Quasimodo: le poesie più belle e famose

di Elisabetta Rossi

Salvatore Quasimodo è uno dei più importanti poeti italiani dell'ermetismo. Nell'articolo abbiamo raccolto le sue liriche migliori.

Indice

Salvatore Quasimodo è un importante esponente dell’ermetismo italiano. La sua poesia fa parte della storia della nostra letteratura e molti suoi componimenti si sono incisi nella memoria collettiva, diventando indimenticabili.

La poesia di Quasimodo ha come nucleo essenziale l’esperienza di vita e si può suddividere in tre fasi. Nella prima si rifà ai modelli illustri della cultura italiana, in primis Pascoli, D’Annunzio e i crepuscolari. I temi che affronta infatti riguardano l’amore per la sua terra d’origine, la Sicilia, la malinconia e il ricordo dell’infanzia.

La seconda è quella ermetica, dove si concentra sullo studio della parola. Le sue liriche quindi si fanno pure e intense, espressione diretta dei moti interiori del suo animo.

Nella terza e ultima fase Quasimodo, a seguito della dolorosa esperienza della guerra, ritiene che la poesia debba diventare concreta. I componimenti si fanno così portavoce di un sentimento di rifiuto e di orrore nei confronti del conflitto mondiale e della convinzione di far ritrovare all’uomo la fiducia verso il futuro. Purtroppo però in questo intento di eticità, scivola molto spesso in una vuota retorica.

Per farvi conoscere le poesie di Quasimodo abbiamo raccolto in questo articolo le più belle e importanti.

Poesie di Quasimodo

Le poesie di Quasimodo testimoniano l’impegno dell’autore nella ricerca della parola per raccontare la vita nelle sue molteplici manifestazioni: gioia, dolore, miseria, psicosi. Qui di seguito trovate le liriche più belle.

Specchio

In questa poesia viene raccontata la gioia di vivere ritrovata dall’uomo che diventa simile alla natura, a un tronco che rifiorisce.

Ed ecco sul tronco
si rompono le gemme:
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul botro.
E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era.

Già la pioggia è con noi

Già la pioggia è con noi è un’altra lirica dove dominano le immagini della natura, in questo caso della pioggia che fa vibrare l’aria. E mentre piove, si fa spazio nel poeta la consapevolezza che un altro anno è passato senza lasciare traccia di sé, senza portare alcun cambiamento.

Già la pioggia è con noi,
scuote l’aria silenziosa.
Le rondini sfiorano le acque spente
presso i laghetti lombardi,
volano come gabbiani sui piccoli pesci;
il fieno odora oltre i recinti degli orti.
Ancora un anno è bruciato,
senza un lamento, senza un grido
levato a vincere d’improvviso un giorno.

Alle fronde dei salici

Questa lirica è intrisa di una profonda malinconia, in quanto rievoca il periodo dell’occupazione tedesca in cui di fronte agli orrori del paese, i poeti appendono simbolicamente le loro cetre, con cui nell’antichità venivano accompagnati i canti e le preghiere, ai rami dei salici.

E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
tra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronte dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

Uomo del mio tempo

In questa lirica Salvatore Quasimodo denuncia le violenze che ancora vengono commesse dagli uomini. Non è cambiato nulla rispetto al passato, le persone sono rimaste le stesse. Nonostante ciò, l’appello ai giovani a dimenticare gli errori dei padri per costruire un mondo nuovo basato sull’amore, dimostra la sua fede nel futuro e la possibilità che nascano uomini migliori.

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

Ora che sale il giorno

In questa poesia Salvatore Quasimodo affronta i temi della solitudine e dei ricordi. Rievoca infatti la terra di Sicilia e il suo amore lontano.

Finita è la notte e la luna
si scioglie lenta nel sereno,
tramonta nei canali.

È così vivo settembre in questa terra
di pianura, i prati sono verdi
come nelle valli del sud a primavera.
Ho lasciato i compagni,
ho nascosto il cuore dentro le vecchi mura,
per restare solo a ricordarti.

Come sei più lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre bette il piede dei cavalli!

Quasimodo poesie famose

In questa sezione trovate raccolte le poesie di Quasimodo più celebri, quelle che sono entrate più di ogni altra a far parte del nostro immaginario collettivo.

Ed è subito sera

Con poche e scelte parole, Salvatore Quasimodo parla del senso di profonda solitudine da cui si sente attanagliare. E quando la sua vita giunge al termine, riconosce con amarezza di non aver saputo cogliere il senso dell’esistenza.

Ognuno sta solo sul cuore della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Milano, Agosto 1943

La città di Milano è stata appena bombardata e quello che è rimasto sono macerie e morti. La guerra ha spento nell’uomo ogni gioia di vita e intorno non è rimasto che silenzio.

Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.

Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.

Lettera alla madre

Questa lirica è dedicata da Salvatore Quasimodo a sua madre. In essa esprime tutta la sua gratitudine verso la donna soprattutto per il dono dell’ironia.

«Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d'amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo.» - Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
«Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell'ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater.»

Alla nuova luna

Alla nuova luna è una poesia in cui Salvatore Quasimodo racconta l’avventura dell’uomo nello spazio che considera una sfida a Dio e un’affermazione dell’intelligenza umana.

In principio Dio creò il cielo
e la terra, poi nel suo giorno
esatto mise i luminari in cielo
e al settimo giorno si riposò.

Dopo miliardi di anni l’uomo,
fatto a sua immagine e somiglianza,
senza mai riposare, con la sua
intelligenza laica,
senza timore, nel cielo sereno
d’una notte d’ottobre,
mise altri luminari uguali
a quelli che giravano
dalla creazione del mondo. Amen.

Fresche di fiumi in sonno

Questa lirica affronta il tema della vita, raccontata attraverso la metafora del fiume, e quello della morte, un evento accolto dall’uomo con serenità, senza timore.

Ti trovo nei felici approdi,
della notte consorte,
ora dissepolta
quasi tepore d’una nuova gioia,
grazia amara del viver senza foce.

Vergini strade oscillano
fresche di fiumi in sonno:

E ancora sono il prodigo che ascolta
dal silenzio il suo nome
quando chiamano i morti.

Ed è morte
uno spazio nel cuore.

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