I venti di sabbia, Kristin Hannah e il coraggio di ascoltare il proprio cuore
di Cristina MigliaccioQuesta è la storia di una donna che non ha mai trovato il coraggio di amarsi abbastanza, ma che ha amato i suoi figli e la sua famiglia con ogni fibra del suo corpo.
Ci sono storie che hanno sempre qualcosa da insegnare. Quelle sono le migliori. Ma non sempre una storia riesce a comunicare il messaggio di cui si fa portavoce. Ne I venti di sabbia, l’ultimo romanzo di Kristin Hannah uscito a marzo con Mondadori, il messaggio arriva forte e chiaro.
La storia di Elsa viene raccontata inizialmente da lontano, ponendo una forte attenzione sul senso di solitudine e d’inadeguatezza che forgerà il suo carattere, una falla che si porterà per sempre dietro, anche quando ormai adulta avrà due figli a cui badare. Elsa da giovane non è molto diversa dall’Elsa adulta: convinta di non essere abbastanza coraggiosa, Elsa china sempre la testa, non si impone mai e cerca di trovare un compromesso che vada bene per tutti.
Ma ogni tanto arriva quel guizzo, quel vento di ribellione che, come una tempesta di sabbia, sradica via ogni certezza. La prima volta che Elsa avverte quel fuoco scappa di casa per concedersi una serata come tutte le ragazze della sua età e incontra Raffaele Martinelli, di cui s’innamorerà. Il primo incontro con Raffaele è stato decisivo per Elsa: i due finiscono a letto insieme e poco dopo Elsa scopre di aspettare un figlio, un tremendo scandalo per l’epoca. Siamo nei primi anni del ‘900, nel periodo che precede la Grande Depressione e la siccità delle Grandi Pianure. Elsa a 25 anni non è sposata, un oltraggio per la sua famiglia, e questo perché non crede di essere all’altezza dell’amore. Non si reputa bella abbastanza, interessante abbastanza, intelligente abbastanza, ma soprattutto coraggiosa abbastanza. Elsa vorrebbe studiare. Per una donna, all’epoca, il college non era una scelta ben vista né tantomeno immediata. E per Elsa studiare rimarrà sempre un sogno.
Nel momento in cui incrocia la strada di Raffaele Martinelli, la sua vita cambia e (anche se all’inizio fu difficile a dirsi) lo fa per il meglio. Ha perso una famiglia, che l’ha ripudiata per quanto accaduto (un figlio concepito al di fuori del matrimonio per di più con un ragazzo più giovane e italiano, quindi cattolico, era visto come un affronto), ma ne ha guadagnata un’altra. La vita di Elsa, dopo 13 anni di matrimonio e due figli, non potrebbe essere più piena. Ma si sa, la vita gioca sempre brutti scherzi. Oltre alla Grande Depressione, Elsa è costretta a subire anche la siccità: anni e anni senza un goccio di pioggia hanno trasformato la sua preziosa fattoria in un pezzo raggrinzito di terra arida. Come se non bastasse, le continue tempeste di sabbia curvano lo spirito dei cittadini e anche le loro città.
Elsa è una donna molto coraggiosa, anche se per tutta la storia non fa altro che convincersi del contrario. Suo marito scappa di casa, la lascia da sola a crescere due figli e a prendersi cura dei genitori in un periodo tremendo, senza cibo né soldi. E, in preda alla disperazione più totale, Elsa capisce di dover dare di più ai suoi figli. Per questo si convince a partire, a raggiungere la California, una terra dipinta come un’oasi felice, dove il lavoro (dicono) non manca mai. Ed Elsa vuole crederci, vuole aggrapparsi ad un sogno con tutte le sue forze perché non le resta che questo, sognare. Arriva in California tra le mille difficoltà, ma scopre che il suo viaggio (o incubo) è appena iniziato. Nessuno vuole “quelli come lei”, “migranti”, gente disperata che ha dovuto lasciare la propria terra divenuta inospitale alla ricerca di un posto migliore, per garantire alla propria famiglia un piatto in tavola ed un tetto sulla testa.
Kristin HannahA volte il dolore era la lente attraverso cui vedeva il proprio mondo, mentre altre volte era la benda che indossava proprio per non vedere.
Ho ammirato moltissimo la storia raccontata da Kristin Hannah perché, oltre a raccontare un mondo realmente esistito, ha dato voce alla donna degli anni ’30, alle donne che lavoravano forse anche più degli uomini, a quelle donne che nonostante tutto cercavano di trovare il lato positivo, anche calpestando la propria dignità. Elsa è un personaggio meticoloso, gentile, altruista e buono, mentre sua figlia Loreda (che si pronuncia Lo-rei-da) è una ragazzina ribelle, che non accetta di buon grado i piedi in testa e per questo lotta, lotta dal primo istante in cui capisce che quella vita non fa al caso suo. Ha lottato contro sua madre in Texas, dandole la colpa di una vita precaria. Ha lottato contro sua madre anche una volta arrivati in California, rimproverandole di non prendere mai la decisione giusta. E ha lottato anche alla fine, quando non aveva altro che la sua forza.
Un romanzo intenso, a tratti angosciante e purtroppo tristemente veritiero. Certo, l’autrice ha raccontato una storia fittizia con personaggi fittizi in luoghi fittizi, ma la cornice è quella realmente esistita, di un’America alle prese con una brutta crisi economica e una profonda crisi umana, dove il “migrante” – gente per bene costretta a lasciare la propria casa pur di avere un futuro – anziché essere aiutato è stato soltanto sfruttato e spremuto come un limone. La storia di Elsa e di Loreda è un inno alla vita e spinge a combattere per ciò che ci appartiene di diritto, la libertà di fare ciò che è giusto per noi e di non lasciare mai a nessuno il potere di controllare la nostra vita.
Per tutto il romanzo Elsa ha creduto di non essere coraggiosa abbastanza, eppure è stato proprio quel coraggio a spingerla verso la direzione giusta: ascoltando il cuore non si sbaglia mai.