Giosue Carducci: le poesie più belle e coinvolgenti
di Elisabetta RossiGiosue Carducci è uno tra i più importanti poeti italiani, colui che ha dato vita a un nuovo classicismo. Nell'articolo abbiamo raccolto le sue liriche più belle.
Giosue Carducci, poeta, critico e accademico italiano, è stato il primo autore ad essere insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1906. Avverso ai languori e ai sentimentalismi del Romanticismo, rifiutato con determinazione, abbraccia alcuni ideali del Positivismo, ossia la convinzione che la ragione e la scienza siano mezzi attraverso i quali l’uomo può arrivare a comprendere la natura e a eliminare le false credenze soprannaturali. In tal modo può conquistare libertà e democrazia e progredire.
Carducci ha di fatto dato vita a un nuovo Classicismo, facendo costantemente riferimento al mondo antico, considerato superiore alla sua epoca. Inoltre esalta i valori umani e matura una concezione virile della vita. Sceglie per esprimersi la forma della lirica in quanto la ritiene un genere aulico, a differenza del romanzo che considera un genere popolare.
Il suo stile punta a una certa chiarezza, all’armonia e al culto della bellezza. Lui sente di essere un poeta-vate avente il compito di celebrare la grandezza della patria, di animare i cittadini e di esaltare virtù ed eroismo. Prevale nelle sue poesie un atteggiamento composto ed eroico, fiero.
I temi che maggiormente gli interessano, oltre al mondo antico, sono la storia, nella quale cerca d’individuare gli ideali laici e repubblicani, la maremma toscana, terra della sua infanzia, che rivive in un ricordo genuino dove la natura viene mostrata come una forza distruttrice, la riflessione sul ruolo che deve avere il poeta nella società.
Per farvi conoscere a fondo le poesie di Carducci, abbiamo raccolto nell’articolo i suoi componimenti più interessanti e celebri.
Carducci poesie
La produzione poetica di Carducci è vasta e comprende liriche indimenticabili, ben incise nella memoria degli italiani. Qui abbiamo raccolto i componimenti più belli.
Funere mersit acerbo
Questa poesia è un canto malinconico e accorato nel quale Carducci ricorda il fratello, il padre e il figlio scomparsi, avvolti dal sonno eterno della morte.
O tu che dormi là su la fiorita
Collina tósca, e ti sta il padre a canto;
non hai tra l’erbe del sepolcro udita
pur ora una gentil voce di pianto?È il fianciulletto mio, che a la romita
tua porta batte: ei che nel grande e santo
nome te rinnovava, anch’ei la vita
fugge, o fratel, che a te fu amara tanto.Ahi no! giocava per le pinte aiole,
e arriso pur di vision leggiadre
l’ombra l’avvolse, ed a le fredde e solevostre rive lo spinse. Oh, giù ne l’adre
sedi accoglilo tu, ché al dolce sole
ei volge il capo ed a chiamar la madre.
Traversando la Maremma Toscana
Il poeta, mentre è in viaggio in treno, rivede la terra della sua infanzia, la Toscana, e ricorda gli anni giovanili, soprattutto i sogni di quell’età rimasti irrealizzati. Insieme ad essi si fa anche spazio la consapevolezza della morte e la sensazione che il suo operare sia inutile.
Dolce paese, onde portai conforme
l’abito fiero e lo sdegnoso canto
e il petto ov’odio e amor mai non s’addorme,
pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto.Ben riconosco in te le usate forme
con gli occhi incerti tra ‘l sorriso e il pianto,
e in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
erranti dietro il giovenile incanto.Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
e sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
e dimani cadrò. Ma di lontanopace dicono a ‘l cuor le tue colline
con le nebbie sfumanti e il verde piano
ridente ne le piogge mattutine.
Il bove
Il bove fa parte della raccolta di Carducci intitolata Rime nuove. La poesia è incentrata sulla figura del bue considerato benevolo come la vita che si svolge nei campi.
T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m’infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,O che al giogo inchinandoti contento
L’agil opra de l’uom grave secondi:
Ei t’esorta e ti punge, e tu co ’l lento
Giro de’ pazïenti occhi rispondi.Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;E del grave occhio glauco entro l’austera
Dolcezza si rispecchia ampïo e quïeto
Il divino del pian silenzio verde.
Pianto antico
Questa lirica, sempre contenuta in Rime nuove, è dedicata da Carducci al figlio Dante morto prematuramente.
L’albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da’ bei vermigli fior,Nel muto orto solingo
Rinverdí tutto or ora
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l’inutil vita
Estremo unico fior,Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.
Sogno d’estate
Sogno d’estate è un’altra poesia dove il Carducci si abbandona al ricordo della sua infanzia trascorsa nella Maremma Toscana. La nostalgia che prova per quei tempi è però lieve, in quanto nel presente ha altre felicità, ad esempio l’amore delle sue figlie.
Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti
la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra 'l sonno
in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggì su 'l Tirreno.
Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai.Non più libri: la stanza da 'l sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato
de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari selvaggi colli che il giovane april rifioría.Scendeva per la piaggia con mormorii freschi un zampillo
pur divenendo rio: su 'l rio passeggiava mia madre
florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano
cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d'oro.Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria,
superbo de l'amore materno, percosso nel core
da quella festa immensa che l'alma natura intonava.Però che le campane sonavano su da 'l castello
annunziando Cristo tornante dimane a' suoi cieli;
e su le cime e al piano, per l'aure, pe' rami, per l'acque,
correa la melodia spiritale di primavera;
ed i peschi ed i meli tutti eran fior' bianchi e vermigli,
e fior' gialli e turchini ridea tutta l'erba al di sotto,
ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de' prati,
e molli d'auree ginestre si paravano i colli,
e un'aura dolce movendo quei fiori e gli odori
veniva giú dal mare; nel mar quattro candide vele
andavano andavano cullandosi lente nel sole,
che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.La giovine madre guardava beata nel sole.
Io guardava la madre, guardava pensoso il fratello,
questo che or giace lungi su 'l poggio d'Arno fiorito,
quella che dorme presso ne l'erma solenne Certosa;
pensoso e dubitoso s'ancora ei spirassero l'aure
o ritornasser pii del dolor mio da una plaga
ove tra note forme rivivono gli anni felici.Passar le care imagini, disparvero lievi co 'l sonno.
Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze,
Bice china al telaio seguía cheta l'opra de l'ago.
Nostalgia
La nostalgia di cui parla Carducci in questa lirica non è verso nessuna persona o fatto particolare. Piuttosto il paesaggio lo porta a rievocare la Maremma Toscana caratterizzata da una natura selvaggia. Quel luogo diventa poi la rappresentazione dell’inquietudine del suo animo.
Tra le nubi ecco il turchino
Cupo ed umido prevale:
Sale verso l’Apennino
Brontolando il temporale.Oh se il turbine cortese
Sovra l’ala aquilonar
Mi volesse al bel paese
Di Toscana trasportar!Non d’amici o di parenti
Là m’invita il cuore e il volto:
Chi m’arrise a i dí ridenti
Ora è savio od è sepolto.
Né di viti né d’ulivi
Bel desío mi chiama là:
Fuggirei da’ lieti clivi
Benedetti d’ubertà.De le mie cittadi i vanti
E le solite canzoni
Fuggirei: vecchie ciancianti
A marmorëi balconi!Dove raro ombreggia il bosco
Le maligne crete, e al pian
Di rei sugheri irto e fósco
I cavalli errando van,
Là in maremma ove fiorío
La mia triste primavera,
Là rivola il pensier mio
Con i tuoni e la bufera:
Là nel ciel nero librarmi
La mia patria a riguardar,
Poi co ’l tuon vo’ sprofondarmi
Tra quei colli ed in quel mar.
Carducci poesie famose
Ecco per voi un’altra selezione di poesie di Carducci da leggere e apprezzare per la loro incredibile musicalità.
San Martino
Senza alcun dubbio questa è una delle poesie più famose di Carducci, diventata a suo tempo anche una canzone.
La nebbia a gl’irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar;Ma per le vie del borgo
Dal ribollir de’ tini
Va l’aspro odor de i vini
L’anime a rallegrar.Gira su’ ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l’uscio a rimirarTra le rossastre nubi
Stormi d’uccelli neri,
Com’esuli pensieri,
Nel vespero migrar.
Davanti San Guido
Il ricordo dell’infanzia ritorna forte anche in questa lirica, come quello della terra natia. Addirittura Carducci ha l’impressione che i cipressi gli parlino, chiedendogli di non abbandonarli, di restare là. Il poeta sebbene provi nostalgia per il tempo passato, ha altre cose di cui occuparsi, soprattutto della figlia che lo attende a casa.
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardâr.
Mi riconobbero, e — Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr’ me co ’l capo chino —
Perché non scendi? Perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh, non facean già male!Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! —
— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei —
Guardando io rispondeva — oh di che cuore!Ma, cipressetti miei, lasciatem’ ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.E massime a le piante. — Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò,
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ’l lor bianco velo;E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io — Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Titti — rispondea — ; lasciatem’ ire.
È la Titti come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio cipressi! addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia;La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,Canora discendea, co ’l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Pieno di forza e di soavità.O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!
— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. —Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,Sotto questi cipressi, ove non spero
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
In riva al mare
Tirreno, anche il mio petto è un mar profondo,
E di tempeste, o grande, a te non cede:
L’anima mia rugge ne’ flutti, e a tondo
Suoi brevi lidi e il picciol cielo fiede.Tra le sucide schiume anche dal fondo
Stride la rena: e qua e là si vede
Qualche cetaceo stupido ed immondo
Boccheggiar ritto dietro immonde prede.La ragion de le sue vedette algenti
Contempla e addita e conta ad una ad una
Onde belve ed arene invan furenti:Come su questa solitaria duna
L’ire tue negre e gli autunnali venti
Inutil lampa illumina la luna.
Tedio invernale
È una lirica in cui Carducci sottolinea con forza la differenza tra il passato e il presente e la sua delusione per l’epoca in cui vive.
Ma ci fu dunque un giorno
Su questa terra il sole?
Ci fur rose e vïole,
Luce, sorriso, ardor?Ma ci fu dunque un giorno
La dolce giovinezza,
La gloria e la bellezza,
Fede, virtude, amor?Ciò forse avvenne a i tempi
D’Omero e di Valmichi:
Ma quei son tempi antichi,
Il sole or non è piú.E questa ov’io m’avvolgo
Nebbia di verno immondo
È il cenere d’un mondo
Che forse un giorno fu.
Alla stazione in una mattina d’autunno
Il tema principale di questa poesia è la malinconia per la separazione del Carducci dalla donna amata che avviene alla stazione di Bologna, in un mattino autunnale. Come sempre vi è la rievocazione del passato, dei giorni trascorsi insieme a lei.
Oh quei fanali come s'inseguono
accidiosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su 'l fango!Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d'autunno
come un grande fantasma n'è intorno.Dove e a che move questa, che affrettasi
a' carri fóschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori
o tormenti di speme lontana?Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dài, gl'istanti gioiti e i ricordi.Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili,
com'ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei
freni tentati rendono un lugubre
rintócco lungo: di fondo a l'anima
un'eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno par l'ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su' vetri la pioggia.Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
occhi sbarra; immane pe 'l buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.Va l'empio mostro; con traino orribile
sbattendo l'ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e 'l bel velo
salutando scompar ne la tenebra.O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra' floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!
Fremea la vita nel tepid'aere,
fremea l'estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso
in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un'aureola
più belli del sole i miei sogni
ricingean la persona gentile.Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com'ebro, e mi tócco,
non anch'io fossi dunque un fantasma.Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l'anima!
io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.Meglio a chi 'l senso smarrì de l'essere,
meglio quest'ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito.
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