Eugenio Montale è uno dei più importanti poeti del Novecento. Nel nostro articolo vi parliamo delle sue poesie più famose.
Eugenio Montale è uno dei più rappresentativi poeti del Novecento italiano. Insieme a Ungaretti, ha dato vita a un profondo rinnovamento della tradizione poetica, sebbene i due prendano direzioni diverse sia per la scelta stilistica e linguistica, sia per il pensiero di fondo che accompagna la loro produzione letteraria.
Eugenio Montale infatti viene considerato il poeta della disperazione, in quanto per lui la vita è una terra arida e desolata dove la natura, gli uomini e gli oggetti stessi non hanno alcun senso. Il poeta ha dato dunque voce ai tormenti dell’uomo moderno facendo emergere il proprio pessimismo nei confronti della storia e la critica per la società di massa, in cui tutti seguono le medesime abitudini, come se fossero privi di una personalità propria.
Il suo esordio letterario avviene con Ossi di seppia, una raccolta di poesie in cui è possibile riscontrare tutte le caratteristiche fondamentali del suo pensiero, quei punti salienti che poi si andranno a consolidare in seguito. Abbiamo così il paesaggio ligure mangiato dal sole e dalla salsedine, il muro che impedisce all’uomo di scappare e un’esistenza che si ripete uguale e identica a se stessa senza alcun cambiamento. È forte nelle poesie di Montale la totale assenza di speranza, quel miracolo che potrebbe offrire all’uomo un’opportunità di salvezza.
Questo suo pessimismo si va poi a riflettere nella poesia stessa che diventa incapace di cogliere l’essenza profonda delle cose. Di conseguenza è costretta a ripiegare su una realtà umile, fatta di piccole cose, cioè di tutti quegli oggetti e aspetti della natura da cui l’uomo è circondato nella vita quotidiana.
I temi della poesia di Montale
Eugenio Montale tratta nelle sue poesie il male di vivere, la ricerca di un varco, di uno spiraglio che possa rompere la catena di causa-effetti, il paesaggio ligure assolato, il dramma dell’incomunicabilità, della solitudine in cui si trova l’uomo moderno e il trascorrere inesorabile del tempo che annienta il passato e fa nascere il desiderio di recuperare i ricordi, brandelli di giorni lontani e di amori perduti.
Esemplare in tal senso è la poesia Meriggiare, dove l’immagine conclusiva racchiude il senso del pensiero di Montale. La vita con le sue fatiche e le sue difficoltà somiglia a quel camminare lungo il muro d’orto osservato dall’autore, un muro che non è possibile scavalcare a causa delle punte aguzze che si trovano sulla sua cima.
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.Nelle crepe del suolo o su la véccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.Osservare tra fronti il palpitare
lontano di scaglie di mare,
mentre si levano trèmuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Il linguaggio di Eugenio Montale
Eugenio Montale si avvale di un lessico dai suoni aspri e duri e di una parola che punta all’essenzialità indirizzata ad esprimere tutta la sua angoscia esistenziale. Alle volte utilizza termini tecnici o specifici, come maestrale, che vengono mescolati sapientemente a vocaboli di uso comune o letterari. Il tutto viene armonizzato a livello di suono.
Tipico della poesia di Montale è infine il correlativo oggettivo in cui le cose comuni, quelle della vita quotidiana, diventano la rappresentazione di uno stato d’animo, di sensazioni che albergano nell’anima.
Montale poesie
Le poesie di Montale contengono profonde suggestioni, trasmettono sensazioni d’incertezza, tristezza, disperazione, parlano di un mondo buio, senza luce né speranza e di una condizione esistenziale intrappolata nell’infelicità.
I limoni, lirica contenuta nella raccolta Ossi di seppia, fa emergere gli elementi principali della poetica di Montale, in particolare l’amore per le cose semplici. I limoni diventano così il simbolo dell’esistenza umana della quale però è impossibile cogliere il senso. La tristezza per questo fallimento viene attenuata solo in parte dal colore vivido del frutto.
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
Non recidere, forbice è una poesia contenuta nella raccolta Le occasioni. In questa nuova opera il poeta lascia parlare direttamente gli oggetti, vuole porre in evidenza le cose nella loro essenza. Nella lirica che vi presentiamo si parla di come il tempo cancelli i ricordi, di come il poeta si senta rattristato dalla tendenza a dimenticare e del suo desiderio di conservare almeno memoria del volto della persona cara.
Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.Un freddo cala… Duro il colpo svetta.
e l’acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.
Ricordo fa parte del Diario di Montale composto da 60 poesie. Qui rievoca con dolore Drusilla Tanzi, la moglie morta.
Lei sola percepiva i suoni
dei miei silenzi. Temevo
a volte che fuggisse il tempo
ostile mentre parlavamo.Dopodiché ho smarrito la memoria
ed ora mi ritrovo a parlare
di lei con te, tra spirali di fumo
che velano la nostra commozione.Ed è questa la parte di me che ritrovo
mutata: il sentimento, per sé informe,
in quest’oggi che è solo di rimpianto.
Gloria del disteso mezzogiorno mette in atto il classico paesaggio di Montale dove troviamo un cielo incendiato dal sole estivo che svela agli occhi la desolazione della terra senza acqua nel torrente e senza zone d’ombra. L’unico anelito di speranza è rappresentato dal Martin Pescatore che preannuncia l’arrivo della pioggia secondo una vecchia tradizione popolare.
Gloria del disteso mezzogiorno
quand’ombra non rendono gli alberi,
e più e più si mostrano d’attorno
per troppa luce, le parvenze, falbe.Il sole, in alto, e un secco greto.
Il mio giorno non è dunque passato:
l’ora più bella è di là dal muretto
che rinchiude in un occaso scialbato.L’arsura, in giro; un martin pescatore
volteggia s’una reliquia di vita.
La buona pioggia è di là dallo squallore,
ma in attendere è gioia più compita.
Montale poesie famose
Concludiamo il nostro viaggio nelle poesie di Montale con la presentazione di alcuni dei suoi componimenti più celebri e amati.
Il più famoso è senza dubbio Spesso il male di vivere ho incontrato, la poesia più pessimista di Eugenio Montale. Essa infatti esprime la sua concezione desolata e disperata della vita. In sole due strofe il poeta racconta la sofferenza presente nelle cose, negli uomini, negli animali e nella natura.
Spesso il male di vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
La casa dei doganieri è un’altra celebre lirica di Montale. Qui il poeta rievoca il ricordo di un momento di felicità vissuto nella giovinezza, di un amore lontano che però non gli suscita gioia, bensì un senso di profonda nostalgia e smarrimento. Questo ricordo infine lo rende consapevole del trascorrere inesorabile del tempo che annienta il passato e della sua solitudine.
Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
nè qui respiri nell’oscurità.Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende… ).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
In Felicità raggiunta Eugenio Montale sembra in apparenza allontanarsi dal suo pessimismo, in quanto parla di un istante di gioia. A un’analisi più approfondita però ci si rende conto che anche in questo caso vi è la sua visione desolata della vita, in quanto è una felicità effimera, una felicità alla quale non bisogna attaccarsi troppo perché si finirebbe con il provare un dolore immenso nel momento in cui svanisce.
Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.
L’ultima poesia di Montale di cui vogliamo parlarvi è Caro piccolo insetto, dove il poeta torna a ricordare l’amata moglie scomparsa. La chiama piccolo insetto perché l’appellativo che le aveva dato in vita era Mosca. La donna si presenta a lui mentre è intento a leggere il secondo libro d’Isaia. Tuttavia è impossibile per loro riconoscersi, in quanto la moglie non ci vede bene e lui non riesce a individuarla nell’ombra. Tale immagine dolorosa sottolinea come la morte separi inevitabilmente i defunti dai vivi, rendendo il loro ricongiungimento impossibile.
Caro piccolo insetto
Che chiamavano mosca non so perché,
stasera quasi al buio
mentre leggevo il Deuteroisaia
sei ricomparsa accanto a me,
ma non avevi gli occhiali,
non potevi vedermi
né potevo io senza quel luccichio
riconoscere te nella foschia.
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