La porta del male, recensione dell'ultimo romanzo di Guillermo del Toro
di Cristina MigliaccioDopo il successo de La forma dell'acqua, Guillermo del Toro torna con un romanzo molto più horror.
Dopo il grande successo de La forma dell’acqua, Guillermo del Toro (che ha pubblicato il romanzo e ha poi fatto incetta di premi Oscar con la trasposizione cinematografica) è tornato con un thriller soprannaturale, La porta del male, che aveva tutti i presupposti per essere un grande thriller. Chi ha avuto una discreta infarinatura di elementi soprannaturali (in particolare, se avete visto Supernatural) non avrà difficoltà ad entrare in sintonia con questa storia.
Di cosa parla: Odessa è un’agente dell’FBI, il suo tallone d’Achille è la figura paterna e un delicato evento che ha segnato il suo passato (e anche il suo futuro). Odessa, fidanzata con Linus, è costretta a mettere in discussione tutta la sua vita durante una serata di lavoro, quando insieme al suo partner è costretta a prendere in mano la situazione e recarsi a casa di un presunto omicida a piede libero. Ma qualcosa non va. Il presunto assassino viene ucciso, ma il suo collega Walt si trasforma in un’altra persona ed è determinato ad uccidere l’unica bambina sopravvissuta alla carneficina. Odessa è quindi costretta a fare fuoco e Walt muore. Nel dolore e nella confusione, Odessa nota un dettaglio strano: una sorte di nebbia pare essere uscita dal corpo del suo collega al momento della morte. Lo ha immaginato o è accaduto davvero? E, se fosse davvero accaduto, cosa significa?
Cosa mi è piaciuto: la scrittura di Del Toro è terribilmente scorrevole, incastona dialoghi a lunghe descrizioni senza appesantire la lettura, con personaggi ben delineati, ognuno dei quali ha il proprio ruolo e lo porta – anche se con un po’ di difficoltà - a termine. Ho trovato interessante la tripla narrazione in diverse fasce temporali, intersecando la storia di tre personaggi diversi ma che forse, di base, hanno sempre avuto un filo rosso ad unirli. Ho apprezzato anche le tematiche affrontate, spaziando in diverse epoche, dalla difficoltà di Earl Solomon come agente di colore dell’FBI negli anni ’60 a ciò che accadeva nel ’500 esplorando il mondo dell’ignoto. Ogni descrizione riproduceva nella mia mente esattamente l’immagine che stavo leggendo, motivo per cui credo che questo romanzo renda molto anche visivamente (ci vedrei benissimo una serie tv per quanto mi riguarda).
Cosa non mi è piaciuto: per tutto il romanzo sono stati disseminati degli indizi che credevo avrebbero poi trovato una soluzione al termine del romanzo ma così non è stato. Partiamo ad esempio dal personaggio di Odessa, dal passato enigmatico e da un potenziale inesplorato (dalla lettera lasciata dal padre mai letta al significato della “settima figlia di una settima figlia”) che è stata presentata come la protagonista del romanzo e infine invece si è limitata ad essere la comparsa al fianco di John Blackwood. Di questo personaggio, che non mi ha convinta appieno, ci sono talmente tanti intrighi e tanti misteri non svelati che se ci penso vorrei chiamare l’autore e chiedergli delucidazioni. Inoltre, anche il bizzarro legame che unisce Odessa e Blackwood è stato lasciato un po’ allo sbaraglio, senza dare indicazioni precise. L’unica cosa che mi verrebbe da pensare, con tutti questi tasselli che non mi tornano, è la possibilità di un sequel o magari una trilogia, andando ad esplorare che fine farà Blackwood, semmai rincontrerà Odessa? E cosa ne sarà di lei? Mi auguro che sia così perché, in caso di romanzo stand-alone, credo che del Toro abbia un po’ fatto cilecca.
Nonostante il ritmo incalzante e le basi promettenti per un grande thriller, del Toro si è perso in un bicchier d'acqua disseminando indizi nella storia poi mai affrontati.