Una raccolta delle migliori fiabe per bambini da leggere prima della nanna o nelle fredde giornate invernali.
Le fiabe per bambini derivano dalla tradizione popolare e sono storie di lunghezza media o lunga in cui i protagonisti sono in genere personaggi fantastici come fate, orchi, streghe, maghi, giganti. Lo scopo primario delle favole è quello educativo, ossia di trasmettere un insegnamento morale ai piccoli.
In passato venivano raccontate a voce e tramandate di generazione in generazione. Oggi si è soliti leggerle ai figli o ai nipoti prima di andare a letto oppure per far trascorrere loro del tempo in maniera diversa durante l’autunno e l’inverno, quando le giornate si fanno brevi, l’aria è più fredda e i temporali sono all’ordine del giorno o quasi.
Le favole sono anche uno strumento utile per impartire ai bambini lezioni di vita, aiutarli a conoscere alcuni aspetti del mondo che ancora ignorano e favorire l’acquisizione di nuove parole ma anche competenze linguistiche vere e proprie nel caso di piccoli in età prescolare. Inoltre le fiabe per bambini stimolano la fantasia e la creatività.
Fiabe per bambini da leggere
Ecco per voi una selezione di fiabe per bambini da leggere nel tempo libero.
La storia dell’omino di pan di zenzero testo curato da Alessia de Falco & Matteo Princivalle
Questa favola racconta la disavventura di un omino di pan di zenzero e insegna a non fidarsi degli estranei.
C’erano una volta due anziani signori, marito e moglie, che vivevano in campagna. Un giorno, la moglie, preparò un grazioso omino di pan di zenzero, con i bottoni di zucchero e gli occhi canditi. Lo mise in forno e aspettò che fosse cotto a puntino.
Ma quando la vecchia estrasse la teglia dal forno; non fece in tempo a posarla sul tavolo che l’omino si mise in piedi e saltò giù, scappando fuori dalla porta di casa.
“Non voglio essere mangiato” disse alla donna, facendole le linguacce.
“Torna qui!” gridarono gli anziani, ma l’omino di pan di zenzero continuò a correre, canticchiandoSon l’omino di pan di zenzero;
correte, correte quanto volete,
tanto a prendermi non riuscirete!L’omino attraversò il giardino della casa, inseguito dal marito e dalla moglie, poi attraversò la strada e scappò nella fattoria di fronte.
Che bel bocconcino
Vieni da noi, piccolo omino:
con te faremo un bello spuntino.Gli dissero i maiali nel porcile. Ma l’omino, sfrecciando davanti al cancello, continuò a cantare:
Son l’omino di pan di zenzero;
correte, correte quanto volete,
tanto a prendermi non riuscirete!Superati i maiali, entrò nell’aia, dove le galline becchettavano il grano. Il gallo, vedendolo, cantò:
Guardate un po’ chi è arrivato:
un biscotto di pan pepato,
una vera delizia per il palato.L’omino attraversò l’aia e fuggì anche da lì.
Son l’omino di pan di zenzero;
correte, correte quanto volete,
tanto a prendermi non riuscirete!Dopo l’aia, l’omino di pan di zenzero trovò davanti a sé un ruscello e si fermò.
Non posso certo passare di là:
se il mio corpo si bagnerà,
tutto l’impasto si sgretolerà.Ma la donna che l’aveva cucinato era dietro di lui, e stava per raggiungerlo; a quel punto, dalla catasta di legna dietro l’aia spuntò fuori una volpe, che si avvicinò all’omino, sussurrandogli:
Biscottino, ti offro un affare:
sul mio muso devi saltare
e il ruscello ti farò attraversare.L’omino di pan di zenzero saltò sul musi della volpe e quella si lanciò nel ruscello, attraversandolo a nuoto. Quando arrivarono dall’altra parte, l’omino saltò giù dal muso della volpe, ma quella spalancò le fauci e lo addentò al volo. Poi gli disse:
Perché il nostro sia un buon affare
qualcosa devo pur guadagnare
e perciò ti dovrò mangiare.
Barbablu di Charles Perrautl
Barbablu, storia scritta da Charles Perrault, può essere letta ai bambini dai 5 anni in su. Essa narra la vicenda di un uomo ricco, ripugnante e crudele.
C’era una volta un uomo ricchissimo: era il proprietario di ville e palazzi, con piatti d’oro e d’argento e bauli pieni di gemme. Tuttavia, quest’uomo, per disgrazia, aveva la barba blu, che lo rendeva spaventoso. Quando camminava per le strade, tutti lo evitavano e le ragazze, addirittura, se la davano a gambe. Vicino al suo palazzo abitava una signora per bene, con due figlie bellissime. Un giorno, Barbablu (così era chiamato nella cittadina quell’uomo), bussò alla sua porta e chiese alla signora di poter sposare una delle due figlie. Sarebbe stata lei a scegliere quale.
Ma nessuna delle due aveva intenzione di sposare Barbablu, per via del suo aspetto ripugnante. E poi, quell’uomo aveva già sposato parecchie donne e nessuno sapeva che fine avessero fatto. Barbablu, per convincere le ragazze della sua bontà, le invitò per una settimana intera in una delle sue ville, insieme alle loro amiche e a molti altri ospiti. Fu una settimana di festeggiamenti, banchetti e divertimenti di ogni tipo. La più piccola delle ragazze, cominciò a pensare che in fondo era un brav’uomo e un gran signore e decise di sposarlo. Ma appena un mese dopo il matrimonio, Barbablu disse alla moglie che doveva partire per un affare molto importante e che sarebbe stato via almeno un mese. Raccomandò alla ragazza di divertirsi e di invitare le sue amiche perché le facessero compagnia.
L’uomo consegnò alla moglie un mazzo di chiavi d’oro.
“Ecco a te: queste sono le chiavi del guardaroba, queste quelle degli armadi in cui tengo i piatti d’oro e d’argento, queste poi sono le chiavi della cantina, dove troverai il vino e i formaggi migliori; queste sono le chiavi dello scrigno in cui c’è il denaro e questa è la chiave che apre e chiude il portone della villa.”
“Questa infine” disse indicando una piccola chiave arrugginita “apre la porta dello stanzino in fondo al corridoio. Puoi andare dove vuoi, aprire tutte le porte che vuoi ma quello stanzino deve rimanere chiuso. Se dovessi aprirlo, la mia rabbia sarà terribile e non so dirti cosa ti farò.”Poi, Barbablu salì sulla sua carrozza e partì. I primi giorni, la ragazza invitò le sue amiche e diede grandi feste; tuttavia, la curiosità di sapere cosa ci fosse nello stanzino non la abbandonava. E fu così che una sera, dopo aver salutato tutte le sue amiche, scese al pian terreno e aprì la porticina. Le finestre erano tutte chiuse e non si vedeva nulla; dopo un istante, però, le luci del corridoio rischiararono anche lo stanzino: il pavimento era coperto di sangue e alle pareti erano appesi i corpi di tutte le donne che Barbablu aveva sposato: erano tutte morte scannate. La ragazza prese un terribile spavento, così grande che la chiave dello stanzino cadde per terra e si sporcò di sangue. Non ci fu modo di ripulirla: la chiave, infatti, era stregata.
Barbablu tornò il giorno seguente: disse alla moglie che aveva ricevuto una lettera e che i suoi affari erano già conclusi. Poi le chiese indietro il mazzo di chiavi. La ragazza gliele restituì tremando come una foglia e l’uomo capì subito cos’era successo.
“Com’è che la chiave dello stanzino è macchiata di sangue?”
“Io non ne ho idea.”
“Io ne ho qualcuna: perché sei entrata? Ti avevo proibito di aprire la porta dello stanzino, ma tu non mi hai ascoltato. Adesso dovrò ucciderti” tuonò Barbablù.La ragazza, spaventata a morte, chiese un attimo di tempo per pregare e chiedere perdono per i suoi peccati. Barbablu le concesse mezz’ora di tempo. Salì le scale e si mise a guardare fuori dalla finestra: se fossero arrivati i suoi fratelli, che le avevano promesso di venire a trovarla. Solo loro avrebbero potuto salvarla. Ma fuori c’era solo il sole che splendeva e l’erba che si agitava al vento.
“Scendi giù, o verrò io a prenderti” urlò Barbablu dal salone di sotto.
La ragazza guardò di nuovo fuori: c’era un gran polverone e forse… no, era solo un gregge di pecore.
“Sto salendo” tuonò Barbablu, che aveva in mano un coltellaccio.
La ragazza guardò fuori per l’ultima volta ed ecco: vide due cavalieri scintillanti che galoppavano verso la villa. Erano i suoi fratelli, due valorosi moschettieri del Re.
Barbablù buttò giù la porta con un calcio. La ragazza si buttò a terra, piangendo disperata.
“Non serve piangere: mi hai disobbedito e ora ti ucciderò”.Poi la prese per i capelli e sollevò per aria il suo coltellaccio. Ma proprio in quel momento, entrarono i due cavalieri, che vedendo Barbablu con il coltellaccio sguainato sfoderarono le loro pistole e…pum! lo colpirono a morte. E così la ragazza ereditò tutte le ricchezze che erano state di Barbablù. Una parte le donò alla sorella, e con il rimanente visse felice e contenta, dopo aver sposato un buon cavaliere.
Il principe Felice di Oscar Wilde
Questa favola è adatta ai bambini dai 5 anni in su e racconta la storia di una statua e di una rondine.
C’era una volta, nella piazza di un paese, la statua di un principe felice: era una statua ricoperta d’oro e tempestata di gemme e gioielli. Gli abitanti del paese l’avevano costruita in ricordo di un principe che aveva governato quelle terre molti anni prima: si diceva che non ci fosse mai stata una persona più felice di lui.
Un giorno d’autunno, una rondine si posò sulla statua: stava volando verso Sud, per ripararsi dal freddo in qualche oasi d’Egitto, ma era stanca e decise di fare una sosta.
Durante la notte, la rondine si accorse che la statua del principe piangeva a dirotto. “Cosa succede?” chiese.
“Guarda il mio paese” sospirò la statua del principe “è ridotto in miseria, ed è tutta colpa mia. Invece di preoccuparmi per queste persone, ho trascorso la vita a danzare, cacciare e dar feste, e questo è il risultato. Eppure, potrei ancora fare qualcosa”.La rondine non capiva cosa volesse dire la statua.
“Vedi quella donna laggiù? Suo figlio è malato e lei non ha i soldi per curarlo. Però, se potessi darle uno dei miei occhi…è un rubino grosso come un uovo: le basterebbe per curare il bambino e a sfamarlo per una vita intera. Anzi, non è che potresti occupartene tu?” chiese la statua alla rondine.La rondine non aveva in programma di rimanere lì: il vento cominciava ad essere freddo e doveva assolutamente partire per l’Egitto. Tuttavia, le lacrime del principe e il suo desiderio la convinsero a fermarsi. Prese uno degli occhi della statua e la portò alla donna, spiegandole che era un dono del principe felice.
Il giorno dopo, la statua riprese a piangere. “Guarda quei bambini: sono orfani e non mangiano da due giorni. Se potessero avere l’altro dei miei occhi, sarebbero sistemati per la vita. È uno zaffiro cinese, vale una fortuna”.
Per la seconda volta, il principe felice convinse la rondine a fermarsi e a portare lo zaffiro ai poveri bambini.Il terzo giorno, la statua piangeva ancora. ” Se solo potessi dare la mia corona al mugnaio, avrebbe di che vivere, lui e tutti i suoi dieci figlioli”. E la rondine, che ormai aveva preso a cuore quel paese, staccò la corona dal capo della statua e la donò al mugnaio.
Per tutto l’autunno la rondine rimase al paese, aiutando il principe felice a distribuire i suoi gioielli ai poveri della città. Quando arrivò l’inverno, però, l’uccellino si ammalò per il freddo. La statua del principe le consigliò di partire per l’Egitto, ma la rondine era troppo debole e rimase appollaiata sulla statua. A dicembre, la rondinella spirò e cadde ai piedi del principe.
Nel frattempo, il sindaco del paese, vedendo la statua spoglia di tutti i suoi gioielli, ordinò di farla a pezzi e di fonderla: “Al suo posto” disse “metteremo una bella statua in mio onore”. E così fecero, con l’eccezione del cuore del principe, che non ne voleva sapere di fondersi. Non appena la statua fu pronta, il sindaco la fece collocare al centro della piazza. Il cuore di bronzo del principe e il corpicino della rondine, invece, furono gettati tra i rifiuti.
Ma questa storia non è destinata ad un finale così triste: infatti, dopo il Natale, passò di lì un angelo, che vide il cuore e la rondinella coperti di neve. “Due creature tanto buone non possono giacere abbandonate tra i rifiuti” pensò l’angelo. Così, li raccolse e li portò con sé in Paradiso, dove vivono felici ancora oggi.
Il gigante egoista di Oscar Wilde
In questa favola viene narrata la vicenda di un gigante egoista che un giorno diventa gentile.
C’era una volta un gigante, che abitava in una casa nel mezzo del bosco. La casa era circondata da un giardino fiorito e da un frutteto che produceva frutta e verdura prelibata tutto l’anno. Un giorno, il gigante andò a trovare il suo amico orco e partirono insieme per fare un viaggio in giro per il mondo.
In questi anni, i bambini dei paesi vicini cominciarono a frequentare il giardino del gigante: si trovavano lì dopo la scuola e giocavano fino al tramonto. Quando il gigante tornò dal suo viaggio, trovò il suo giardino invaso dai bambini che correvano e si rincorrevano. Il gigante non sopportava la confusione: scacciò tutti i bambini e costruì un muro di pietre e mattoni intorno al giardino. Il gigante trascorse l’inverno da solo, accanto al camino; i bambini, invece, dovettero trovare altri luoghi in cui giocare.
Quando tornò la primavera il ghiaccio cominciò a sciogliersi, ma nel giardino del gigante non spuntò nessun fiore: il giardino, senza bambini, si era rifiutato di svegliarsi e aveva continuato a dormire. Il gigante fece finta di niente e rimase rintanato nella sua casa. Arrivò l’estate, ma il giardino rimase coperto di ghiaccio. Il gigante si prese un brutto raffreddore e fu costretto a letto. Trascorse l’estate e l’autunno successivo tra il letto e la finestra, a controllare che nessun bambino scavalcasse il suo muro. Con l’inverno, il raffreddore peggiorò: il gigante rimase a letto.
Un bel giorno, il gigante fu svegliato dal canto di un uccellino: gli parve il suono più bello che avesse mai udito. Il gigante scese dal letto con fatica e si affacciò alla finestra. Nel giardino c’erano tre bambini che si rincorrevano. Sotto i loro piedi, il ghiaccio si stava sciogliendo e i primi fiori primaverili stavano sbocciando.
Il gigante uscì di casa. I bambini, appena lo videro, si nascosero dietro gli alberi per la paura. Ma il gigante li rassicurò: “Non abbiate paura, non voglio farvi del male. Vorrei restituirvi il mio giardino: così avrete un posto in cui giocare tutti insieme. Le parole del gigante sciolsero il manto di ghiaccio che aveva avvolto il giardino. I bambini corsero in paese a chiamare i loro amichetti e sparsero la voce che il gigante era diventato buono. Nel frattempo, il vecchio gigante buttò giù il muro che aveva costruito per nascondere il giardino: mentre lavorava, si sentiva pieno di energie e felice e così guarì dal suo raffreddore. Da quel giorno, il gigante egoista divenne un gigante gentile, che trascorreva le sue giornate in giardino a giocare con i bambini.
Tremotino
Questa favola dei Fratelli Grimm, racconta la storia di una donna che deve scoprire il nome di un uomo per non cedergli suo figlio.
C’era una volta un mugnaio, terribilmente povero, che aveva però una figlia bellissima. Un giorno, parlando con il re, gli disse: “Mia figlia sa trasformare la paglia in oro”. Il re, che adorava l’oro, ordinò al mugnaio di portargli dinnanzi la sua figliola.
Poi, la portò in una stanza piena di paglia e le disse: “Se domani non avrai trasformato in oro tutta questa paglia, morirai”. Chiuse la porta e lasciò la ragazza da sola. La poveretta stava seduta al centro della stanza, senza alcuna idea di come avrebbe potuto salvarsi. Ad un certo punto, però, la porta si aprì: entrò un omino che disse: “Buonasera signorina, perché piangi?”.
La fanciulla rispose: “Devo trasformare questa paglia in oro entro domattina, ma non ne sono capace”.
“E se lo facessi al posto tuo, cosa mi daresti?” gli chiese l’omino. “La mia collana”.
L’omino prese la collana e si mise al lavoro; andò avanti senza sosta fino al mattino ed ecco, tutta la paglia si era tramutata in oro.Quando il re aprì la porta ne fu molto soddisfatto: portò la figlia del mugnaio in una stanza molto più grande e le disse che entro la mattina seguente avrebbe dovuto trasformare anche quella paglia in oro. Anche questa volta, comparve l’omino che chiese alla fanciulla: “Che cosa mi dai se trasformo quest’oro in paglia al posto tuo?”
“L’anello che ho al dito” propose la ragazza.
L’omino prese l’anello e si mise al lavoro.Il re fu molto soddisfatto. Così, porto la ragazza in una stanza ancora più grande e le disse: “Entro domani, dovrai aver trasformato in oro anche questa paglia. Se ci riuscirai, diventerai la mia sposa”. Non appena la ragazza fu rimasta sola, l’omino le chiese: “Cosa mi darai se ti filo la paglia anche questa volta?”
Ma alla ragazza non era rimasto più nulla. “Allora promettimi che non appena sarai diventata regina, mi darai il tuo primo bambino”.
La ragazza promise e l’omino trasformò la paglia in oro al posto suo.Il re, la mattina seguente, vide tutto l’oro e decise di sposare la ragazza. Dopo un anno, la regina diede alla luce un bel maschietto; si era dimenticata della sua promessa, ma d’un tratto entrò nella sua stanza l’omino, a reclamare il suo bambino. La regina gli offrì oro e gioielli, ma non ci fu modo di corromperlo. La regina scoppiò in lacrime.
“E va bene, se entro tre giorni riesci a scoprire il mio nome, potrai tenerti il bambino”.La regina inviò i suoi uomini in lungo e in largo per il regno a domandare e a cercare di scoprire l’identità di quell’omino. Il giorno seguente, non appena l’omino si presentò al palazzo, cominciò con tutti i nomi che le avevano suggerito: Gaspare, Melchiorre, Baldassarre e tantissimi altri nomi.
“Non mi chiamo così!” rispondeva ogni volta l’omino.Anche il secondo giorno la regina provò con una sfilza di nomi, ma nessuno era il nome dell’omino. Così, giunse il terzo giorno; un messaggero tornò dalla regina dicendole che, nel folto del bosco, aveva visto un buffo omino saltellare intorno a un fuoco canticchiando:
“Oggi fo il pane,
la birra domani, e il meglio per me
è aver posdomani il figlio del re.
Nessun lo sa, e questo è il sopraffino,
Ch’io porto il nome di Tremotino!”La regina si rallegrò; non appena l’omino giunse a palazzo gli disse: “Ti chiami Tremotino! Tremotino è il tuo nome.”
L’omino cominciò a pestare i piedi per terra, gridando “Te l’ha detto il diavolo, te l’ha detto il diavolo!”. Saltava così forte che affondò nella terra fino alla cintura.
Fiabe per bambini Esopo
Esopo è considerato l’iniziatore del genere della favola nella letteratura scritta. Quest’autore ci ha lasciato un patrimonio interessante di storie contenenti importanti massime morali volte ad insegnare ai ragazzi il modo corretto in cui comportarsi nella vita. Qui di seguito trovate una raccolta delle migliori.
La lepre e la tartaruga
Questa favola breve insegna a non sottovalutare mai i propri avversari, anche quando sembrano più deboli di noi.
La lepre si vantava con tutti gli animali: “Nessuno può battermi in una gara di velocità; sfido chiunque a correre con me e a superarmi!”
La tartaruga accettò la sfida, con tanta calma e il sorriso sulla bocca.
“Questa poi!” rise la lepre “Una tartaruga che vorrebbe battermi nella corsa”.
Ma la tartaruga sembrava seria: “Non vantarti prima della vittoria; vuoi fare questa gara o no?”La lepre accettò, così fu stabilito il percorso e dato il via. Naturalmente, la lepre partì come un fulmine e superò la tartaruga; a poca strada dal traguardo, poiché non vedeva più il suo avversario, decise di fare un sonnellino, per mostrare alla tartaruga quanto le fosse superiore. Tuttavia, la tartaruga, avanzava passo dopo passo e non impiegò molto a raggiungere la sua avversaria; poi, visto che quella ancora dormiva, andò avanti e tagliò il traguardo. Quando la lepre si svegliò, ormai era troppo tardi e la tartaruga aveva vinto la gara; così, disse alla lepre:”Non basta correre, bisogna partire in tempo”.
Al lupo, al lupo!
In questa favola viene insegnato come essere bugiardi non porti a nulla di buono.
In un villaggio viveva un pastorello che, ogni giorno, portava le pecore a pascolare. Poiché si annoiava molto, decise di fare uno scherzo agli abitanti del villaggio.
«Al lupo, al lupo!» cominciò a gridare. I contadini del villaggio accorsero con forconi e randelli, ma una volta nel prato non videro nessuno.Il pastorello, rideva a crepapelle: «Era uno scherzo, e ci siete cascati tutti!»
Il giorno dopo ripeté lo scherzo: i contadini arrivarono di corsa al prato ma si accorsero che si trattava di un altro scherzo del pastorello, che si era preso gioco di loro per la seconda volta.Un giorno, all’improvviso, arrivò un intero branco di lupi. Il pastorello cominciò a gridare: «Al lupo, al lupo!»
I contadini, però, pensarono che si trattasse del solito scherzo e rimasero al loro posto. Così, i lupi fecero strage di pecore e agnelli senza che nessuno li disturbasse.
Il toro e la zanzara
Questa fiaba contiene una verità di cui bisogna tenere conto sempre: ci sono persone che si ritengono più importanti di quanto in realtà non siano.
In una giornata soleggiata, una zanzara stava svolazzando su un campo di fieno. Ad un certo punto, andò a posarsi sopra le corna di un bue, per riposarsi un poco. Dopo aver ripreso le forze, spiegò le ali per volare via; prima, però, volle scusarsi con il toro per aver utilizzato le sue corna in quel modo.
“Adesso potrai esser felice: me ne sto andando” disse la zanzara al bue.
“Per me è lo stesso,” rispose il toro “non mi ero neanche accorto che tu fossi qui!”
Il carro e i buoi
Questa storia breve contiene un insegnamento fondamentale: spesso si lamenta chi soffre di meno.
Una coppia di buoi stava trainando un carro davvero pesante lungo una strada dissestata, tra i campi. Per riuscire a spingere il carro, dovevano spingere con tutte le loro forze, eppure andavano avanti senza battere ciglio.
Le ruote del carro, invece, facevano molta meno fatica e non dovevano trainare alcun peso, però piangevano e si lamentavano in continuazione. I buoi, che tiravano il carro con tutte le loro forze e con gli zoccoli immersi nel fango, erano infastiditi dai lamenti delle ruote, che rendevano il loro lavoro ancora più duro.
“Silenzio!” strillò uno dei buoi, che aveva perso la pazienza “Perché voi ruote vi lamentate? Siamo noi che tiriamo tutti il peso, non voi e andiamo avanti senza lamentarci”.
Il gallo e la perla
Questa storia, adatta per essere letta ai bambini dai 4 anni in su, insegna che le cose preziose le merita solo chi sa davvero apprezzarle.
C’era una volta un gallo che stava setacciando il pollaio in cerca di qualcosa da mangiare. Ad un certo punto, becchettando qua e là, trova una perla: “Una perla! Se solo ti avesse trovato un uomo che ama le cose preziose, ti avrebbe raccolto e lucidato; ma io, avrei preferito un chicco di grano e non so proprio cosa farmene di una perla”.
E così, il gallo abbandonò la perla tra la polvere e continuò a razzolare.
Fiabe per bambini fratelli Grimm
I fratelli Grimm sono diventati celebri nel mondo letterario per aver raccolto e riscritto molte favole antiche derivanti dalla cultura europea, in particolare da quella tedesca. Le loro storie sono caratterizzate da un’ambientazione spesso oscura e sono popolate da esseri fantastici spaventosi come goblin, troll e lupi. In questa sezione trovate inserite le più interessanti.
Il pifferaio magico
Questa favola racconta la vicenda di un pifferaio magico che per vendicarsi della gente di un villaggio, porta via con sé tutti i bambini.
C’era una volta la città di Hamelin, in Germania: i suoi abitanti erano conosciuti ovunque per la loro avarizia. Quando si accorsero di quanto spendevano a nutrire i loro gatti, decisero di mandarli via dalla città. E così, Hamelin, oltre che per i suoi abitanti avari e antipatici, diventò famosa per essere l’unica città del paese senza l’ombra di un gatto.
Questa notizia fece molto piacere ai topi, che arrivarono in massa. In men che non si dica, infestarono le cantine, i magazzini e i granai. Così, Hamelin diventò famosa, oltre che per i suoi abitanti avari e antipatici e per essere l’unica città del paese senza l’ombra di un gatto anche per i suoi topi.
C’erano topi di tutte le forme e le dimensioni: dagli innocenti topini di campagna alle pantegane, grosse come uno scarpone da montagna. Gli abitanti di Hamelin erano disperati e nemmeno il sindaco sapeva cosa fare. Un giorno, però, si presentò alle porte del municipio un piccolo ometto che disse al sindaco: “Io vi libererò dai topi, ma voglio mille monete d’oro”. Il sindaco fece i suoi conti: mille monete erano la metà di quanto si spendeva per mantenere i gatti. Così accettò.
L’omino prese dalla sua sacca uno zufolo e cominciò a suonare. Come per magia, i topi uscirono dalle cantine e dai granai e lo seguirono, incantati dal suono dello zufolo. Dalle case uscirono migliaia di topi, che seguirono l’omino fino al fiume. Tutti i topi di Hamelin erano usciti dalle loro tane per seguirlo: non ne era rimasto nemmeno più uno.
Il pifferaio si immerse nell’acqua fino alla cintura e i topi lo seguirono, nuotando come potevano. Presto, però, i roditori furono trascinati via dalla corrente impetuosa e morirono affogati. Il pifferaio tornò a riva, si scrollò l’acqua di dosso e tornò ad Hamelin, per ottenere la sua ricompensa.
“E tu vorresti mille monete d’oro per aver suonato lo zufolo?” gli disse il sindaco. “Da me non avrai proprio niente, cialtrone che non sei altro”. L’omino fu cacciato dal municipio e anche gli altri abitanti della città lo presero a male parole.
“Ah sì?” disse loro il pifferaio magico “Pagherete cara la vostra avarizia! Ah se vi pentirete”. Poi si avviò verso le porte della città di Hamelin, tirando fuori dalla sua sacca lo zufolo. L’omino cominciò a suonare ed improvvisamente, dalle case e dalle scuole uscirono i bambini. Proprio come era successo ai topi, tutti i bambini della città vennero incantati dal suono dello zufolo magico del pifferaio e lo seguirono correndo e saltellando.I loro genitori cercarono di fermarli, ma non ci fu niente da fare: i bambini uscirono dalla città. Il pifferaio camminò suonando fino alle montagne; poi, fece entrare tutti i bambini in una grotta e sigillò l’ingresso con una pietra. Da quel giorno, i bambini non sono mai tornati in città e nessuno sa che fine abbiano fatto. Solo un piccolo rimase fuori dalla grotta: era zoppo e si era fermato nel bosco, esausto.
I musicanti di Brema
In questa storia, i fratelli Grimm raccontano l’avventura di un asino, un cane, un gatto e un gallo.
Un contadino aveva un vecchio asino: l’animale aveva trasportato centinaia di sacchi di farina al mulino, ma ormai era vecchio e stanco e non poteva più lavorare. Così, il contadino pensò di uccidere l’animale e di acquistare un asino giovane e forte. Ma la bestia, che aveva intuito i pensieri del padrone, una notte fuggì e si ritrovò sulla strada per Brema.
L’asino pensava di entrare nella banda municipale: lì si sarebbe guadagnato da vivere suonando. Lungo la strada, incontrò Zampalesta, un vecchio segugio. Era sdraiato lungo la strada e respirava a fatica.
“Zampalesta, amico mio, che ci fai lì per strada?” gli chiese l’asino.
“Ormai sono vecchio amico mio, e non riesco più a cacciare: così il mio padrone voleva uccidermi; per fortuna me ne sono accorto in tempo e me la sono data a gambe. Ma adesso, come farò a guadagnarmi qualcosa da mangiare?”L’asino suggerì al cane di recarsi a Brema insieme a lui: sarebbero entrati insieme nella banda municipale. I due vecchi compagni erano lungo la strada quando incontrarono un vecchio gatto spelacchiato.
“Baffone, che ti è successo? Cosa ci fai qui in mezzo alla strada?” chiese Zampalesta.
“Il mio padrone voleva uccidermi: sono troppo vecchio per prendere i topi e non gli servo più a nulla. Per fortuna sono riuscito a scappare”.
E l’asino propose anche a lui di recarsi a Brema per diventar musicista. I tre percorsero un tratto di strada, finché, appollaiato su un recinto di legno, videro un gallo che cantava a squarciagola.
“Perché strilli tanto? Ci assorderai” lo rimproverò il gatto.
“Canto perché domani la mia padrona mi taglierà il collo e mi metterà in forno; l’ho sentito dire dalla cuoca. E finché posso, voglio cantare”.Gli altri animali, non senza fatica, lo convinsero a seguirli e a diventare musicista a Brema; del resto, qualsiasi cosa è meglio della morte. Il sole tramontò, e Brema era ancora lontana. Così, gli animali si addentrarono nel bosco per passare la notte. Il gallo si arrampicò sulla cima di un albero: da lì, vide una casa poco distante, con le finestre illuminate: “Vedo una casa qui vicina” disse “perché non ci sistemiamo lì per la notte?”
Gli animali si avvicinarono alle finestre e videro una banda di briganti, armati fino ai denti, che mangiavano e bevevano a più non posso.
“Dovremmo scacciarli: guardate quante prelibatezze in quella casa. Potremmo riposarci e rifocillarci per bene”.
E così, gli animali salirono l’uno sull’altro: il cane sull’asino, il gatto sul cane e il gallo sul gatto. Poi, ragliando, abbaiando, miagolando e cantando a squarciagola, mandarono in frantumi il vetro di una finestra ed entrarono in casa.I briganti, temendo che si trattasse di un fantasma, scapparono nel bosco. Gli animali intanto si erano sistemati e avevano mangiato di tutto e di più, poi avevano spento le luci e si erano messi a dormire. Intanto, i briganti, che tremavano per il freddo in mezzo al bosco, mandarono il più giovane di loro ad ispezionare la casa.
Questi, entrò in cucina e accese una candela; non appena l’avvicinò al gatto, però, questi gli saltò addosso, soffiando e graffiandogli il viso. Il brigante, spaventato a morte, scappò dalla porta sul retro; lì, però, c’era il cane che gli morse una gamba. Più avanti, mentre correva via dal cortile, l’asino gli diede un bel calcione. Intanto, il gallo, strillava a più non posso: “Chicchirichì!”
Il giovane brigante, raggiunto il resto della banda, disse loro: “La casa è infestata! C’è una terribile strega che mi ha graffiato la faccia con i suoi artigli. E alla porta, c’era un assassino che mi ha ferito la gamba col suo coltello. E in giardino, c’era un mostro nero che mi ha colpito con i suoi zoccoli. E sul tetto, c’era il giudice che strillava: prendetelo!”.
Da quel giorno, i banditi non si avvicinarono mai più alla casa nel bosco. E gli animali? Invece di andare a Brema e diventare musicanti, si fermarono lì da quanto si trovavano bene.
Biancaneve
Questa storia narra di una principessa che per scappare da una regina crudele si rifugia nel bosco nella casa di sette nani.
Una volta, in inverno inoltrato, mentre i fiocchi di neve cadevano dal cielo come piume, una regina cuciva seduta accanto a una finestra dalla cornice d'ebano. E, mentre cuciva e alzava gli occhi per guardare la neve, si punse un dito e tre gocce di sangue caddero nella neve. Il rosso era così bello su quel candore, che ella pensò fra sé: "Avessi un bambino bianco come la neve, rosso come il sangue e nero come il legno della finestra! ."
Poco tempo dopo, diede alla luce una bimba bianca come la neve, rossa come il sangue e con i capelli neri come l'ebano; e, per questo, la chiamarono Biancaneve. E, quando nacque, la regina morì. Dopo un anno, il re prese di nuovo moglie: una donna bella, ma orgogliosa; non poteva tollerare che qualcuno la superasse in bellezza. Possedeva uno specchio e, quando vi si specchiava, diceva: - Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello? E lo specchio rispondeva: - È il tuo, Regina, di tutte il più bello! Ed ella era contenta, perché sapeva che lo specchio diceva la verità. Ma Biancaneve cresceva, diventando sempre più bella e, quand'ebbe sette anni, era bella come la luce del giorno e più bella della regina stessa. Una volta che la regina interrogò lo specchio:-Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello?- Lo specchio rispose:-Il tuo aspetto qui di tutte è il più bello, ma Biancaneve dalla chioma corvina è molto più bella della Regina!
All'udire queste parole, la regina allibì e sbiancò per l'ira e l'invidia. Da quel momento in poi, la sola vista di Biancaneve la sconvolgeva, tanto la odiava. Invidia e superbia crebbero a tal punto in lei, da non lasciarle più pace né giorno né notte. Allora chiamò un cacciatore e disse: - Conduci la bambina nella foresta selvaggia, non voglio più vederla. Uccidila e portami i polmoni e il fegato come prova della sua morte. Il cacciatore obbedì e condusse Biancaneve lontano, ma quando estrasse il coltello per trafiggere il suo cuore innocente, ella si mise a piangere e disse: - Ah, caro cacciatore, risparmiami la vita! Me ne andrò nel bosco e non farò mai più ritorno a casa. Ed ella era tanto bella, che il cacciatore ne ebbe pietà e disse: - Va' pure, povera bimba.
"Le bestie feroci ti divoreranno ben presto" pensava; ma sentiva che gli si era levato un grosso peso dal cuore, non dovendola più uccidere. E siccome, proprio in quel momento, arrivò di corsa un cinghialetto, lo sgozzò, gli tolse i polmoni e il fegato e li portò alla regina come prova. Ella, nella sua bramosia, li fece cucinare sotto sale e li divorò credendo di mangiare polmoni e il fegato di Biancaneve. Intanto la povera bambina era tutta sola nella grande foresta, e aveva tanta paura che temeva anche le foglie degli alberi e non sapeva cosa fare per porsi in salvo. Allora si mise a correre e corse sulle pietre aguzze e fra le spine; le bestie feroci le passavano accanto, ma senza farle alcun male.
Corse finché la ressero le gambe; sul far della sera, vide una piccola casetta e vi entrò per riposarsi. Nella casetta ogni cosa era minuscola ma straordinariamente linda e aggraziata. C'era un tavolino ricoperto da una candida tovaglietta e apparecchiato con sette piattini: ogni piattino aveva il suo cucchiaino, sette coltellini, sette forchettine e sette bicchierini. Lungo la parete, l'uno accanto all'altro, c'erano sette lettini, coperti di candide lenzuola. Biancaneve aveva tanta fame e tanta sete che mangiò un po' di verdura e di pane da ciascun piattino, e bevve una goccia d vino da ogni bicchierino, poiché non voleva portare via tutto a uno solo.
Poi, dato che era tanto stanca, si sdraiò in un lettino ma non ce n'era uno che le andasse bene: questo era troppo lungo, quell'altro troppo corto; finalmente il settimo fu quello giusto, vi si coricò, si raccomandò a Dio e si addormentò. Quando fu buio arrivarono i padroni di casa: erano sette nani che estraevano i minerali dai monti. Accesero le loro sette candeline e, quando la casetta fu illuminata, si accorsero che era entrato qualcuno, perché non era tutto in ordine come l'avevano lasciato. Il primo disse: - Chi è seduto sulla mia seggiola? Il secondo: - Chi ha mangiato dal mio piattino? Il terzo: - Chi ha preso un pezzo del mio panino? Il quarto: - Chi ha mangiato un po' della mia verdura?. Il quinto: - Chi ha usato la mia forchettina? Il sesto: -C hi ha tagliato con il mio coltellino?. Il settimo: - Chi ha bevuto dal mio bicchierino? Poi il primo si guardò intorno e vide che il suo letto era un po' schiacciato e disse: - Chi ha schiacciato il mio lettino?. Gli altri arrivarono di corsa e gridarono: - Anche nel mio c'è stato qualcuno!. Ma il settimo, quando guardò nel suo lettino, vi scorse Biancaneve addormentata. Allora chiamò gli altri che accorsero e, gridando di meraviglia, presero le loro sette candeline e illuminarono Biancaneve. - Ah, Dio mio! ah, Dio mio!- esclamarono -che bella bambina!- E la loro gioia fu tale che non la svegliarono ma la lasciarono dormire nel lettino. Il settimo nano dormì con i suoi compagni: un'ora con ciascuno, e la notte passò. Al mattino, Biancaneve si svegliò e, vedendo i sette nani, s'impaurì. Ma essi le chiesero con gentilezza: - Come ti chiami?. - Mi chiamo Biancaneve- rispose. - Come hai fatto ad arrivare fino alla nostra casa?- chiesero ancora i nani.
Allora ella si mise a raccontare che la sua matrigna voleva farla uccidere, ma il cacciatore le aveva risparmiato la vita ed ella aveva corso tutto il giorno, finché aveva trovato la casina. I nani dissero: - Se vuoi provvedere alla nostra casa, cucinare, fare i letti, lavare, cucire e fare la calza, e tenere tutto in ordine e ben pulito, puoi rimanere con noi e non ti mancherà nulla. Biancaneve promise che avrebbe fatto tutto ciò, e tenne in ordine la loro casetta. La mattina i nani andavano nei monti in cerca di minerali e dl oro, la sera ritornavano e la cena doveva essere pronta.
Durante la giornata la fanciulla era sola e i nani la misero in guardia dicendole: - Fai attenzione alla tua matrigna, farà in fretta a sapere che tu sei qui: non aprire a nessuno. Ma la regina, credendo di aver mangiato il fegato e i polmoni di Biancaneve, non pensava ad altro se non ch'ella era di nuovo la prima e la più bella; andò davanti allo specchio e disse: - Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello?
- E lo specchio rispose:-Il tuo aspetto qui di tutte è il più bello. Ma lontano da qui, in una casina di sette nani, piccina piccina, è Biancaneve dalla chioma corvina molto più bella della Regina!
- La regina inorridì poiché sapeva che lo specchio non mentiva e capì che il cacciatore l'aveva ingannata e che Biancaneve era ancora in vita. E, siccome lo specchio le aveva rivelato che la bambina si trovava fra i monti, presso i sette nani, si mise a pensare nuovamente a come fare per ucciderla: perché se non era la più bella in tutto il paese, l'invidia non le dava requie. Pensa e ripensa, si tinse il viso e si travestì da vecchia merciaia, riuscendo a rendersi perfettamente irriconoscibile. Così camuffata, passò i sette monti e arrivò fino alla casa dei setti nani; bussò alla porta e gridò: - Roba bella, comprate! comprate!. Biancaneve diede un'occhiata fuori dalla finestra e disse: - Buon giorno, buona donna, cosa avete da vendere?. - Roba buona, roba bella - rispose la vecchia - stringhe di tutti i colori. E, così dicendo, ne tirò fuori una di seta variopinta e gliela mostrò.
"Questa brava donna posso lasciarla entrare" pensò Biancaneve "ha buone intenzioni." Aprì la porta e si comprò la stringa colorata. - Aspetta bimba - disse la vecchia - come se conciata! Vieni per una volta voglio allacciarti io come si deve! Biancaneve non sospettò nulla di male, le si mise davanti e si lasciò allacciare con la stringa nuova. Ma la vecchia strinse tanto e così rapidamente che a Biancaneve mancò il respiro e cadde a terra come morta. – Finalmente la tua bellezza è tramontata! - disse la perfida donna, e se ne andò. Poco dopo, a sera, ritornarono i sette nani: come si spaventarono nel vedere la loro cara Biancaneve distesa a terra, immobile come se fosse morta! La sollevarono e, vedendo che aveva la vita troppo stretta, tagliarono la stringa. Allora ella incominciò a respirare a fatica, poi, a poco a poco, riprese vigore. Quando i nani udirono ciò che era accaduto, dissero: - La vecchia merciaia non era altri che la regina. Sta' in guardia, e non lasciar entrare nessuno, mentre noi non ci siamo! Ma la regina cattiva, appena a casa, andò davanti allo specchio e domandò: -Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello? E lo specchio rispose: - Il tuo aspetto qui di tutte è il più bello. Ma lontano da qui, in una casina di sette nani, piccina piccina, è Biancaneve dalla chioma corvina molto più bella della Regina! All'udire queste parole, il sangue le affluì tutto al cuore dallo spavento, poiché vide che Biancaneve era tornata a vivere. Così si rimise nuovamente a pensare a come potesse sbarazzarsene e pensò di utilizzare un pettine avvelenato. Poi si travestì e prese nuovamente le sembianze di una povera donna, del tutto diversa dalla precedente, però. Passò i sette monti e giunse alla casa dei nani; bussò alla porta e gridò: -Roba bella, comprate! comprate!-. Biancaneve diede un'occhiata fuori e disse: -Non posso lasciar entrare nessuno-. Ma la vecchia disse: - Guarda un po' che bei pettini!. Tirò fuori quello avvelenato e glielo mostrò. Alla bambina piacque tanto che si lasciò raggirare, aprì la porta e lo comprò. Poi la vecchia disse: - Lascia che ti pettini. Biancaneve non sospettò nulla di male, ma come la vecchia le infilò il pettine fra i capelli, il veleno agì e la fanciulla cadde a terra come morta. - Finalmente è finita per te! - disse la vecchia, e se ne andò. Ma, per fortuna era quasi sera e i sette nani stavano per ritornare. Non appena videro Biancaneve distesa a terra come morta, pensarono subito a un nuovo imbroglio della cattiva matrigna; si misero a cercare e trovarono il pettine avvelenato. Come l'ebbero tolto, Biancaneve si riebbe e raccontò ciò che le era accaduto.
Allora essi le raccomandarono ancora una volta di stare attenta e di non aprire la porta a nessuno. A casa, la regina si mise davanti allo specchio e disse: -Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello? Come al solito lo specchio rispose: - Il tuo aspetto qui di tutte è il più bello. Ma lontano da qui, in una casina di sette nani, piccina piccina, è Biancaneve dalla chioma corvina molto più bella della Regina! A queste parole, ella rabbrividì e fremette per la collera. Poi gridò: -Biancaneve deve morire, dovesse costarmi la vita. Andò in una stanza segreta dove nessuno poteva entrare e preparò una mela velenosissima. Di fuori era così bella rossa, che invogliava solo a vederla, ma chi ne mangiava un pezzetto doveva morire. Quando la mela fu pronta, ella si tinse il viso e si travestì da contadina; così camuffata passò i sette monti e arrivò fino alla casa dei nani. Bussò, Biancaneve si affacciò alla finestra e disse: - Non posso lasciar entrare nessuno, i nani me l'hanno proibito!. -Non importa - rispose la contadina - venderò lo stesso le mie mele. Tieni, voglio regalartene una.
- No - disse Biancaneve, - non posso accettar nulla.-
- Hai forse paura del veleno? - disse la vecchia. - Facciamo così: tu mangerai la parte rossa e io quella bianca. Ma la mela era fatta con tanta arte che soltanto la parte rossa era avvelenata. Biancaneve desiderava tanto la bella mela e, quando vide che la contadina ne mangiava non poté più trattenersi e allungò la mano per farsi dare la sua metà. Ma al primo boccone, cadde a terra morta. Allora la regina disse: - Questa volta nessuno ti risveglierà! Tornò a casa e domandò allo specchio: - Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello? Finalmente lo specchio rispose: - È il tuo, Regina, di tutte il più bello! E il cuore invidioso finalmente ebbe pace, se ci può essere pace per un cuore invidioso.
A sera, quando i nani tornarono a casa, trovarono Biancaneve distesa a terra: dalle sue labbra non usciva respiro, era morta. La sollevarono, guardarono se vi fosse qualcosa di velenoso, le slacciarono le vesti, le pettinarono i capelli, la lavarono con acqua e vino, ma inutilmente: la cara bambina era morta e non si ridestò. La distesero allora in una bara, vi si sedettero accanto tutti e sette e la piansero per tre giorni interi. Poi volevano sotterrarla, ma ella era ancora così fresca, le sue guance erano così belle rosse da farla sembrare ancora in vita. Allora dissero - Non possiamo seppellirla nella terra nera- e fecero fare una bara di cristallo, perché la si potesse vedere da ogni lato, ve la deposero, vi misero sopra il suo nome, a caratteri d'oro, e scrissero che era figlia di re. Poi esposero la bara sul monte, e uno di loro vi rimase sempre a guardia. Anche gli animali vennero a piangere Biancaneve: prima una civetta, poi un corvo e infine una colombella. Biancaneve giacque per molto, molto tempo nella bara, ma non si decompose: sembrava che dormisse poiché era ancora bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l'ebano. Ma un bel giorno un principe capitò nel bosco e si recò a pernottare nella casa dei nani.
Vide la bara di Biancaneve sul monte e lesse ciò che vi era scritto a caratteri d'oro. Allora disse ai nani: - Lasciatemi la bara; vi darò ciò che vorrete in compenso. Ma i nani risposero: - Non la cediamo per tutto l'oro del mondo. - Allora regalatemela - disse egli - non posso vivere senza vedere Biancaneve: voglio onorarla e ossequiarla come colei che mi è più cara al mondo.
A queste parole i buoni nani si impietosirono e gli diedero la bara. Il principe ordinò ai suoi servi di portarla sulle spalle. Ora avvenne che essi inciamparono in uno sterpo e per l'urto il pezzo di mela avvelenata che Biancaneve aveva inghiottito le uscì dalla gola. Ella tornò in vita, si mise a sedere e disse: -Ah Dio! dove sono?. - Sei con me! - rispose il principe pieno di gioia, le raccontò ciò che era avvenuto e aggiunse: -Ti amo al di sopra di ogni altra cosa al mondo; vieni con me nel castello di mio padre, sarai la mia sposa.
Biancaneve acconsentì e andò con lui, e le nozze furono allestite con gran pompa e splendore. Ma alla festa fu invitata la perfida matrigna.
Indossate le sue belle vesti, ella andò allo specchio e disse:-Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello?-Lo specchio rispose:-Qui sei la più bella, oh Regina, ma molto più bella è la sposina!All'udire queste parole, la cattiva donna si spaventò, e il suo affanno era così grande che non poteva più dominarsi. Da principio non voleva più assistere alle nozze, ma l'invidia la tormentò al punto che dovette andare a vedere la giovane regina. Entrando, vide che non si trattava d'altri che di Biancaneve e impietrì per l'orrore. Ma sulla brace erano già pronte due pantofole di ferro: quando furono incandescenti gliele portarono, ed ella fu costretta a calzare le scarpe roventi e a ballarvi finché‚ le si bruciarono miseramente i piedi e cadde a terra morta.
Il lupo e i sette caprettini
Questa favola racconta di un lupo che mangia sette caprettini poi salvati dalla prontezza della loro mamma.
C'era una volta una vecchia capra, che aveva sette caprettini, e li amava come una mamma ama i suoi bimbi. Un giorno pensò di andare nel bosco a far provviste per il desinare; li chiamò tutti e sette e disse: "Cari piccini, voglio andar nel bosco; guardatevi dal lupo; se viene, vi mangia tutti in un boccone. Quel furfante spesso si traveste, ma lo riconoscerete subito dalla voce rauca e dalle zampe nere." I caprettini dissero: "Cara mamma, staremo ben attenti, potete andar tranquilla." La vecchia belò e si avviò fiduciosa.
Poco dopo, qualcuno bussò alla porta, gridando: "Aprite, cari piccini; c'è qui la vostra mamma, che vi ha portato un regalo per ciascuno." Ma, dalla voce rauca, i caprettini capirono che era il lupo. "Non apriamo," dissero, "non sei la nostra mamma; la mamma ha una vocina dolce, la tua è rauca; tu sei il lupo." Allora il lupo andò da un bottegaio e comprò un grosso pezzo di creta; lo mangiò e così s'addolci la voce. Poi tornò, bussò alla porta e gridò: "Aprite, cari piccini, c'è la vostra mamma, che vi ha portato un regalo per ciascuno." Ma aveva appoggiato alla finestra la sua zampa nera; i piccini la videro e gridarono: "Non apriamo; la nostra mamma non ha le zampe nere come te: tu sei il lupo." Allora il lupo corse da un fornaio e gli disse: "Mi son fatto male al piede, spalmaci sopra un po' di pasta." E quando il fornaio gli ebbe spalmato la zampa, corse dal mugnaio e gli disse: "Spargimi sulla zampa un po' di farina bianca." Il mugnaio pensò: Il lupo vuole ingannare qualcuno, e rifiutò; ma il lupo disse: "Se non lo fai, ti mangio." Allora il mugnaio ebbe paura e gli imbiancò la zampa. Già, così fanno gli uomini.
Ora il briccone andò per la terza volta all'uscio, bussò e disse: "Apritemi, piccini; la vostra cara mammina è tornata dal bosco e vi ha portato un regalo per ciascuno." I caprettini gridarono: "Prima facci vedere la zampa, perché sappiamo se tu sei la nostra cara mammina." Allora il lupo mise la zampa sulla finestra, e quando essi videro che era bianca credettero tutto vero quel che diceva e aprirono la porta. Ma fu il lupo a entrare. I capretti si spaventarono e cercarono di nascondersi. Il primo saltò sotto il tavolo, il secondo nel letto, il terzo nella stufa, il quarto in cucina, il quinto nell'armadio, il sesto sotto l'acquaio, il settimo nella cassa dell'orologio a pendolo. Ma il lupo li trovò tutti e non fece complimenti: li ingoiò l'un dopo l'altro; ma l'ultimo, dentro la cassa dell'orologio, non lo trovò. Quando si fu cavata la voglia, il lupo se ne andò, si sdraiò sotto un albero sul verde prato e si mise a dormire.
Poco dopo la vecchia capra tornò dal bosco. Ah, cosa le toccò vedere! La porta di casa era spalancata, tavola sedie e panche erano rovesciate, l'acquaio era in pezzi, coperta e cuscini strappati dal letto. Cercò i suoi piccoli, ma non riuscì a trovarli da nessuna parte. Li chiamò per nome, l'un dopo l'altro, ma nessuno rispose. Finalmente, quando chiamò il più piccolo, una vocina gridò: "Cara mamma, sono nascosto nella cassa dell'orologio." Lo tirò fuori ed egli le raccontò che era venuto il lupo e aveva divorato tutti gli altri. Pensate come pianse per i suoi poveri piccini!
Alla fine uscì tutt'afflitta e il caprettino più piccolo corse fuori con lei. Quando arrivò nel prato, ecco il lupo sdraiato sotto l'albero, e russava tanto da far tremare i rami. L'osservò da tutte le parti e notò che nella pancia rigonfia qualcosa si moveva e si dimenava. "Ah, Dio mio," pensò, "che siano ancor vivi i miei poveri piccini, che il lupo ha divorato per cena?" Disse al capretto di correre a casa e di prendere forbici, ago e filo. Poi tagliò la pancia del mostro; e al primo taglio, un capretto mise fuori la testa, poi, via via che tagliava, saltaron fuori tutti e sei ed erano tutti vivi e stavano benone; perché il mostro per ingordigia li aveva ingoiati interi. Che gioia fu quella! Si strinsero alla loro cara mamma e saltellavano contenti come pasque. Ma la vecchia disse: "Andate, ora; e cercate delle pietre da riempir la pancia a questo dannato prima che si desti." Allora i sette caprettini trascinarono in gran fretta le pietre e ne cacciarono in quella pancia quante ne poterono portare. Poi la vecchia la ricucì in un baleno, sicché il lupo non se ne accorse e non si mosse neppure.
Finalmente, quando ebbe fatto una bella dormita, il lupo si alzò, e perché le pietre nello stomaco gli davano una gran sete, volle andare a una fontana. Ma quando cominciò a muoversi, le pietre si misero a cozzare nella pancia con gran fracasso. Allora gridò:
"Romba e rimbomba
Nella mia pancia credevo fossero
Sei caprettini, sono pietroni
Belli e buoni."E quando arrivò alla fontana e si chinò sull'acqua per bere, il peso delle pietre lo tirò giù, e gli toccò miseramente affogare. A quella vista i sette capretti vennero di corsa, gridando: "Il lupo è morto! il lupo è morto!" E con la loro mamma ballarono di gioia intorno alla fontana.
Raperonzolo
Questa storia racconta dell’amore tra Raperonzolo, dai capelli lunghissimi, e un principe.
C'era una volta un uomo e una donna che da molto tempo desideravano invano un bimbo. Finalmente la donna scoprì di essere in attesa. Sul retro della loro casa c'era una finestrella dalla quale si poteva vedere nel giardino di una maga, pieno di fiori ed erbaggi di ogni specie. Nessuno, tuttavia, osava entrarvi. Un giorno la donna stava alla finestra e, guardando il giardino vide dei meravigliosi raperonzoli in un'aiuola. Subito ebbe voglia di mangiarne e, siccome sapeva di non poterli avere, divenne magra e smunta a tal punto che il marito se ne accorse e, spaventato, gliene domandò la ragione. "Ah! Morirò se non riesco a mangiare un po' di quei raperonzoli che crescono nel giardino dietro casa nostra." L'uomo, che amava la propria moglie, pensò fra sé: "Costi quel che costi, devi riuscire a portargliene qualcuno." Così, una sera, scavalcò il muro, colse in tutta fretta una manciata di raperonzoli e li portò a sua moglie La donna si preparò subito un'insalata e la mangiò con avidità. Ma i raperonzoli le erano piaciuti a tal punto che il giorno dopo la sua voglia si triplicò. L'uomo capì che non si sarebbe chetata, così penetrò ancora una volta nel giardino. Ma grande fu il suo spavento quando si vide davanti la maga che incominciò a rimproverarlo aspramente per aver osato entrare nel giardino a rubarne i frutti. Egli si scusò come potè‚ raccontando delle voglie di sua moglie e di come fosse pericoloso negarle qualcosa in quel periodo. Infine la maga disse: "Mi contento di quel che dici e ti permetto di portar via tutti i raperonzoli che desideri, ma a una condizione: mi darai il bambino che tua moglie metterà al mondo." Impaurito, l'uomo accettò ogni cosa e quando sua moglie partorì, subito comparve la maga, diede il nome di Raperonzolo alla bimba e se la portò via.
Raperonzolo divenne la più bella bambina del mondo, ma non appena compì dodici anni, la maga la rinchiuse in una torre alta alta che non aveva scala né porta, ma solo una minuscola finestrella in alto. Quando la maga voleva salirvi, da sotto chiamava:
"Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli
che per salir mi servirò di quelli."Raperonzolo aveva infatti capelli lunghi e bellissimi, sottili come oro filato. Quando la maga chiamava, ella scioglieva le sue trecce, annodava i capelli in alto, al contrafforte della finestra, in modo che essi ricadessero per una lunghezza di venti braccia, e la maga ci si arrampicava.
Un giorno un giovane principe venne a trovarsi nel bosco ove era la torre, vide la bella Raperonzolo alla finestra e la udì cantare con voce così dolce che tosto se ne innamorò. Egli si disperava poiché la torre non aveva porta e nessuna scala era alta a sufficienza. Tuttavia ogni giorno si recava nel bosco, finché vide giungere la maga che così parlò:
"Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli
che per salir mi servirò di quelli!"Così egli capì grazie a quale scala si poteva penetrare nella torre. Si era bene impresso nella mente le parole che occorreva pronunciare, e il giorno seguente, all'imbrunire, andò alla torre e gridò:
"Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli
che per salir mi servirò di quelli!"Ed ecco, ella sciolse i capelli e non appena questi toccarono terra egli vi si aggrappò saldamente e fu sollevato in alto.
Raperonzolo da principio si spaventò, ma ben presto il giovane principe le piacque e insieme decisero che egli sarebbe venuto tutti i giorni a trovarla. Così vissero felici e contenti a lungo, volendosi bene come marito e moglie. La maga non si accorse di nulla fino a quando, un giorno, Raperonzolo prese a dirle: "Ditemi, signora Gothel, come mai siete tanto più pesante da sollevare del giovane principe?" - "Ah, bimba sciagurata!" replicò la maga, "cosa mi tocca sentire!" Ella comprese di essere stata ingannata e andò su tutte le furie. Afferrò allora le belle trecce di Raperonzolo, le avvolse due o tre volte intorno alla mano sinistra, prese le forbici con la destra e "zic zac," le tagliò. Indi portò Raperonzolo in un deserto ove ella fu costretta a vivere miseramente e, dopo un certo periodo di tempo, diede alla luce due gemelli, un maschio e una femmina.
La stessa sera del giorno in cui aveva scacciato Raperonzolo, la maga legò le trecce recise al contrafforte della finestra e quando il principe giunse e disse:
"Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli
che per salir mi servirò di quelli!"Ella lasciò cadere a terra i capelli. Come fu sorpreso il principe quando trovò la maga al posto dell'amata Raperonzolo! "Sai una cosa?" disse la maga furibonda "per te, ribaldo, Raperonzolo è perduta per sempre!" Il principe, disperato, si gettò giù dalla torre: ebbe salva la vita, ma perse la vista da entrambi gli occhi. Triste errò per i boschi nutrendosi solo di erbe e radici e non facendo altro che piangere. Alcuni anni più tardi, capitò nello stesso deserto in cui Raperonzolo viveva fra gli stenti con i suoi bambini. La sua voce gli parve nota, e nello stesso istante anch'ella lo riconobbe e gli saltò al collo. Due lacrime di lei gli inumidirono gli occhi; essi si illuminarono nuovamente, ed egli poté vederci come prima.
Fiabe per bambini Gianni Rodari
Gianni Rodari è un celebre autore di storie per bambini. Le sue favole sono sempre attuali e offrono contenuti interessanti per i piccoli di ogni classe d’età. Ecco allora per voi una selezione delle sue fiabe più belle.
Il semaforo blu
Storia breve di un semaforo che all’improvviso inizia a lampeggiare di blu.
Una volta il semaforo che sta a Milano in piazza del Duomo fece una stranezza. Tutte le sue luci, ad un tratto, si tinsero di blu, e la gente non sapeva più come regolarsi.
– Attraversiamo o non attraversiamo? Stiamo o non stiamo?Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeva l’insolito segnale blu, di un blu che così blu il cielo di Milano non era stato mai. In attesa di capirci qualcosa gli automobilisti strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire lo scappamento e i pedoni più grassi gridavano: – Lei non sa chi sono io!
Gli spiritosi lanciavano frizzi: – Il verde se lo sarà mangiato il commendatore, per farci una villetta in campagna.
– Il rosso lo hanno adoperato per tingere i pesci ai Giardini.
– Col giallo sapete che ci fanno? Allungano l’olio d’oliva.Finalmente arrivò un vigile e si mise lui in mezzo all’incrocio a districare il traffico. Un altro vigile cercò la cassetta dei comandi per riparare il guasto, e tolse la corrente.
Prima di spegnersi il semaforo blu fece in tempo a pensare:
«Poveretti! Io avevo dato il segnale di “via libera” per il cielo. Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare. Ma forse gli è mancato il coraggio».
Il Pulcino cosmico
Questa storia racconta di un uovo di Pasqua speciale, diverso da tutti gli altri.
L’anno scorso a Pasqua, in casa del professor Tibolla, dall’uovo di cioccolata sapete cosa saltò fuori? Sorpresa: un pulcino cosmico, simile in tutto ai pulcini terrestri, ma con un berretto da capitano in testa e un’antenna della televisione sul berretto.
Il professore, la signora Luisa e i bambini fecero tutti insieme: “Oh”, e dopo questo oh non trovarono più parole.
Il pulcino si guardava intorno con aria malcontenta.– Come siete indietro su questo pianeta, – osservò, – qui è appena Pasqua; da noi, su Marte Ottavo, è già mercoledì.
– Di questo mese? – domandò il professor Tibolla.
– Ci mancherebbe! Mercoledì del mese venturo. Ma con gli anni siamo avanti di venticinque.Il pulcino cosmico fece quattro passi in su e in giù per sgranchirsi le gambe, e borbottava: – Che seccatura! Che brutta seccatura.
– Cos’è che la preoccupa? – domandò la signora Luisa.
– Avete rotto l’uovo volante e io non potrò tornare su Marte Ottavo.
– Ma noi l’uovo l’abbiamo comprato in pasticceria.
– Voi non sapete niente. Questo uovo, in realtà, è una nave spaziale, travestita da uovo di Pasqua, e io sono il suo comandante, travestito da pulcino.
– E l’equipaggio?
– Sono io anche l’equipaggio. Ma ora sarò degradato. Mi faranno per lo meno colonnello.
– Be’, colonnello è più che capitano.
– Da voi, perché avete i gradi alla rovescia. Da noi il grado più alto è cittadino semplice. Ma lasciamo perdere. La mia missione è fallita.
– Potremmo dirle che ci dispiace, ma non sappiamo di che missione si trattava.
– Ah, non lo so nemmeno io. Io dovevo soltanto aspettare in quella vetrina fin che il nostro agente segreto si fosse fatto vivo.
– Interessante, – disse il professore, – avete anche degli agenti segreti sulla Terra. E se andassimo a raccontarlo alla polizia?
– Ma sì, andate in giro a parlare di un pulcino cosmico, e vi farete ridere dietro.
– Giusto anche questo. Allora, giacché siamo tra noi, ci dica qualcosa di più su quegli agenti segreti.
– Essi sono incaricati di individuare i terrestri che sbarcheranno su Marte Ottavo tra venticinque anni.
– È piuttosto buffo. Noi, per adesso, non sappiamo nemmeno dove si trovi Marte Ottavo.
– Lei dimentica, caro professore, che lassù siamo avanti col tempo di venticinque anni. Per esempio sappiamo già che il capitano dell’astronave terrestre che giungerà su Marte Ottavo si chiamerà Gino.
– Toh, – disse il figlio maggiore del professor Tibolla, – proprio come me.
– Pura coincidenza, – sentenziò il cosmo-pulcino. – Si chiamerà Gino e avrà trentatré anni. Dunque, in questo momento, sulla Terra, ha esattamente otto anni.
– Guarda, guarda, – disse Gino, – proprio la mia età.
– Non mi interrompere continuamente, – esclamò con severità il comandante dell’uovo spaziale. – Come stavo spiegandovi, noi dobbiamo trovare questo Gino e gli altri membri dell’equipaggio futuro, per sorvegliarli, senza che se ne accorgano, e per educarli come si deve.
– Cosa, cosa? – fece il professore. – Forse noi non li educhiamo bene i nostri bambini?
– Mica tanto. Primo, non li abituate all’idea che dovranno viaggiare tra le stelle; secondo, non insegnate loro che sono cittadini dell’universo; terzo, non insegnate loro che la parola nemico, fuori della Terra, non esiste; quarto…
– Scusi comandante, – lo interruppe la signora Luisa, – come si chiama di cognome quel vostro Gino?
– Prego, vostro, non nostro. Si chiama Tibolla. Gino Tibolla.
– Ma sono io! – saltò su il figlio del professore. – Urrà!
– Urrà che cosa? – esclamò la signora Luisa. – Non crederai che tuo padre e io ti permetteremo…Ma il pulcino cosmico era già volato in braccio a Gino.
– Urrà! Missione compiuta! Tra venticinque anni potrò tornare a casa anch’io.
– E l’uovo? – domandò con un sospiro la sorellina di Gino.
– Ma lo mangiamo subito, naturalmente.
E così fu fatto.
La casa del sign. Venceslao
Una delle storie più divertenti di Gianni Rodari, in cui il suo protagonista, il signor Venceslao, vola via con tutta la sua casa quando meno te lo aspetti.
Quando meno ve lo aspettate, alzando la testa vedete passare a gran velocità la casa del signor Venceslao. La casa intera, dal tetto alle fondamenta, vi passa sulla testa dondolando dolcemente come un aeroplano. Il comignolo manda un fumo nerastro che si allunga come quello di una locomotiva. sotto la casa sono appesi sacchi di carbone, bottiglie di vino, vecchie damigiane: la cantina,insomma.
Il signor Venceslao, affacciato ad una finestra del primo piano, accarezza la pipa, pensieroso e non si accorge di voi.
La gente guarda in su e dice: “Il signor Venceslao é diventato matto. Guardate se è la maniera di andarsene in giro come se la sua casa fosse un aeroplano.” “Bisognerebbe avvertire la polizia,” dice qualcuno “perché il signor Venceslao non ha il brevetto di pilota e, potrebbe far succedere qualche guaio.”
La casa attraversa in pochi minuti il cielo e scompare dietro la collina. Dopo un poco riappare, attraversa il cielo in senso contrario, discende verso terra e si ferma vicino al villaggio, cento metri dietro la chiesa, insomma nel luogo dove la casa é stata fabbricata.
“Ecco” dice la gente “il signor Venceslao ha finito la sua passeggiata.” Il signor Venceslao sta alla finestra e fuma la pipa. “Ha qualche rotella della testa che non funziona” dice la gente.
Queste passeggiate il signor Venceslao le fa sempre verso sera. Siete lì a parlare con lui tranquillamente, lui seduto alla finestra del piano terreno e, improvvisamente lui vi saluta con la mano, la casa con un fischio sottile si stacca dalle fondamenta e si innalza nel cielo. Fa due o tre giri intorno al campanile, poi si dirige verso le colline.
Il giovane gambero
Questa è la storia di un giovane gambero che non vuole camminare all'indietro come tutti i suoi compagni.
Un giovane gambero pensò: “Perché nelle mia famiglia tutti camminano all’indietro? Voglio imparare a camminare in avanti, come le rane, e mi caschi la coda se non ci riesco.”
Cominciò a esercitarsi di nascosto, tra i sassi del ruscello natio, e i primi giorni l’impresa gli costava moltissima fatica: Urtava dappertutto, si ammaccava la corazza e si schiacciava una zampa con l’altra. Ma un po’ alla volta le cose andarono meglio, perché tutto si può imparare, se si vuole. Quando fu ben sicuro di sé, si presentò alla sua famiglia e disse: “State a vedere.” E fece una magnifica corsetta in avanti.
“Figlio mio,” scoppiò a piangere la madre, “ti ha dato di volta il cervello? Torna in te, cammina come i tuoi fratelli che ti vogliono tanto bene.” I suoi fratelli però non facevano che sghignazzare. Il padre lo stette a guardare severamente per un pezzo, poi disse: “Basta così. Se vuoi restare con noi, cammina come gli altri gamberi. Se vuoi fare di testa tua , il ruscello è grande: vattene e non tornare più indietro.”
Il bravo gamberetto voleva bene ai suoi, ma era troppo sicuro di essere nel giusto per avere dei dubbi: abbracciò la madre, salutò il padre e i fratelli e si avviò per il mondo. Il suo passaggio destò subito la sorpresa di un crocchio di rane che da brave comari si erano radunate a far quattro chiacchiere intorno a una foglia di ninfea. “Il mondo va a rovescio,” disse una rana, “guardate quel gambero e datemi torto, se potete.” “Non c’è più rispetto,” disse un’altra rana. “Ohibò ohibò,” disse un terza.
Ma il gamberetto proseguì diritto, è proprio il caso di dirlo, per la sua strada. A un certo punto si sentì chiamare da un vecchio gamberone dall’espressione malinconica che se ne stava tutto solo accanto ad un sasso. “Buon giorno,” disse il giovane gambero.
Il vecchio lo osservò a lungo, poi disse: “Cosa credi di fare? Anch’io, quando ero giovane, pensavo di insegnare ai gamberi a camminare in avanti. Ed ecco cosa ci ho guadagnato: vivo tutto solo, e la gente si mozzerebbe la lingua, piuttosto che rivolgermi la parola: Fin che sei in tempo, da’ retta a me: rassegnati a fare come gli altri e un giorno mi ringrazierai del consiglio.”
Il giovane gambero non sapeva cosa rispondere e stette zitto. Ma dentro di sé pensava: “Ho ragione io.” E salutato gentilmente il vecchio riprese fieramente il suo cammino. Andrà lontano? Farà fortuna? Raddrizzerà tutte le cose storte di questo mondo? Noi non lo sappiamo, perché egli sta ancora marciando con il coraggio e la decisione del primo giorno. Possiamo solo augurargli, di tutto cuore: “Buon viaggio!”
Le scimmie in viaggio
In questa favola Gianni Rodari racconta di un gruppo di scimmiette contente di intraprendere un viaggio.
Un giorno le scimmie dello zoo decisero di fare un viaggio d’istruzione. Cammina, cammina, si fermarono e una domandò:
Cosa si vede? La gabbia del leone, la vasca delle foche e la casa della giraffa.
Come è grande il mondo, e come è istruttivo viaggiare.Ripresero il cammino e si fermarono soltanto a mezzogiorno.
Cosa si vede adesso? La casa della giraffa, la vasca delle foche e la gabbia del leone.Come è strano il mondo e come è istruttivo viaggiare. Si rimisero in viaggio e si fermarono solo al tramonto del sole.
Che c’è da vedere? La gabbia del leone, la casa della giraffa e la vasca delle foche.
Come è noioso il mondo: si vedono sempre le stesse cose. E viaggiare non serve proprio a niente.Per forza: viaggiavano, viaggiavano, ma non erano uscite dalla gabbia e non facevano che girare in tondo come i cavalli di una giostra.