire con passività tutte quelle degli altri.
Per una grande fetta di vita, forse la più importante, Marco Carrera è stato paragonato a un colibrì, per il fisico minuto, che non voleva crescere, restando prigioniero di una gabbia che sua madre invece vedeva come un miracolo. Ma, grazie alla scienza, del colibrì in Marco non è rimasto più niente: puff, cresciuto, diventato l'uomo che avrebbe dovuto essere già per natura. Sandro Veronesi ha partecipato e trionfato al Premio Strega 2020 con Il colibrì, un romanzo che racconta dinamiche famigliari e la staticità dell'essere, come l'accumularsi delle sventure risulti in noi un normale cambiamento, anche quando abbiamo la sensazione di non esserci mossi di un centimetro.
Sandro VeronesiMa è vero che se una storia d'amore non finisce, o come in questo caso nemmeno comincia, essa continuerà a perseguitare la vita dei protagonisti con il suo nulla di cose non dette, azioni non compiute, baci non dati: è vero sempre ma soprattutto fu vero per loro.
Marco Carrera, medico di professione (oculista), non ha mai avuto il coraggio di vivere fino in fondo l'amore. Perché, quando l'ha fatto, una fetta del suo mondo è venuta meno. Marco ha perso sua sorella, Irene, quand'erano ancora dei ragazzini e del mondo capivano forse poco e niente. Crescendo, Marco ha poi perso i suoi genitori, a distanza di poco tempo l'uno dall'altro, entrambi malati di tumore. Genitori che Marco ha amato incondizionatamente, ma che hanno trascinato a lungo il matrimonio, evitando il divorzio, soltanto per amore di quei ragazzi e non per il proprio. Poi Marco ha affrontato la separazione dalla moglie Marina, un'anima fragile che ha sempre vissuto nella condizione passiva di un lutto anche quando non c'era nulla più da piangere.
Sandro VeronesiLei si era solo inventata un lutto, ma lui le era piombato addosso e l'aveva travolta con la favola che erano fatti l'uno per l'altra. Non erano fatti l'uno per l'altra. Nessuno è fatto per nessun altro, a dire il vero, e persone come Marina Molitor non sono fatte nemmeno per se stesse.
Dall'unione con Marina, però, è nata una bellissima bambina, Adele, particolare però come la madre. Adele ha sviluppato un rapporto di co-dipendenza dal padre che potremmo riassumere con la "sindrome del filo": sin da piccola, la bambina vedeva un filo attaccato alla sua schiena e quel filo rappresentava l'assenza del padre, un modo malsano per manifestare la mancanza d'attenzioni e il bisogno viscerale di vivere di più con il papà anziché la mamma. Un rapporto così forte e indissolubile che Adele, anche una volta cresciuta, se tenuta lontana dal padre avrebbe nuovamente manifestato il disagio del "filo" alla schiena.
Sandro VeronesiIl filo era sparito e vi si era affidata di nuovo quando tutto invece era esploso, ed ecco ricomparire il filo, fino a trasformare Monaco di Baviera in una ragnatela inestricabile, invivibile, e indicare così la soluzione ai suoi genitori inadeguati.
Il filo di Adele non era altro che un campanello d'allarme per dire ai suoi genitori: "Basta così", fate un passo indietro, "papà, proteggimi". Adele aveva bisogno di stabilità e quella stabilità non sarebbe arrivata con una madre priva d'equilibrio mentale.
Quella di Veronesi è l'unione di più sottotrame, il cui unico punto in comune è Marco Carrera: Marco che s'innamora, ma vive un amore a distanza, fatto di lettere, di malinconia, di speranza, di illusione, di amarezza, di rimpianto.
Sandro VeronesiLe parole che mi sussurravi fino a pochi mesi fa sono la cosa più bella che mi è toccata: lasciamele.
Marco vuole bene a sua figlia e per lei si annulla, dice sì a tutto, dice sì persino a voler crescere la nipote come sua figlia perché Adele ne ha bisogno. Marco, nonostante il divorzio e le accuse pesanti di Marina, non chiuderà mai la porta in faccia all'ex moglie. Marco, che vuole bene a suo fratello nonostante la gelosia, cerca di riallacciare i rapporti tranciati anni prima a causa di un amore non corrisposto. Questo romanzo unisce una confessione dopo l'altra, è un continuo rimarcare i punti deboli di un essere umano che non ha mai giocato abbastanza la sua partita, costantemente impegnato a inseguire i disagi degli altri: l'instabilità di Luisa, il suo grande amore, per non parlare dell'instabilità della ex Marina, così come l'instabilità di Adele, sua figlia, una brava ragazza ma che è sempre andata alla ricerca di un brivido più grande.
Marco Carrera è sempre rimasto immobile, senza avvertire lo stimolo di cambiare, perché il cambiamento era tutto intorno, una spugna per le tragedie altrui che l'hanno reso un uomo accondiscendente, quasi abituato al dramma, e che forse non ha mai pensato troppo a se stesso, mettendo il bene delle persone amate al primo posto.
Perché leggere Il colibrì di Veronesi? Perché quello che scrive fa parte di ognuno di noi: siamo tutti sommersi dal dramma di qualcun altro, talvolta non ce ne rendiamo neppure conto, altre volte invece è quello di cui abbiamo bisogno per riempire quel vuoto dentro di noi. Un romanzo che spazia dentro temi delicati (come la solitudine, l'abbandono, il suicidio) e non li tratta in modo banale, ma con una penna leggera, senza appesantire quel qualcosa che sappiamo già di nostro essere - per l'appunto - concepito come un dramma.
Con una prosa dai ritmi incalzanti, in un mix di stili (talvolta troviamo periodi in cui è impossibile riprendere fiato per quanto prolissi), Sandro Veronesi ha dimostrato di meritare il Premio Strega 2020.
Questo romanzo unisce una confessione dopo l'altra, è un continuo rimarcare i punti deboli di un essere umano che ha inseguito e vissuto i drammi degli altri, dimenticandosi di se stesso.