Gabriele D'Annunzio: una raccolta delle poesie più belle

di Elisabetta Rossi

Gabriele D'Annunzio è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano. Nell'articolo abbiamo raccolto le sue poesie più belle.

Indice

Gabriele D’Annunzio, poeta, scrittore, giornalista e militare italiano, è stato uno dei più importanti rappresentanti del Decadentismo, sebbene abbia sviluppato nel corso degli anni una concezione propria della vita e dell’arte traendo dagli autori e dalle correnti che lo ispirarono, le caratteristiche più idonee al suo pensiero.

Di fatto i punti salienti della sua poetica riguardano l’adesione all’estetismo artistico, secondo il quale la poesia e l’arte in genere, non devono avere una funzione morale o raccontare aspetti della realtà con assoluta adesione al vero, piuttosto devono creare bellezza in contrasto alla banalità della vita quotidiana. Inoltre, per Gabriele D’Annunzio i sensi sono l’unico mezzo attraverso cui è possibile conoscere il mondo, avvicinarsi ad esso.

Legata a tale concetto di culto del bello, s’inserisce la ricerca di una parola scelta non tanto per il suo significato logico e razionale, per essere veicolo di determinati concetti, ma piuttosto per la sua musicalità e il suo valore evocativo.

Il suo pensiero finisce con il confluire soprattutto nel panismo. Il poeta dunque si abbandona alla vita dei sensi e arriva a sentirsi un tutt’uno con la natura, ad essere parte di essa, in una fusione totale con ogni suo aspetto. Questo concetto va senza dubbio in netto contrasto alla scienza e alla ragione, nei confronti delle quali D’Annunzio nutre una profonda sfiducia in quanto non sono in grado di dare una spiegazione chiara e inattaccabile della realtà.

Molte delle poesie D’Annunzio sono degli autentici capolavori incisi indelebilmente nella memoria dei lettori. Nel nostro articolo abbiamo raccolto i suoi componimenti migliori.

Poesie D’Annunzio

D’Annunzio ha voluto fare della vita un’opera d’arte, un concetto che va ad abbattere la distanza tra questi due aspetti. Non vi è quindi più alcun confine tra esistenza e scrittura, l’una confluisce nell’altra. Qui di seguito abbiamo raccolto le poesie d’annunzio più belle e celebri.

La sera fiesolana

D’Annunzio immagina qui una sera di giugno descrivendo il momento del crepuscolo. La lirica è caratterizzata da una serie d’immagini evocate con parole musicali e sognanti.

Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscío che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s'attarda a l'opra lenta
su l'alta scala che s'annera
contro il fusto che s'inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna è prossima a le soglie
cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
ove il nostro sogno si giace
e par che la campagna già si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.

Laudata sii pel tuo viso di perla,
o Sera, e pè tuoi grandi umidi occhi ove si tace
l'acqua del cielo!

Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pini dai novelli rosei diti
che giocano con l'aura che si perde,
e su 'l grano che non è biondo ancóra
e non è verde,
e su 'l fieno che già patì la falce
e trascolora,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.

Laudata sii per le tue vesti aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!

Io ti dirò verso quali reami
d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne e l'ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s'incúrvino come labbra che un divieto
chiuda, e perché la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l'anima le possa amare
d'amor più forte.

Laudata sii per la tua pura morte
o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!

La sabbia del tempo

Mentre il poeta si trova in spiaggia, fa scorrere sulla mano la sabbia e in quel momento si rende conto che la stagione sta finendo. Quello scorrere diventa così il simbolo del tempo che passa inesorabile.

Come scorrea la calda sabbia lieve
Per entro il cavo della mano in ozio
Il cor sentì che il giorno era più breve

E un'anzia repentina il cor massalse
Per l'apprezzar dell'umido equinozio
Che offusca l'oro delle spiagge salse

Alla sabbia del tempo urna la mano
Era clessidra il cor mio palpitante
l'ombra crescente dogni stelo vano
Quasi ombra d'ago in tacito quadrante.

Rimani

Rimani è un’intensa lirica d’amore in cui il poeta chiede alla sua amata di restargli accanto, di non abbandonarlo, di non lasciare alcun vuoto vicino a lui. Una richiesta che mostra un desiderio forte e difficilmente controllabile.

Rimani! Riposati accanto a me.
Non te ne andare.
Io ti veglierò. Io ti proteggerò.
Ti pentirai di tutto fuorchè d’essere venuto a me, liberamente, fieramente.
Ti amo. Non ho nessun pensiero che non sia tuo;
non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te.
Lo sai. Non vedo nella mia vita altro compagno, non vedo altra gioia.
Rimani.
Riposati. Non temere di nulla.
Dormi stanotte sul mio cuore…

Lungo l’Affrico

Inserita nella raccolta intitolata Alcyone, questa lirica descrive la bellezza di un paesaggio dopo la pioggia. Una terra ricca di suggestioni che D’Annunzio può sottrarre allo scorrere del tempo e rendere eterna grazie alla poesia.

Grazia del ciel, come soavemente
ti miri ne la terra abbeverata,
anima fatta bella dal suo pianto!

O in mille e mille specchi sorridente
grazia, che da la nuvola sei nata
come la voluttà nasce dal pianto,
musica nel mio canto
ora t’effondi, che non è fugace,
per me trasfigurata in alta pace
a chi l’ascolti.

Nascente Luna, in cielo esigua come
il sopracciglio de la giovinetta
e la midolla de la nova canna,
sì che il più lieve ramo ti nasconde
e l’occhio mio, se ti smarrisce, a pena
ti ritrova, pe ‘l sogno che l’appanna,
Luna, il rio che s’avvalla
senza parola erboso anche ti vide;
e per ogni fil d’erba ti sorride,
solo a te sola.

O nere e bianche rondini, tra notte
e alba, tra vespro e notte, o bianche e nere
ospiti lungo l’Affrico notturno!
Volan elle sì basso che la molle
erba sfioran coi petti, e dal piacere
il loro volo sembra fatto azzurro.

Sopra non ha sussurro
l’arbore grande, se ben trema sempre.
Non tesse il volo intorno a le mie tempie
fresche ghirlande?

E non promette ogni lor breve grido
un ben che forse il cuore ignora e forse
indovina se udendo ne trasale?
S’attardan quasi immemori del nido,
e sul margine dove son trascorse
par si prolunghi il fremito dell’ale.

Tutta la terra pare
argilla offerta all’opera d’amore,
un nunzio il grido, e il vespero che muore
un’alba certa.

Ferrara

Questa lirica fa parte della raccolta Elettra ed è un inno a Ferrara intriso di malinconia, in quanto in passato la città era la culla del Rinascimento, una realtà ben diversa da quella di D'Annunzio.

O deserta bellezza di Ferrara,
ti loderò come si loda il volto
di colei che sul nostro cuor s’inclina
per aver pace di sue felicità lontane;
e loderò la chiara
sfera d’aere ed’acque
ove si chiude la mia malinconia divina
musicalmente

E loderò quella che più mi piacque
più delle altre
delle donne morte
e il tenue riso ond’ella mi delude
e l’alta immagine ond’io mi consolo
nella mia mente.

Loderò i tuoi chiostri ove tacque
l’uman dolore avvolto nelle lane
placide e cantò l’usignolo
ebro furente.

Loderò le tue vie piane,
grandi come fiumane,
che conducono all’infinito, chi va solo
col suo pensiero ardente,
e quel loro silenzio ove stanno in ascolto
e quel loro silenzio con le porte hce sembrano voler ascoltare
tutte le porte

se il fabro occulo batte su l’incude,
e il sogno di voluttà che sta sepolto
sotto le pietre nude con la tua sorte.

Gabriele D’annunzio poesie

Ecco per voi un’altra selezione di poesie D’annunzio indimenticabili, che hanno conquistato il cuore di pubblico e critica.

O falce di luna calante

Questa lirica dipinge un paesaggio immaginario, una dimensione sognante, dove la luna appare simile a una falce.

O falce di luna calante
che brilli su l’acque deserte,
o falce d’argento, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

Aneliti brevi di foglie,
sospiri di fiori dal bosco
esalano al mare: non canto non grido
non suono pe ’l vasto silenzio va.

Oppresso d’amor, di piacere,
il popol de’ vivi s’addorme…
O falce calante, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

Stringiti a me

Stringiti a me è una poesia di carattere sentimentale in cui il poeta celebra l’abbraccio, il desiderio di abbandonarsi al partner per trovare rifugio dai propri tormenti.

Stringiti a me,
abbandonati a me,
sicura.

Io non ti mancherò
e tu non mi mancherai.

Troveremo,
troveremo la verità segreta
su cui il nostro amore
potrà riposare per sempre,
immutabile.

Non ti chiudere a me,
non soffrire sola,
non nascondermi il tuo tormento!

Parlami,
quando il cuore
ti si gonfia di pena.

Lasciami sperare
che io potrei consolarti.

Nulla sia taciuto fra noi
e nulla sia celato.

Oso ricordarti un patto
che tu medesima hai posto.

Parlami
e ti risponderò
sempre senza mentire.

Lascia che io ti aiuti,
poiché da te
mi viene tanto bene!

Pastori d’Abruzzo

Pastori d’Abruzzo è una delle poesie più conosciute di Gabriele D’Annunzio che celebra il grande amore del poeta per la sua terra d’origine.

Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natìa
rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.

O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh’esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquìo, calpestìo, dolci romori.

Ah perché non son io co’ miei pastori?

La tregua

La tregua apre il libro Alcyone, un’opera in cui il poeta si prende una pausa dall’impegno eroico e civile per dare spazio al panismo, ossia al desiderio di diventare un tutt’uno con la natura.

Dèspota, andammo e combattemmo, sempre
fedeli al tuo comandamento. Vedi
che l'armi e i polsi eran di buone tempre.

O magnanimo Dèspota, concedi
al buon combattitor l'ombra del lauro,
ch'ei senta l'erba sotto i nudi piedi,

ch'ei consacri il suo bel cavallo sauro
alla forza dei Fiumi e in su l'aurora
ei conosca la gioia del Centauro.

O Dèspota, ei sarà giovine ancóra!
Dàgli le rive i boschi i prati i monti
i cieli, ed ei sarà giovine ancóra

Deterso d'ogni umano lezzo in fonti
gelidi, ei chiederà per la sua festa
sol l'anello degli ultimi orizzonti

I vènti e i raggi tesseran la vesta
nova, e la carne scevra d'ogni male
éntrovi balzerà leggera e presta.

Tu 'l sai: per t'obbedire, o Trionfale,
sí lungamente fummo a oste, franchi
e duri; né il cor disse mai "Che vale?"
disperato di vincere; né stanchi
mai apparimmo, né mai tristi o incerti,
ché il tuo volere ci fasciava i fianchi.

O Maestro, tu 'l sai: fu per piacerti.
Ma greve era l'umano lezzo ed era
vile talor come di mandre inerti;
e la turba faceva una Chimera
opaca e obesa che putiva forte
sí che stretta era all'afa la gorgiera.

Gli aspetti della Vita e della Morte
invano balenavan sul carname
folto, e gli enimmi dell'oscura sorte.

Non era pane a quella bassa fame
la bellezza terribile; onde il tardo
bruto mugghiava irato sul suo strame.

Pur, lieta maraviglia, se alcun dardo
tutt'oro gli giungea diritto insino
ai precordii, oh il suo fremito gagliardo!

E tu dicevi in noi: "Quel ch'è divino
si sveglierà nel faticoso mostro.
Bàttigli in fronte il novo suo destino".

E noi perseverammo, col cuor nostro
ardente, per piacerti, o Imperatore;
e su noi non potè ugna nè rostro.

Ma ne sorse per mezzo al chiuso ardore
la vena inestinguibile e gioconda
del riso, che sonò come clangore.

E ad ogni ingiuria della bestia immonda
scaturiva più vivido e più schietto
tal cristallo dall'anima profonda.

Erma allegrezza! Fin lo schiavo abietto,
sfumato con le miche del convito,
lungi rauco latrava il suo dispetto;
e l'obliqio lenone, imputridito
nel vizio suo, dal lubrico angiporto
con abominio ci segnava a dito.

O Dèspota, tu dài questo conforto
al cuor possente, cui l'oltraggio èlode
e assillo di virtù ricever torto.

Ei nella solitudine si gode
sentendo sé come inesausto fonte
Dedica l'opre al Tempo; e ciò non ode.

Ammonisti l'alunno: "Se hai man pronte,
non iscegliere i vermini nel fimo
ma strozza i serpi di Laocoonte".

Ed ei seguì l'ammonimento primo;
restò fedele ai tuoi comandamenti;
fiso fu ne' tuoi segni a sommo e ad imo.

Dèspota, or tu concedigli che allenti
il nervo ed abbandoni gli ebri spirti
alle voraci melodíe dei vènti!

Assai si travagliò per obbedirti.
Scorse gli Eroi su i prati d'asfodelo.
Or ode i Fauni ridere tra i mirti.
L'Estate ignuda ardendo a mezzo il cielo.

Canta la gioia

Canta la gioia è una poesia in cui D’Annunzio esalta la gioia di vivere e la spensieratezza. È un vero inno alla vita, dominato da uno stato d’animo positivo e ottimista.

Canta la gioia! Io voglio cingerti
di tutti i fiori perché tu celebri
la gioia la gioia la gioia,
questa magnifica donatrice!

Canta l’immensa gioia di vivere,
d’esser forte, d’essere giovine,
di mordere i frutti terrestri
con saldi e bianchi denti voraci,

di por le mani audaci e cupide
su ogni dolce cosa tangibile,
di tendere l’arco su ogni
preda novella che il desìo miri,

e di ascoltare tutte le musiche,
e di guardare con occhi fiammei
il volto divino del mondo
come l’amante guarda l’amata,

e di adorare ogni fuggevole
forma, ogni segno vago, ogni immagine
vanente, ogni grazia caduca,
ogni apparenza ne l’ora breve.

Canta la gioia! Lungi da l’anima
nostro il dolore, veste cinerea.