Poesie Neruda: le più belle di sempre
di Elisabetta RossiPablo Neruda è uno dei più profondi e intensi poeti d'amore della letteratura latino-americana. Nell'articolo vi parliamo delle sue opere più belle.
Pablo Neruda viene considerato il poeta d’amore per eccellenza. Le sue liriche hanno incantato e incantano tutt’ora intere generazioni grazie a un linguaggio vero, intenso, sanguigno in cui ogni parola trasuda sentimenti ed emozioni.
Il tema dell’amore accompagna tutta la produzione del poeta, ma non deve essere inteso semplicemente come amore verso una donna ma nel senso più ampio del termine come amore verso la vita, la patria, la natura, le creature che abitano nel mondo. La sua è una concezione romantica dell’esistenza.
Di particolare impatto e interesse sono i sonetti in cui descrive emozioni tempestose e turbolente, che si manifestano come lampi improvvisi, incendiate dalla passione e dai furori della gelosia, animate da partenze e ritorni, allontanamenti e avvicinamenti, fino ad arrivare alla loro affermazione più totalizzante. L’amore è dunque per Pablo Neruda l’elemento che anima il mondo, ne è la linfa vitale.
Amante della semplicità, il poeta rifiuta la vita moderna che ritiene piena di insopportabili banalità. Potente è anche l’attaccamento alla sua terra che si esprime in tutta la sua intensità nella poesia Inno e ritorno.
Patria, mia patria, a te volgo il mio sangue.
Ma t’invoco, come fa con la madre il bambino
pieno di pianto.Accogli questa chitarra cieca
e questa fronte perduta.Andai a cercarti figli per la terra,
andai a sollevare i caduti col tuo nome di neve,
andai a fare una casa col tuo legno puro,
andai a portare la tua stella a eroi feriti.E ora voglio dormire nella tua sostanza.
Dammi la tua chiara notte di penetranti corde
la tua notte di nave, la tua altezza di stella.Patria mia: voglio mutare d’ombra.
Patria mia: voglio cambiare di rosa.
Voglio mettere il mio braccio sulla tua esile cintura
e sedermi sulle pietre calcinate dal mare
per fermare il grano e guardarlo dentro.Vado a scegliere la magra flora del nitrato,
vado a filare lo stame glaciale della campana,
e guardando la tua nobile e solitaria schiuma,
tesserò un ramo marino alla tua bellezza.Patria, mia patria
tutta circondata d’acqua in lotta
e neve combattuta,
in te si unisce l’aquila allo zolfo,
e nella tua mano antartica d’ermellino e di zaffiro
una goccia di pura luce umana
brilla bruciando il cielo nemico.Salva la tua luce, o patria, mantieni
la tua dura spiga di speranza
in mezzo alla cieca aria temibile.Nella tua remota terra è caduta
tutta questa difficile luce,
questo destino degli uomini,
che ti fa difendere un fiore misterioso,
solo, nell’immensità dell’America addormentata.
Pablo Neruda poesie
Pablo Neruda ha pubblicato nel corso della sua vita poesie e sonetti che si sono impressi indelebilmente nella mente dei suoi estimatori tanto da diventare una delle figure più importanti e in vista della letteratura latino-americana del Novecento. Insignito del premo Nobel della letteratura nel 1971, è rimasto, anche dopo la sua morte, una voce unica nel panorama artistico moderno.
Con l’avanzare della dittatura in Cile, il poeta è stato costretto a lasciare il suo paese e a viaggiare molto in Europa, in America e anche in Messico dove incontra Matilde Urrutia, una cantante cilena conosciuta nel passato, con la quale inizia una relazione, sebbene sia sposato. A lei dedica la poesia Se tu mi dimentichi.
Voglio che tu sappia
una cosa.Tu sai com’è questa cosa:
se guardo
la luna di cristallo, il ramo rosso
del lento autunno alla mia finestra,
se tocco
vicino al fuoco
l’impalpabile cenere
o il rugoso corpo della legna,
tutto mi conduce a te,
come se tutto ciò che esiste,
aromi, luce, metalli,
fossero piccole navi che vanno
verso le tue isole che m’attendono.Orbene,
se a poco a poco cessi di amarmi
cesserò d’amarti poco a poco.Se d’improvviso
mi dimentichi,
non cercarmi,
ché già ti avrò dimenticata.Se consideri lungo e pazzo
il vento di bandiere
che passa per la mia vita
e ti decidi
a lasciarmi sulla riva
del cuore in cui ho le radici,
pensa
che in quel giorno,
in quell’ora,
leverò in alto le braccia
e le mie radici usciranno
a cercare nuova terra.Ma
se ogni giorno,
ogni ora
senti che a me sei destinata
con dolcezza implacabile.Se ogni giorno sale
alle tue labbra un fiore a cercarmi,
ahi, amore mio, ahi mia,
in me tutto quel fuoco si ripete,
in me nulla si spegne né si dimentica,
il mio amore si nutre del tuo amore, amata,
e finché tu vivrai starà tra le tue braccia
senza uscire dalle mie.
Altrettanto intenso è il Sonetto LXXXIII, in cui l’autore descrive quanto sia bello sentire accanto a sé la donna amata durante la notte.
È bello, amore, sentirti vicino a me nella notte,
invisibile nel tuo sonno, seriamente notturna,
mentr'io districo le mie preoccupazioni
come fossero reti confuse.Assente, il tuo cuore naviga pei sogni,
ma il tuo corpo così abbandonato respira
cercandomi senza vedermi, completando il mio sonno
come una pianta che si duplica nell'ombra.Eretta, sarai un'altra che vivrà domani,
ma delle frontiere perdute nella notte,
di quest'essere e non essere in cui ci troviamoqualcosa resta che ci avvicina nella luce della vita
come se il sigillo dell'ombra indicasse
col fuoco le sue segrete creature.
Nel sonetto X troviamo un Neruda angosciato perché percepisce l’amata lontana da sé, un’ombra che svanisce nel crepuscolo.
Abbiamo perso anche questo crepuscolo.
nessuno ci ha visto stasera mano nella mano
mentre la notte azzurra cadeva sul mondo.Ho visto dalla mia finestra
la festa del tramonto sui monti lontani.A volte, come una moneta
mi si accendeva un pezzo di sole tra le mani.Io ti ricordavo con l’anima oppressa
da quella tristezza che tu mi conosci.Dove eri allora?
tra quali genti?
Dicendo quali parole?
Perché mi investirà tutto l’amore di colpo
quando mi sento triste e ti sento lontana?È caduto il libro che sempre si prende al crepuscolo
e come cane ferito il mantello mi si è accucciato tra i piedi.Sempre, sempre ti allontani la sera
E vai dove il crepuscolo corre cancellando statue.
Il sonetto LXVI è tratto dalla raccolta Cento sonetti d’amore e in esso si avverte tutta l’irruente forza dei sentimenti espressi dal poeta.
Non t’amo se non perché t’amo
e dall’amarti al non amarti giungo
e dall’attenderti quando non t’attendo
passa dal freddo al fuoco il mio cuore.Ti amo solo perchè io te amo
senza fine io t’odio e odiandoti ti prego,
e la misura del mio amor viandante
è non vederti e amarti come un cieco.Forse consumerà la luce di Gennaio,
il raggio crudo, il mio cuore intero,
rubandomi la chiave della calma.In questa storia solo io muoio
e morirò d’amore perchè t’amo,
perchè t’amo, amore, a ferro e fuoco.
Poesie d’amore Neruda
Le poesie d’amore sono il filone più importante della produzione dell’autore cileno. Nelle sue liriche è ancora possibile riconoscersi e comprenderle in quanto i sentimenti sono universali e senza tempo. Sebbene lui prediligesse il verso libero, molte delle sue opere a tema sentimentale sono state scritte nella forma del sonetto. In essi però non impiega l’endecasillabo e neanche le rime.
Il sonetto XLV è contenuto sempre in Cento sonetti d’amore. Qui Neruda parla della mancanza nutrita verso la donna amata e del desiderio di riaverla al più presto accanto a sé.
Non star lontana da me un solo giorno, perché,
perché, non so dirlo, è lungo il giorno,
e ti starò attendendo come nelle stazioni
quando in qualche parte si addormentano i treni.Non andartene per un’ora perché allora
in quell’ora s’uniscono le gocce dell’insonnia
e forse tutto il fumo che va cercando casa
verrà ancora a uccidere il mio cuore perduto.Ahi non s’infanga la tua figura nell’arena,
ahi, non volino le tue palpebre nell’assenza:
non andartene per un minuto, adorata,perché in quel minuto sarai andata sì lungi
che attraverserò tutta la terra interrogando
se tornerai o se mi lascerai morire.
Nel sonetto XI Neruda descrive il desiderio accecante che ha della propria donna attraverso similitudini ardite e originali, dalla grande carica espressiva.
Ho fame della tua bocca, della sua voce, dei tuoi capelli
e vado per le strade senza nutrirmi, silenzioso,
non mi sostiene il pane, l’alba mi sconvolge,
cerco il suono liquido dei tuoi piedi nel giorno.Sono affamato del tuo riso che scorre,
delle tue mani color di furioso granaio,
ho fame della pallida pietra delle tue unghie,
voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta.Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza,
il naso sovrano dell’aitante volto,
voglio mangiare l’ombra fugace delle tue cigliae affamato vado e vengo annusando il crepuscolo,
cercandoti, cercando il tuo cuore caldo
come un puma nella solitudine di Quitratúe.
In La notte dell’isola, il poeta descrive invece, con la rinomata potenza delle sue parole, le ore notturne trascorse con la compagna.
Tutta la notte ho dormito con te
vicino al mare, nell'isola.
Eri selvaggia e dolce tra il piacere e il sonno,
tra il fuoco e l'acqua.Forse assai tardi
i nostri sogni si unirono,
nell'alto o nel profondo,
in alto come i rami che muove uno stesso vento,
in basso come rosse radici che si toccano.Forse il tuo sogno
si separò dal mio
e per il mare oscuro
mi cercava,
come prima,
quando ancora non esistevi,
quando senza scorgerti
navigai al tuo fianco
e i tuoi occhi cercavano
ciò che ora
- pane, vino, amore e collera -
ti do a mani piene,
perché tu sei la coppa
che attendeva i doni della mia vita.Ho dormito con te
tutta la notte, mentre
l'oscura terra gira
con vivi e con morti,
e svegliandomi d'improvviso
in mezzo all'ombra
il mio braccio circondava la tua cintura.Né la notte né il sonno
poterono separarci.Ho dormito con te
e svegliandomi la tua bocca
uscita dal sonno
mi diede il sapore di terra,
d'acqua marina, di alghe,
del fondo della vita,
e ricevetti il tuo bacio
bagnato dall'aurora,
come se mi giungesse
dal mare che ci circonda.
Nell’ultimo sonetto di cui vogliamo parlarvi, il XLIII, Pablo Neruda racconta il dolore di aver perduto la sua amata e di come la cerchi, furiosamente, in mezzo alle altre donne, deciso a individuare un segno tangibile di lei.
Cerco un segno tuo in tutte l’altre,
nel brusco, ondeggiante fiume delle donne,
trecce, occhi appena sommersi,
piedi chiari che scivolano navigando nella schiuma.D’improvviso mi sembra di scorger le tue unghie
oblunghe, fuggitive, nipoti di un ciliegio,
altra volta è la tua chioma che passa e mi sembra
di veder ardere nell’acqua il tuo ritratto di fuoco.Guardai, ma nessuna recava il tuo palpito,
la tua luce, la creta oscura che portasti dal bosco,
nessuna ebbe le tue minuscole orecchie.Tu sei totale e, breve, di tutte sei una,
così con te vo’ percorrendo e amando
un ampio Mississippi d’estuario femminile.