Black Box, come Shiori Ito è diventata il volto del #MeToo giapponese

di Elisa Giudici

La giornalista e documentarista Shiori Ito ha scritto un memoir puntuale per raccontare la violenza subita da parte di un collega e le mancanze di un sistema sociale e giudiziario che, in Giappone, sembra favorire chi perpetua abusi.

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È una vera fortuna poter leggere Black Box in italiano, grazie al lavoro e all'impegno di un gruppo di donne consapevoli e agguerrite, riunite sotto la neonata casa editrice Inari Books. Non è certo un libro che dona relax e piacere, ma questo memoir di chiaro taglio giornalistico ha il valore di una testimonianza, finendo per tracciare il profilo biografico di una giovane donna giapponese che guarda con disincanto e concretezza al Sol Levante, attraverso quei filtri estetici ed etici a cui siamo abituati ad associarlo e da cui lei stessa è influenzata.

Non è un esercizio semplice, nemmeno per lei, nata e cresciuta in Giappone con la consapevolezza di voler scoprire il mondo e raccontarlo attraverso il giornalismo d'inchiesta. Da liceale riesce ad andare a studiare in America, conosce le distese infinite e la violenza sempre pronta ad esplodere del Kansas. Un luogo in cui le viene raccomandato di non salire mai in macchina con nessuno, nemmeno se minacciata con una pistola. Chi sale in macchina è perduto, può solo sperare di lasciare una scia di sangue dietro di sé che conduca qualche buon intenzionato a ritrovare il suo cadavere.

Eppure la violenza che devasta la vita di Shiori Ito avviene in Giappone, una nazione nota per essere sicura, tanto da essere meta ideale per le donne che viaggiano sole. La violenza avviene in una serata che doveva riguardare la sua carriera da giornalista, in una sorta d'informale colloquio con il collega Noriyuki Yamaguchi. Lui è un giornalista affermato, corrispondente dagli Stati Uniti, scrittore di una biografia in dirittura d'arrivo del primo ministro giapponese Shinzo Abe (un politico influentissimo, "primo ministro eterno" da oltre mezzo secolo). Lei è una giovane freelance che ha inseguito il suo sogno dalla Germania a New York, ha lavorato da modella per poterlo finanziare, ha rinunciato alla prima storia d'amore importante per poter continuare a viaggiare e scrivere.

Chi ero quando sono stata uccisa

La storia di Shiori Ito non comincia con lo stupro, bensì con un ritratto di sé, di come è diventata la donna che quella notte venne sopraffatta da una violenza terribile. Gli anni delle superiori, il lavoro da modella, il carattere tenace e l'amore per il giornalismo, la malattia in ospedale e la realizzazione che conta il risultato, non l'osservanza delle regole scolastiche. Ogni piccolo dettaglio concorre a far capire come Shiori Ito sia una persona coraggiosa, indipendente, forte fisicamente ed emotivamente. Tutto prima del "giorno in cui l'hanno uccisa". Black Box è la definizione di uno stupro che avviene in una stanza chiusa, senza testimoni. Senza ricordi: Shiori Ito riprende coscienza in una stanza di hotel, nel bel mezzo della violenza, senza memoria di come sia arrivata lì dal ristorante di sushi in cui stava conversando con il collega. Lui è lì, sopra di lei, tenta di nuovo di abusarla, le chiede se le lascerà le sue mutandine come ricordo.

Quello che segue è uno sforzo giornalistico immane. Shiori Ito non guarda al carnefice, ma a sé stessa, ripercorrendo passo dopo passo l'infinito calvario giudiziario e umano a cui è stata sottoposta. Le reazioni di shock e confusione diventano "errori" al fine di poter accertare la verità con prove inattaccabili, la realizzazione di essere stata drogata la getta nel limbo di chi affronta l'orrore della perdita di memoria e del controllo sul proprio corpo, le ferite fisiche e mentali cambiano per sempre il suo carattere, con ripercussioni difficilmente immaginabili; amiche solidali, affetti inorriditi e una carissima sorella che non le rivolge più la parola.

Che Shiori Ito sia una giornalista lo si capisce in come trasformi un suo dramma personale in un soggetto giornalistico da raccontare con il grado maggiore possibile d'imparzialità e di concreto aiuto. Vittima, testimone e giornalista, racconta con sorprendente lucidità le sue reazioni, in tandem con le mancanze di una polizia del tutto incapace di affrontare la specificità di questa violenza, finendo per farle raccontare la sua drammatica storia decine di volte, sottoponendola a prove e domande umilianti e degradanti.

Gli unici interventi che Shiori Ito prende per sé, in prima persona, sono quelli con cui vuole guidare il lettore a essere più consapevole di lei: cosa si può fare, cosa è meglio fare, cosa ci si può realisticamente aspettare in una nazione impreparata culturalmente e a livello giuridico ad affrontare casi come il suo.

Black Box diventa pian piano un'inchiesta sul mancato arresto del suo carnefice. Shiori Ito non aggiunge supposizioni o speculazioni, ma mette in fila una serie di fatti, connivenze, incredibili coincidenze che gettano un'ombra lunga sul mancato arresto già programmato e autorizzato del suo aguzzino, sui suoi collegamenti con i piani alti della politica, sull'operato stesso del giornalismo nazionale.

È anche la lenta presa di consapevolezza di una donna che mette in fila una serie di molestie e abusi così comuni in Giappone da non essere nemmeno considerati tali, in una cultura che inculca il "mito della nazione sicura", figlio della pressione sociale del rimanere in silenzio, di una società disegnata per rendere "il quieto vivere" simile a una norma scolastica da rispettare. Chi riesce a perpetuare i suoi abusi senza infrangerlo, potrà continuare indisturbato nelle sue condotte criminali, perché statisticamente sono poche le persone con il coraggio e la tempra psicologica necessaria ad infrangere quella calma, attirando attenzioni e critiche su di sé, nella speranza di cambiare qualcosa.

L'edizione italiana

A differenza di quanto rilevato per Nella casa dei tuoi sogni, l'edizione italiana curata da Inari Books e tradotta da Asuka Ozumi è molto attenta nel fornire al lettore italiano tutte le informazioni necessarie a capire appieno il contesto giapponese in cui si svolge la vicenda. Oltre alla prefazione di Alessia Cerantola (che ha conosciuto Shiori Ito in prima persona) segnalo l'ottima postfazione di Giorgio Fabio Colombo, che fa il punto sulle sfumature e le unicità del sistema giudiziario giapponese, l'unico a prevedere il reato di "quasi-stupro".

VOTO7.5 / 10

Un memoir che diventa inchiesta giornalista sulle connivenze politiche ma soprattutto riflessione personale sulla vera natura del sistema sociale giapponese. Straziante, acuto, memorabile.