La terra, il cielo i corvi: c'era una volta un russo, un tedesco e un italiano...
di Simone Alvaro SegatoriUna Russia gelida fa da cornice a tre soldati in fuga dalla guerra. Sembra l'inizio di una storia come tante ma è solo la premessa di un racconto unico raccontato con maestria da Turconi e Radice.
Parte da una storia vera La terra, il cielo i corvi, il nuovo lavoro di Stefano Turconi e Teresa Radice che dopo le atmosfere marinare de Il porto proibito, e quelle calde e accogliente de Le ragazze del Pillar, accompagnano il lettore in un racconto nel cuore gelido della Russia del 1943. Radice racconta la storia di un fratello perduto del nonno basandosi su alcune vecchie lettere ritrovate in un cassetto. Una storia profonda, personale, ma che sa farsi comprendere da tutti e scalda particolarmente il cuore a chi ha perduto qualcuno in guerra.
La trama vede tre soldati, tre sconosciuti, tre uomini, costretti insieme da una fuga dalle prigioni sovietiche. Vorrebbero separarsi ma sanno che rimanere da soli è più pericoloso che continuare a restare insieme. I tre non si piacciono, hanno motivi evidenti per dubitare l'uno dell'altro e, soprattutto, non si capiscono. Uno è un caporale tedesco, un certo Volker Werner detto Fuchs (Volpe) che scappa dalla sua prigionia ma viene bloccato da un altro prigioniero, l'italiano Attilio Limonta che lo costringe a portarlo via con lui. Insieme prendono in ostaggio il giovane soldato russo Ivan Pavlovic Mostovskoij, Vanja, iniziando così il loro viaggio verso la salvezza.
La lingua risulta un elemento fondamentale dell'opera, quasi un quarto protagonista. È tramite l'uso della lingue infatti che gli autori riescono a simulare quella sensazione di straniamento che si prova di fronte a parole apparentemente incomprensibili e che diventano familiari solo con il tempo e grazie al contesto in cui vengono pronunciate. Su questo fronte il personaggio di Attilio è un po' come il lettore è sarà chiamato più volte a cercare di capire i suoi compagni dal contesto, a volte rispondendo al tedesco e al russo con il dialetto lombardo.
Le barriere linguistiche non sono però gli unici ostacoli che i tre dovranno affrontare. All'interno di questa improvvisa convivenza forzata i tre uomini mostreranno al lettore tutte le loro differenze: da quelle caratteriali a quelle culturali, da quelle ideologiche a quelle fisiche, dando modo agli autori di mettere in moto un discorso sulla diversità dove c'è però sempre l'eco di un unico comune denominatore, la guerra. Il conflitto mondiale infatti - che non è il centro del racconto pur essendo al centro del racconto - separa e unisce, spingendo fronti diversi a combattere per uno stesso obiettivo, la vittoria. A che prezzo però? I protagonisti si confronteranno spesso con e su questi dilemmi, che andranno a scavare anche nel loro passato rivelando particolari e segreti per far comprendere appieno ogni loro scelta.
Nel mentre che Volpe, Attilio e Vanja scappano con gli stivali immersi nella neve nascondendosi nei boschi - ricordando quasi la fuga di Lev e Kolja nel romanzo La città dei ladri, gli autori riempiono la loro storia di richiami alla letteratura e alle opere di altri artisti. Il titolo viene da un libro di Mario Rigoni Stern, la scena con il lupo dalle opere di Lev Tolstoj, il fascino della guerra è quello cantato da De Gregori e la bellezza dei tramonti acquerellati è ispirata ai dipinti di Rien Poortvliet. Leggere le opere di Turconi e Radice non è solo un viaggio nelle loro storie, ma anche un viaggio nella storia, nello stile e nella cultura. Qualcosa che, alla fine del viaggio, rende più saggi, accarezzando il cuore come pochi altri autori italiani sanno fare.
Una storia nella grande Storia, raccontata con delicatezza e stile. Un segreto nascosto tra le bombe della guerra, riportato alla luce dagli splendidi acquerelli degli autori. Un volume imperdibile.