Il ritratto di Dorian Gray, recensione del romanzo di Oscar Wilde
di Giulia GrecoIl ritratto di Dorian Gray è il capolavoro di Oscar Wilde, che regala al lettore uno dei personaggi più ambigui e affascinanti della letteratura inglese d'età vittoriana.
Quando pensiamo a Oscar Wilde, un’opera ci viene in un lampo alla mente e si tratta de Il ritratto di Dorian Gray, capolavoro dell’autore e manifesto dell’estetismo inglese.
L’opera, che già nella sua prefazione incarna il pensiero di Wilde sull’arte intesa come bellezza, perfezione e allo stesso tempo dannazione, narra la storia di un bellissimo giovane, Dorian Gray, che mentre viene ritratto dal pittore Basilio Hallward, fa la conoscenza dell’aristocratico Lord Enrico Watton. È sotto l’influenza di quest’ultimo che Dorian, già affascinato dal culto del bello, si abbandona a una vita di piaceri effimeri infatuandosi della propria immagine ritratta nel dipinto dell’amico Basilio, innamorato del protagonista.
Così ha inizio quel lento decadimento morale, quella degenerazione spirituale che conduce Dorian a considerare la bellezza qualcosa di talmente raro e unico da indurlo a sperare di non doverne mai far a meno.
Che cosa triste! Io diverrò, brutto, ignobile, e questa pittura rimarrà sempre giovane […]. Oh, se potesse avvenire il contrario! Se potessi, io, restar sempre giovane e invecchiasse invece la pittura! Per questo […] darei la mia stessa anima!
Il meraviglioso ritratto dipinto da Basilio diventa il riflesso del deterioramento interiore di Dorian, invecchia e si abbruttisce giorno dopo giorno, si trasforma nella sua coscienza e soffre dei peccati commessi dalla sua controparte in carne e ossa.
Il dandy Dorian Gray è dunque emblema di un’esistenza estetica, di un uomo che vive e esteticamente e che continuamente cerca piacere e godimento in ogni istante ed esperienza. Dorian Gray si trasforma e altera i suoi sentimenti frantumando la sua personalità e creando immagini confuse ed evanescenti di sé stesso. Vive così la più piacevole delle esistenze, senza mai impegnarsi fino in fondo con nessuna delle possibilità che gli si presenta e che, anzi, si esaurisce ancor prima che l’esteta stesso ne possa assaporare la gioia del compimento. Esempio più lampante è la parabola di Sibilla Vane, l’attrice di cui Dorian pensa di innamorarsi, ma che abbandona bruscamente quando si rende conto di non amare lei, ma i personaggi, e quindi l’arte, che interpreta.
Appassionato di ogni esperienza intellettuale e culturale, dalla musica al teatro, Dorian perde interesse nella fanciulla quando Sibilla appare ai suoi occhi come incapace di comprendere l’arte dei versi che declama.
Hai ucciso il mio amore. Eccitavi la mia immaginazione: adesso non risvegli nemmeno la mia curiosità, mi sei soltanto indifferente. Ti ho amato perché eri meravigliosa, perché avevi genio e intelletto, perché davi realtà ai sogni dei grandi poeti e forma e sostanza alle ombre dell’arte. Adesso ha disperso tutto: sei frivola e sciocca. […] Come conosci poco l’amore se credi che esso inaridisca l’arte: senza di essa non sei nulla.
Totalmente immerso nella società aristocratica della Londra vittoriana, che lo adula e lo coccola incantata dal suo bell’aspetto, Dorian se ne allontana via via, smarrendosi in un vortice di dissolutezza morale dal quale emerge solo nel finale con la consapevolezza di dover affrontare l’unico testimone che resta dei suoi crimini. Rimane solo il ripugnante ritratto, a lungo tenuto nascosto, espressione della vanità e dei peccati commessi e allegoria del rimorso che promette di perseguitarlo per tutta la vita.
L'opera, manifesto del pensiero di Oscar Wilde sulla vita come arte e l'arte come vita, ha per protagonista un anti eroe decadente, simbolo del dandysmo, del narcisismo e dell'edonismo .