Fiabe classiche: le più belle da leggere

di Elisabetta Rossi

Siete alla ricerca di fiabe classiche da leggere ai vostri bambini? Nell'articolo trovate raccolte le più belle.

Indice

Le fiabe classiche rappresentano un patrimonio culturale prezioso in quanto narrano vicende nelle quali è possibile ritrovare usi e costumi del passato e antiche credenze. Alcune di esse sono anche il simbolo delle paure più ricorrenti dei popoli come il timore dell’abbandono, altre infine rappresentano la crescita di un individuo, le difficoltà che deve superare per diventare adulto.

Dalle ambientazioni indeterminate, queste favole raccontano di re e regine, principi e principesse ma anche di persone dalla vita semplice che cambiano, per via di determinati eventi, la propria condizione sociale o si salvano da vari pericoli. Le storie quindi partono da situazioni negative per poi risolversi felicemente con la punizione del cattivo e la vittoria dei buoni.

Cosa importante da notare nelle fiabe classiche è la presenza di elementi o personaggi fantastici come streghe dotate di poteri magici. Leggere tali vicende ai bambini li aiuta a comprendere alcuni aspetti del mondo, principi educativi basilari per diventare adulti responsabili e anche a conoscere fondamentali regole morali.

Fiabe classiche per bambini

Ecco per voi una raccolta delle più belle favole classiche per bambini da leggere nei gelidi pomeriggi invernali o prima di andare a letto.

Pollicino di Charles Perrault

Questa favola di Charles Perrault racconta la storia di Pollicino, un bambino alto come un pollice.

C’era una volta una famiglia di taglialegna, che abitavano nel bosco fuori città; avevano sette figlioletti e nulla da mangiare. Un giorno il padre decise di abbandonarli nel bosco. La mattina svegliò i suoi figlioli e li portò con sé, poi si allontanò. Per fortuna, Pollicino, il più piccolo dei sette – lo chiamavano così perché era alto non più di un pollice – aveva portato con sé dei sassolini e li aveva gettati lungo la strada. Ai bambini bastò seguire al contrario i sassolini lasciati da Pollicino per tornare a casa.

Il giorno dopo, il padre tentò nuovamente di abbandonare i bambini nel bosco; questa volta, però, Pollicino non aveva trovato sassolini e aveva in tasca solo delle briciole di pane: provò a lasciarle lungo il percorso, ma gli uccellini le mangiarono tutte. Così, i ragazzi si persero.

I bambini, vagando nel bosco, giunsero alla casa di una signora, che offrì loro pane e marmellata e li accolse con gentilezza. Ma “Fate attenzione bambini” disse loro “Perché mio marito è un orco e quando rientrerà, questa sera, sicuramente vi divorerà; dovrete nascondervi dove vi dirò, e non uscire per nessuna ragione”.

Quando l’orco rincasa, avverte l’odore dei bambini e li stana uno dopo l’altro. “Adesso voi mettetevi a letto, e fate i buoni! Questa sera non ho fame, ma domani vi cuocerò a puntino e vi mangerò arrostiti!” Mentre i bambini piangevano in cantina, Pollicino sentì l’orco parlare alle sue sette bambine, per metà orchette e per metà umane: aveva regalato loro sette coroncine, come se fossero sette principesse. Così, Pollicino, una volta che tutti furono addormentati, si intrufolò nella camera delle bambine e rubò loro le sette coroncine, che posò poi sulla testa sua e dei suoi fratelli.

A mezzanotte, l’orco si svegliò e pensò che fosse il momento migliore per uccidere gli intrusi e metterli sul fuoco; entrò nella loro camera, ma vide le corone sulle loro testoline e li scambiò per le sue bambine. Così, entrò nella camera accanto e, al posto loro, uccise le sue stesse figlie. Nel frattempo, Pollicino aveva svegliato i suoi fratelli e approfittarono della confusione per fuggire.

L’orco, infuriato con quelle piccole canaglie, li inseguì indossando i suoi stivali magici: un paio di stivali cuciti dalle streghe che davano a chi li indossava la velocità di due cavalli al galoppo. L’orco, però, era terribilmente stanco e dopo poca strada cadde addormentato nel prato. Pollicino, vedendolo russare, si avvicinò e gli sfilò gli stivali magici. Poi, tornò dalla moglie dell’orco e le disse che suo marito era stato preso dai briganti: volevano una cassa piena d’oro e di gioielli per farlo tornare a casa sano e salvo.

La moglie dell’orco, in pena per il marito, consegnò a Pollicino un carro, carico di tutte le ricchezze che possedevano. Così, il bambino tornò dai fratelli e insieme tornarono a casa. Grazie a tutte quelle ricchezze, i sette bambini e i loro genitori vissero per sempre come dei principi e Pollicino, con i suoi stivali magici, divenne il messaggero del re in persona.

La piccola fiammiferaia di Hans Christian Andersen

Questa favola malinconica di Hans Christian Andersen racconta la vicenda di una povera bambina costretta a vendere fiammiferi ai passanti.

Era la sera di Capodanno: fuori nevicava e soffiava un vento gelido. Sotto la neve, c’era una bambina che vagava solitaria, senza scarpe e senza berretto. In verità, quando era uscita di casa, aveva un paio di ciabatte, che erano state della sua mamma ed erano troppo grandi: una l’aveva persa per schivare due carrozze che correvano di gran carriera e l’altra gliel’aveva portata via un ragazzo, per scherzo. Così, la bambina camminava con i piedini congelati.

In grembo, teneva due scatole di fiammiferi che avrebbe dovuto vendere. Purtroppo, però, faceva così freddo che la gente era rimasta chiusa in casa, e così non era riuscita a vendere nemmeno un fiammifero. La piccola fiammiferaia non poteva nemmeno tornare a casa, così a mani vuote: suo padre l’avrebbe picchiata.

La bambina si rannicchiò nell’angolino formato da due case; prese uno dei suoi fiammiferi e lo strofinò contro il muro, per riscaldarsi un poco. Il fiammifero si accese di una luce bizzarra, come fosse una stufa di ferro, che scoppiettava allegramente. La piccola allungò i piedi, per avvicinarli al fuoco, ma il fiammifero si spense e lei si trovò sola al freddo, con un fiammifero bruciato tra le dita.

La bambina accese un secondo fiammifero: alla luce, le parve di vedere una tavola imbandita con un’oca arrostita ripiena di mele e prugne. La piccola si alzò per avvicinarsi al banchetto, ma anche quel fiammifero si spense e lei si trovò a camminare nella neve gelida.
“Ancora uno!” disse la bambina, e accese un terzo fiammifero. Questa volta, nella luce, immaginò di trovarsi di fronte un enorme albero di Natale, con centinaia di candeline che scintillavano tra le sue fronde.

Quando il fiammifero si spense, le candeline volarono in cielo, ed ecco la volta stellata: la bambina ripensò alla sua nonna, che era volata in cielo tanto tempo prima; accese un quarto fiammifero, strofinandolo sul muro. Ed ecco, nella luce, comparve la sua nonna, con uno scialle sulle spalle e il suo lungo grembiule.
“Nonna!” gridò la piccola, cercando di abbracciarla “portami con te! Presto sparirai anche tu, come la stufa, l’oca arrosto e l’albero di Natale. Portami con te”. La piccola fiammiferaia accese uno dopo l’altro tutti i fiammiferi che le rimanevano: la luce si fece sempre più forte, sembrava rischiarare l’intera città. La nonna prese in braccio la sua bambina e insieme volarono in cielo, tra le braccia di Dio.

Il giorno dopo, i passanti trovarono la bambina senza vita, rannicchiata tra due case, con il sorriso tra le labbra. “Poverina” pensarono “avrà provato a riscaldarsi un poco con i fiammiferi”. Ma nessuno di loro poteva immaginare tutte le cose belle che la piccola aveva visto in quella sera di Capodanno.

La principessa sul pisello di Hans Christian Andersen

La principessa sul pisello narra l’incontro casuale tra un principe e una principessa.

C’era una volta un principe, con un bel castello e un regno grazioso. Purtroppo per lui, però, non riusciva a trovare una principessa da sposare nonostante avesse viaggiato in lungo e in largo per trovarne una. Una sera d’autunno, mentre fuori pioveva a dirotto, qualcuno bussò alle porte del castello. Fu il principe in persona ad aprire: davanti a lui c’era una ragazza completamente infradiciata, con l’acqua che le usciva perfino dalle scarpe e dai vestiti.
“Sono una principessa, mi sono persa mentre cercavo di recuperare il mio cavallo e adesso non so dove andare. Potreste ospitarmi per questa notte?”.

Il principe non sapeva se crederle o meno, tuttavia la ragazza continuava ad affermare di essere una vera principessa. Così, la fece entrare. La vecchia regina, però, decise di metterla alla prova: andò nella camera degli ospiti, sollevò il materasso e ci mise sotto un pisello. Poi mise venti materassi, uno sopra l’altro, e venti cuscini.

Il principe fece accomodare la principessa nel letto con i venti materassi e la ragazza dormì lì. La mattina seguente, durante la colazione, la regina le chiese come aveva dormito.
“Malissimo: non ho chiuso occhio per tutta la notte, c’era qualcosa sotto i materassi che mi ha lasciato un gran livido!”.

Il principe e la regina capirono così che era sincera: solo una vera principessa si sarebbe potuta accorgere di un pisello sotto venti materassi! I due si sposarono e vissero tutti felici e contenti.

Il brutto anatroccolo di Hans Christian Andersen

Questa favola racconta di un anatroccolo considerato da tutti il più brutto che diventa, da adulto, un cigno splendido.

C’era una volta un bel laghetto di campagna, circondato dalle canne, dai salici e da canali profondi. Era un posto selvaggio e tranquillo, illuminato dai raggi dorati del Sole. In un’ansa del laghetto, un’anatra aveva costruito il suo nido. Trascorreva tutta la giornata a covare le sue uova, in attesa che ne nascessero degli anatroccoli.

Un bel giorno, le uova cominciarono a schiudersi: “Pip Pip” facevano gli anatroccoli, che per la prima volta nella loro vita vedevano il Sole e l’acqua.
“Com’è grande e bello questo mondo” dicevano alla mamma; “andiamo ad esplorarlo”.
“Dovete aspettare” disse loro la mamma anatra “c’è ancora un uovo che si deve schiudere”. Ma l’uovo non ne voleva sapere di schiudersi. Quel pomeriggio, passò di lì una vecchia anatra che disse alla mamma: “Fammi vedere l’uovo; potrebbe essere un uovo di tacchino: una volta ho perso una settimana con un uovo di tacchino e non c’è stato verso di far entrare in acqua i piccoletti. Sì, è proprio un uovo di tacchino! Al posto tuo il lo butterei tra le canne e penserei ai miei paperotti”. Ma mamma anatra continuò a covare l’ultimo uovo rimasto finché si schiuse: ne uscì un anatroccolo molto più grosso degli altri ed era brutto.
“Domani proverò a portarlo in acqua; se è un tacchino, lo lascerò nei campi” si disse l’anatra. Ma il giorno seguente, l’anatroccolo si tuffò e cominciò a nuotare insieme ai suoi fratellini.
“Non è un tacchino!” esclamò la mamma “Guardate come muove bene le zampe, e come si tuffa” disse a tutte le sue amiche.

Poi l’anatra radunò tutti i suoi piccoli. “Adesso vi porterò nel pollaio, a conoscere i nostri vicini animali. Dovreste stare vicini a me e non allontanarvi per nessuna ragione. E state attenti al gatto”.
Ma quando entrarono nel pollaio, gli altri animali cominciarono a fare confusione: “Ma chi è quel brutto anatroccolo? È così grosso, ci fa paura! Non lo vogliamo”. La mamma anatra difese il suo anatroccolo e lo prese vicino a sé. Anche le altre anatre cominciarono a schernirlo: “Che bei piccoli mamma anatra, ma questo qui, è così brutto”.

Il giorno dopo, gli animali ripresero a schernire il povero anatroccolo. Trascorse un mese, ma le cose andavano sempre peggio. Il brutto anatroccolo veniva scacciato dai suoi stessi fratellini, il tacchino lo beccava e perfino mamma anatra, ogni tanto, gli diceva “Se solo tu fossi nato lontano da qui, staremmo tutti meglio”.

Così, l’anatroccolo volò oltre la siepe e lasciò la fattoria. Si avventurò nella palude, abitata dalle anatre selvatiche e dagli altri uccelli. “Sei molto brutto” gli dissero “ma a noi non importa: basta che non ti sposi con uno dei nostri anatroccoli”. Così il piccolo si fermò qualche giorno nella palude. Lì incontrò anche due oche, che cercarono di convincerlo ad unirsi a loro. Purtroppo, però, un cacciatore le centrò tutte e due con la sua carabina. Perfino il cane del cacciatore, che stava nuotando nella palude alla ricerca delle oche, non appena vide l’anatroccolo scappò via.

Il giorno dopo l’anatroccolo scappò via dalla palude, per non finire tra le grinfie dei cacciatori. Si rifugiò in una vecchia casetta di contadini, in cui abitavano una vecchietta, un gatto e la gallina. Quando la vecchietta si accorse dell’anatroccolo, lo mise in prova: “Vorrei tanto mangiare delle uova di anatra. Se ne farai qualcuna, potrai rimanere qui con noi”.
Ma il piccolo anatroccolo non fece alcun uovo; per di più, litigava tutti i giorni con il gatto e la gallina: loro erano convinti che il mondo finisse poco oltre il giardino della casetta e quando l’anatroccolo parlava loro delle anatre selvatiche e della fattoria lo trattavano come un matto.

Un bel giorno, l’anatroccolo si stufò di essere trattato così male e decise di andarsene in giro per il mondo. Era autunno e il piccolo camminò fino a raggiungere un lago. Lì si nascose tra le canne, ad aspettare l’inverno. Con l’inverno, l’acqua in cui nuotava cominciò a ghiacciare e il piccolo rimase incastrato nel ghiaccio, senza nulla da mangiare. Un giorno, un contadino lo trovò privo di sensi nel ghiaccio, lo prese e lo portò a casa, ai suoi bambini. I piccoli volevano giocare un po’ con lui, ma l’anatroccolo si spaventò a morte e scappò via. L’inverno fu duro e il poveretto fece la fame tra le canne. Per fortuna riuscì a sopravvivere al gelo!

Arrivò la primavera e finalmente l’anatroccolo uscì dal suo rifugio per riscaldarsi un poco sotto i raggi del sole. Stava nuotando nel lago quando vide tre cigni meravigliosi passare proprio davanti a lui.
“Chissà cosa mi faranno” pensò il piccolo “sono così brutto che vorranno uccidermi”. I cigni, appena lo videro, si avvicinarono verso di lui agitando le loro piume bianche.
“Uccidetemi” pensò l’anatroccolo, chinando il capo sull’acqua. Ma cosa vide? Nell’acqua argentata, come uno specchio, non vide il brutto anatroccolo grigio che tutti gli animali avevano preso in giro. Al suo posto c’era un bellissimo cigno bianco. L’anatroccolo si era trasformato nel cigno più bello di tutti. Del resto, che cosa importa essere nati in un pollaio di anatre, quando si è usciti da un uovo di cigno?

I tre cigni che si erano avvicinati erano i suoi fratelli e il piccolo si unì a loro. Da quel giorno, visse felice, senza pensare a quanto aveva sofferto. Anzi, ogni volta che un bambino si avvicinava a lui per dargli un pezzo di pane da mangiare pensava tra sé: “Quando ero un brutto anatroccolo pensavo non pensavo che la mia vita sarebbe stata tanto felice”.

I vestiti nuovi dell’imperatore di Hans Christian Andersen

Questa favola narra di un imperatore interessato solo al suo guardaroba, ad indossare gli abiti più belli, che viene imbrogliato da due sarti.

C’era una volta un imperatore che pensava soltanto al suo guardaroba. Spendeva tutte le proprie ricchezze acquistando nuovi vestiti e ogni giorno cambiava almeno dieci abiti diversi. Se qualcuno lo cercava, potete star certi che era nel suo camerino! Un giorno, si presentarono a corte due sarti, dicendo: “La nostra stoffa è ricamata con oro, gemme e colori scintillanti. Ma è invisibile per gli stupidi: possono vederla solo le persone nobili e di gran valore”.

L’imperatore ordinò subito un abito confezionato con quella stoffa preziosa: pagò una fortuna ai due e lasciò loro le chiavi del suo palazzo, in modo che potessero mettersi a lavorare dove preferivano. I due sarti imbroglioni sistemarono un telaio di legno in una stanza e cominciarono a far finta di filare la stoffa. Chiesero all’imperatore oro, seta e gioielli preziosi per ricamarla e intanto continuavano a fingere di lavorare.

Qualche giorno dopo, l’imperatore mandò un servitore a controllare come procedeva il lavoro. Il servitore entrò nella stanza, ma vide il telaio vuoto.
“Non vedo niente: sono forse uno stupido?” si domandò l’uomo. Tuttavia, non voleva ammetterlo davanti agli altri e così disse una bugia all’imperatore, raccontando di aver visto un vestito stupendo.

Nei giorni successivi l’imperatore mandò nobili, cavalieri e servitori a vedere quella stoffa così preziosa e tutti tornavano descrivendogliela come il più bel vestito mai visto.
I due sarti imbroglioni, dopo aver portato via tutto l’oro, la seta e i gioielli, chiamarono l’imperatore e gli dissero che avevano finito il loro lavoro: “Guardi che stoffa meravigliosa, maestà! Adesso prenderemo le sue misure per realizzarle l’abito più bello che abbia mai avuto“.
I due, per non farsi scoprire, puntavano spilli per aria, sforbiciavano di qua e di là e facevano finta di passarsi pezzi di stoffa. Dopo qualche ora, conclusero il loro lavoro, fecero finta di vestire l’imperatore e poi lasciarono il palazzo.

L’imperatore usci dalla stanza completamente nudo. Tutte le persone della sua corte gli fecero tantissimi complimenti e dicevano: “Che vestito meraviglioso maestà“. Il sovrano era così contento che il giorno seguente decise di fare un giro in città, per mostrare a tutti quel tessuto tanto prezioso. La gente della città rimase muta: vedevano tutti l’imperatore girare nudo per strada, ma nessuno aveva il coraggio di dirglielo.

Ad un certo punto si sentì la voce squillante di un bambino: “L’imperatore è nudo!“
A quelle parole, tutti scoppiarono a ridere indicando l’imperatore. Il sovrano capì che era stato imbrogliato e tornò di corsa nel suo palazzo. A quelle parole, la gente cominciò a ridere a crepapelle: tutti indicavano l’imperatore e si gettavano a terra dalle risate. E il sovrano, una volta che ebbe capito di esser stato imbrogliato, non ebbe altra scelta che rientrare al palazzo in tutta fretta.

Biancarosa e Rosarossa dei Fratelli Grimm

Questa storia insegna che la gentilezza verso il prossimo ripaga sempre.

C’era una volta una famiglia di contadini, che abitavano in una misera capanna, abbellita da due cespugli di rose: uno era bianco come il latte, l’altro rosso come il sangue. Quando la donna che abitava la capanna diede alla luce due figlie, decise di chiamarle come i fiori che decoravano la sua casa: Biancarosa e Rosarossa.

Una notte, mentre fuori infuriava una tempesta, le due ragazze sentirono bussare alla porta; la aprirono, e si trovarono davanti un gigantesco orso, intirizzito dal freddo. Piene di compassione, le ragazze lo fecero stendere accanto al fuoco e lo rifocillarono per bene.

Qualche tempo più tardi, mentre erano nel bosco, videro un’aquila che stringeva tra i suoi artigli un nanetto. Le due ragazze corsero a salvarlo, ma questo, invece che ringraziarle, si comportò da vero maleducato e le rimproverò perché, nel salvarlo, gli avevano scompigliato la barba. Il giorno dopo le ragazze videro di nuovo il nanetto ingrato: trascinava con sé un sacco piuttosto pesante. Ad un certo punto, la minuscola creatura si nascose tra i cespugli e aprì il sacco: era pieno di pietre scintillanti e tesori d’oro. In un baleno, comparve l’orso che le ragazze avevano salvato, che mise in fuga il nanetto e prese il sacco: non appena le sue zampe toccarono le gemme, si trasformò in un bellissimo principe vestito di verde.

Il principe, accortosi delle ragazze, spiegò loro cosa gli era capitato: “Sono stato colpito da una maledizione che mi ha trasformato in un orso: solo quelle gemme potevano farmi tornare alla mia vera forma”. Poi, ricordandosi che Biancarosa e Rosarossa erano le stesse ragazze che lo avevano salvato dal freddo, le invitò al suo palazzo.

Il principe e suo fratello sposarono Biancarosa e Rosarossa e da quel giorno vissero tutti felici e contenti; nel giardino del palazzo, le ragazze piantarono due cespugli di rose: uno era bianco come il latte, l’altro rosso come il sangue, proprio come le rose che abbellivano la capanna in cui erano cresciute.

Chichibio e la gru di Giovanni Boccaccio

Questa storia è contenuta nel celebre Decameron di Boccaccio e racconta di come l’ironia possa essere un mezzo per placare l’ira di qualcuno.

Chichibio, cuoco di Currado Gianfigliazzi, con una presta parola a sua salute l’ira di Currado volge in riso e sé campa della mala ventura minacciatagli da Currado.

Currado Gianfigliazzi, sì come ciascuna di voi e udito e veduto puote avere, sempre della nostra città è stato notabile cittadino, liberale e magnifico, e vita cavalleresca tenendo continuamente in cani e in uccelli s’è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare. Il quale con un suo falcone avendo un dì presso a Peretola una gru ammazzata, trovandola grassa e giovane, quella mandò a un suo buon cuoco il qual era chiamato Chichibio e era viniziano; e sì gli mandò dicendo che a cena l’arrostisse e governassela bene. Chichibio, il quale come nuovo bergolo era così pareva, acconcia la gru, la mise a fuoco e con sollecitudine a cuocer la cominciò. La quale essendo già presso che cotta e grandissimo odor venendone, avvenne che una feminetta della contrada, la quale Brunetta era chiamata e di cui Chichibio era forte innamorato, entrò nella cucina, e sentendo l’odor della gru e veggendola pregò caramente Chichibio che ne le desse una coscia.

Chichibio le rispose cantando, e disse: «Voi non l’avrì da mi, donna Brunetta, voi non l’avrì da mi». Di che donna Brunetta essendo turbata, gli disse: «In fé di Dio, se tu non la mi dài, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia», e in brieve le parole furon molte; alla fine Chichibio, per non crucciar la sua donna, spiccata l’una delle cosce alla gru, gliele diede.

Essendo poi davanti a Currado e a alcun suo forestiere messa la gru senza coscia, e Currado maravigliandosene fece chiamare Chichibio, e domandollo che fosse divenuta l’altra coscia della gru. Al quale il vinizian bugiardo subitamente rispose: «Signor mio, le gru non hanno se non una coscia e una gamba».

Currado allora turbato disse: «Come diavol non hanno che una coscia e una gamba? non vidi io mai più gru che questa?»

Chichibio seguitò: «Egli è, messer, come io vi dico; e quando vi piaccia, io il vi farò veder ne’ vivi». Currado, per amore de’ forestieri che seco avea, non volle dietro alle parole andare, ma disse: «Poi che tu di’ di farmelo veder ne’ vivi, cosa che io mai più non vidi ne udi’ dir che fosse, e io il voglio veder domattina e sarò contento; ma io ti giuro in sul corpo di Cristo che, se altramenti sarà, io ti farò conciare in maniera, che tu con tuo danno ti ricorderai, sempre che tu ci viverai, del nome mio».

Finite adunque per quella sera le parole, la mattina seguente, come il giorno apparve, Currado, a cui non era per lo dormire l’ira cessata, tutto ancor gonfiato si levò e comandò che i cavalli gli fosser menati; e fatto montar Chichibio sopra un ronzino, verso una fiumana, alla riva della quale sempre soleva in sul far del dì vedersi delle gru, nel menò dicendo: «Tosto vedremo chi avrà iersera mentito, o tu o io».

Chichibio, veggendo che ancora durava l’ira di Currado e che far gli conveniva pruova della sua bugia, non sappiendo come poterlasi fare cavalcava appresso a Currado con la maggior paura del mondo, e volentieri, se potuto avesse, si sarebbe fuggito; ma non potendo, ora innanzi e ora addietro e dallato si riguardava, e ciò che vedeva credeva che gru fossero che stessero in due piè.

Ma già vicini al fiume pervenuti, gli venner prima che a alcun vedute sopra la riva di quello ben dodici gru, le quali tutte in un piè dimoravano, sì come quando dormono soglion fare; per che egli, prestamente mostratele a Currado, disse: «Assai bene potete, messer, vedere che iersera vi dissi il vero, che le gru non hanno se non una coscia e un piè, se voi riguardate a quelle che colà stanno».

Currado veggendole disse: «Aspettati, che io ti mostrerò che elle n’hanno due», e fattosi alquanto più a quelle vicino, gridò: «Ho, ho!», per lo qual grido le gru, mandato l’altro piè giù, tutte dopo alquanti passi cominciarono a fuggire; laonde Currado rivolto a Chichibio disse: «Che ti par, ghiottone? Parti che elle n’abbian due?»
Chichibio quasi sbigottito, non sappiendo egli stesso donde si venisse, rispose: «Messer sì, ma voi non gridaste “ho, ho!” a quella d’iersera; ché se così gridato aveste, ella avrebbe così l’altra coscia e l’altro piè fuor mandata, come hanno fatto queste».

A Currado piacque tanto questa risposta, che tutta la sua ira si convertì in festa e riso, e disse: «Chichibio, tu hai ragione: ben lo doveva fare».
Così adunque con la sua pronta e sollazzevol risposta Chichibio cessò la mala ventura e paceficossi col suo signore.

La chiave d’oro dei Fratelli Grimm

Questa favola racconta la storia di un ragazzo che trova una chiave d’oro.

Durante un inverno gelido, c’era un ragazzo che dovette uscire da casa per prendere la legna. Uscì nella neve con la sua slitta e cominciò a caricare la legna. Aveva appena finito di caricare quando, per il freddo, decise di fermarsi un attimo e accese un fuoco per scaldarsi. Spalò la neve e mentre ripuliva il terreno, trovò una piccola chiave d’oro. Il ragazzo pensò che se aveva trovato una chiave, lì vicino doveva esserci anche la sua serratura; così, scavò nella terra finché non trovò una piccola cassettina di ferro.

“Chissà quali tesori sono nascosti in questa cassetta” pensò tra sé il ragazzo; cercò a lungo finché trovò una minuscola serratura. Infilò la chiave e girò una volta; e adesso, dobbiamo aspettare che finisca di girare e sollevi il coperchio se vogliamo sapere quali tesori conteneva la cassetta di ferro.

Il soldatino di piombo di Hans Christian Andersen

Questa fiaba tenera narra l’amore tra un soldatino di piombo e una ballerina.

Mamma, guarda come sono belli! - Esclamò il bambino saltellando dalla gioia. Il coperchio della scatola di legno, aperto con impazienza, fece ammirare una ventina di soldatini di piombo allineati come in una parata. Le uniformi rosso fiammante davano ai piccoli militari un fiero portamento: giacche scarlatte, pantaloni blu scuro, copricapi neri con piume rosse e bianche. Ognuno portava con fierezza il suo fucile.

Il bambino li prese uno ad uno e li mise sul tavolo, guardandoli meravigliato. L'ultimo gli sembrò molto curioso: rimaneva perfetta-mente diritto, magnifico come il resto della truppa... ma aveva una gamba sola! Malgrado questo difetto, o forse proprio per questo, aveva uno sguardo più fiero, più audace degli altri. Subito, il ragazzino lo prese in simpatia e divenne il suo soldatino preferito.

Sulla tavola si trovava anche un castello di carta... Con il tetto d'ardesia, le mura di pietra con i riflessi dorati, la scala con le ringhiere in ferro, questo castello assomigliava ad un maniero feudale. Era in mezzo ad un parco verdeggiante ricco di alberi e piante multicolori. Due cigni bianchissimi navigavano maestosamente in un lago di carta argentata. Ma la cosa più interessante era una graziosa ragazza che stava sulla porta d'entrata: i biondi capelli raccolti in trecce, gli occhi limpidi come l'acqua del lago, il sorriso dolce e attraente, la rendevano la più bella delle ballerine.

Un vestito etereo, stretto in vita, la faceva sembrare ancora più delicata e fragile. Con le braccia alzate sopra la testa, rimaneva in perfetto equilibrio sulla punta di un piede. L'altra gamba, tesa in aria, era in parte nascosta dall'ampia gonna.

Dopo essere uscito dalla scatola, il soldato, attratto dalla bellezza della ballerina, non smise di guardarla nemmeno un attimo. Egli credeva che avesse una sola gamba come lui e questa supposta infermità rinforzava il suo amore appena nato. Cercò allora di conoscerla e decise di andarle a far visita appena fosse venuta sera. Per far ciò, era indispensabile che il bambino si dimenticasse di allinearlo nella scatola. Il soldatino si lasciò scivolare dietro ad un cofanetto e li rimase sdraiato ed immobile. Come previsto, il bambino rimise i suoi soldati nella scatola dimenticandosi del nostro eroe! Venuta la sera, il silenzio invase la casa. Tutti i suoi abitanti dormivano tranquillamente... ad eccezione dei giocattoli.

Nella penombra, incominciò una folle scorribanda: i palloni giocarono ai quattro cantoni, gli animali di peluche fecero alcune piroette e i soldatini di piombo sfilarono al suono del tamburo di un clown variopinto. In mezzo a tutta questa agitazione, rimanevano tranquille solo la ballerina di carta, che rimaneva nella sua posa acrobatica, e il soldatino di piombo che, nascosto dal cofanetto, continuava a fissarla. Malgrado la sua aria marziale e la sua prestanza, era timido e ritardava di minuto in minuto il momento dell'approccio.

Questi momenti di esitazione gli furono fatali! Tutto preso dalla contemplazione della ballerina, il soldato di piombo non si accorse di un losco figuro, uno gnomo nero e gobbo come un diavoletto. Innamorato follemente della ragazza, vedeva nel soldatino un rivale pericoloso, giovane e bello. Cieco d'invidia, lo chiamò più volte, ma il giovane militare non lo ascoltò neppure.
Allora lo gnomo lo fulminò con gli occhi e lo minacciò:

  • Tu mi ignori! Ma ti accorgerai di me ben presto...

Il mattino seguente il bambino si accorse che il soldatino di piombo era rimasto nascosto dietro al cofanetto; lo prese e lo posò sul davanzale della finestra. Immediatamente, un malaugurato soffio di vento, o forse il soffio vendicatore del rivale, lo fece cadere nel vuoto. Girando su sé stesso, la testa in basso e i piedi in alto, cadde vertiginosamente. Non potendo chiudere gli occhi, vide avvicinarsi spaventosamente il terreno. Quando toccò il suolo, la sua baionetta, con la violenza del colpo, si infisse nell'asfalto e così restò, capovolto.

Il bambino si precipitò in strada per cercarlo, ma le carrozze e i passanti lo nascosero ai suoi occhi. Disperato, ritornò a casa, piangendo la perdita del suo soldatino preferito. Improvvisamente cominciò a cadere una violenta pioggia estiva. In un attimo si formarono rivoli di acqua che inondarono gli scarichi che portano alle fogne. Due sfaccendati videro il soldatino di piombo ed ebbero la curiosa idea di metterlo in una barchetta di carta che stavano costruendo. Poi deposero l'imbarcazione sull'acqua. Sballottato, il fragile scafo fu rapidamente preso dalla corrente turbolenta e scomparve in un gorgo buio. Il soldatino, convinto che il responsabile delle sue disavventure fosse lo gnomo, pensò che fosse giunta la sua ultima ora.

Passò momenti interminabili nell'oscurità, bagnato dagli spruzzi dell'acqua agitata. Nessun dubbio! navigava nelle fogne... Infine vide la luce del sole in lontananza. La luce si fece sempre più forte e divenne un grande orifizio aperto sulla campagna e la liberta.

  • Uff! Sono sano e salvo... Sono scampato all'inferno. - Pensò il soldatino sospirando con sollievo.
    Invece i suoi dispiaceri non erano finiti: un'enorme topo di fogna dall'aria feroce, bloccava l'uscita. I suoi occhi acuti avevano notato il naufrago che stava cercando una via d'uscita. La corrente era cosi forte che il topo, malgrado le sue cattive intenzioni, non poté prenderlo e con rabbia in cuore lo vide allontanarsi... Dopo l'ultimo scampato pericolo, la barchetta di carta continuò il suo viaggio attraverso i prati e i campi. Il corso d'acqua s'allargò diventando un ruscello.

In piedi sull'imbarcazione, il soldatino di piombo osservava i fiori che ornavano le rive tranquille. Dopo questa momentanea calma, i flutti ridivennero violenti, il ruscello si trasformò in una cascata che si riversava in un lago. Presa da queste correnti, la barca non riuscì a resistere e si capovolse. Il soldatino di piombo colò a picco. Addio graziosa ballerina!

Un enorme pesce che girovagava lo prese per una preda di cui era molto goloso, in un solo boccone lo afferrò e lo inghiotti tutto intero. Per il soldatino di piombo ci fu di nuovo l'oscurità... Poco dopo, il pesce venne catturato dalla rete di un pescatore del mercato. Il caso volle che il pesce fosse proprio comprato dalla cuoca al servizio dei genitori del bambino. nAprendo il ventre dell'animale per pulirlo, fu meravigliata di trovarci il soldatino perduto. Lo mise sul tavolo, vicino al castello di cartone.

La ballerina gli mandò un sorriso così dolce da cui capì che anche lei lo amava. Che felicità dopo tante peripezie! Ma lo gnomo non aveva ancora rinunciato alla sua vendetta. Malgrado i suoi sortilegi, infatti, i due giovani si amavano. Per farla finita suggerì al bambino di sbarazzarsi del soldatino con una sola gamba che rovinava la sua collezione. L'ingrato, dimenticandosi del suo preferito, lo gettò nel caminetto.

Il soldatino si sciolse rapidamente per il calore, ma la testa, ancora intatta, continuava con gli occhi tristi bagnati di lacrime di piombo, a fissare la ballerina. All'improvviso s'aprì violentemente la porta, una corrente d'aria invase la stanza scaraventando il castello di carta sulle braci ardenti. Nello stesso istante prese fuoco e bruciò.

Il giorno seguente, facendo le pulizie di casa, qualcuno mescolò le ceneri, ignorando, contrariamente alle intenzioni del diavoletto, di unire per l'eternità il soldatino di piombo e la ballerina di carta. A meno che il vento non disperda il piccolo mucchio di polvere grigia!

La sirenetta di Hans Christian Andersen

Questa fiaba racconta di una sirenetta che curiosa del mondo decide di diventare umana.

Nelle profondità degli oceani vivevano esseri metà umani e metà pesci: le sirene. Dotate di una voce melodiosa, a volte risalivano alla superficie del mare per cantare, addolcendo così l'agonia dei marinai naufragati.

Abitavano in palazzi meravigliosamente decorati di conchiglie multicolori e di madreperle che i raggi del sole, smorzati, facevano risplendere. Intorno si estendevano vasti giardini di alghe brune e verdi. Le prime ondulavano come sciarpe di seta gonfiate da una brezza leggera, le seconde, finemente cesellate, davano riparo ai pesci dalle forme straordinarie e dai colori forti, che volteggiavano graziosamente in compagnia di meduse trasparenti.

Nel più grande e più bello di questi palazzi marini regnava il re del mare. Già vecchio, era un padre soddisfatto di sei bellissime principesse. Egli aveva affidato la loro educazione alla regina madre, che aveva una grande coscienza del suo rango; infatti, inculcò con rigore alle principesse le belle maniere, l'arte di ricevere e tutte quelle cose che facevano di loro delle ragazze sapienti e perfette. Erano tutte bellissime, ma la più giovane era di uno splendore particolare che la distingueva dalle sorelle. I suoi lunghi capelli biondi e soffici, la sua bocca rossa, il suo colore delicato e i suoi occhi chiarissimi le conferivano un fascino incomparabile.

Tutto in lei era perfetto... Ahimè! da qualche tempo però la tristezza offuscava spesso il suo volto delicato, dandole un'aria depressa e assente. Aveva sempre più desiderio di ritirarsi nel giardino segreto, giardino che aveva ogni principessa, perché le piaceva sognare ad occhi aperti, lontana dagli occhi delle sorelle; ma ora ci passava lunghe ore immersa nei suoi pensieri. Qual'era la ragione di questo cambiamento d'umore, lei che prima era così amabile? Qualche giorno prima aveva trovato un busto in alabastro di un giovane uomo, probabilmente caduto in mare durante il naufragio di una nave.

Era sempre stata attratta dai racconti della nonna sulla vita terrestre; come tutte le sirene il giorno del quindicesimo compleanno, sua nonna era emersa dalle profondità dell'oceano e aveva scoperto il mondo sconosciuto degli uomini. In seguito, aveva fatto frequenti incursioni sulle spiagge di diversi litorali e aveva conservato un ricordo indimenticabile delle sue esperienze. La passione che metteva nel raccontare le sue storie fu trasmessa alla giovane sirenetta. Avida di particolari, l'assillava di domande; voleva conoscere tutto della vita di chi, sulla terra, con due gambe, si muoveva facilmente così come lei danzava nell'acqua… Purtroppo, ancora alcuni anni le mancavano prima che lei compisse i suoi quindici anni...

Un giorno la maggiore delle sue sorelle compì i tanto attesi quindici anni. Dopo aver avuto innumerevoli raccomandazioni di prudenza dalla nonna preoccupata, partì verso la superficie, guardata con invidia dalla sorella minore. Al ritorno, raccontò con entusiasmo la sua esperienza e, certamente, la sua più avida ascoltatrice fu la sirenetta più giovane.

L'anno seguente, fu il turno della seconda figlia del re: partita nella direzione opposta conobbe altri paesaggi, altri popoli, che descrisse alla sorella addirittura abbagliata. La terza principessa fra quelle che ricevettero il permesso, si recò in una baia, risalì poi un fiume circondato da castelli, colline e foreste. La quarta preferì restare al largo a contemplare le navi che facevano rotta verso il continente. Il compleanno della quinta fu in inverno ed ebbe il privilegio di ammirare la neve e il ghiaccio, che nessuna sirena aveva mai visto fino ad allora. Infine, il giorno tanto atteso e nello stesso tempo tanto temuto, arrivò. La piccola sirena compì quindici anni. Appena ebbe il permesso di partire, nuotò vigorosamente e andò verso il cielo che intravedeva sopra la sua testa. Tra gli spruzzi di mille goccioline, uscì sulla superficie del mare e contemplò, soggiogata, il sole che calava fiammeggiante all'orizzonte. I minuti passarono meravigliosi.

Lentamente, il giorno si oscurò e arrivò la notte, ma la piccola sirena riuscì a scorgere, lasciandosi dondolare dolcemente, una magnifica caravella con molte vele. C'era una festa a bordo e l'alberatura era tutta addobbata con centinaia di lampade che illuminavano tutta la nave. Sul ponte riccamente parato c'era l'eroe della serata, un principe giovane e bello... Affascinata dallo spettacolo fiabesco, la sirenetta fissava estasiata il giovane che si distingueva dagli altri per la sua prestanza fisica e la sua eleganza. Improvvisamente si alzò il vento, le onde divennero più violente e si infransero contro la nave. I lampi saettavano nel cielo oscurato dalle nuvole e la tempesta scoppiò spaventosamente.

I marinai, sorpresi dalla rapidità e dalla forza dello scatenarsi degli elementi, non ebbero il tempo di abbassare le vele: gonfiate al massimo, trasportarono la nave come una pagliuzza. Spinta dal vento, sballottata dalle onde giganti, la nave non resistette molto tempo. Lo scafo si ruppe, le strutture sradicate caddero nell' acqua e in mezzo alle grida dei naufraghi, la nave tu inghiottita dalle onde mugghianti. Fu così che un'incredibile speranza attraversò la mente della sirenetta che assisteva impotente a quel dramma: il principe la stava raggiungendo nel regno del mare! Poi si ricordò che gli uomini annegavano se non potevano respirare l'aria, per loro indispensabile. Con il rischio di essere ferita dai rottami della nave, si precipitò in soccorso del principe un attimo prima che fosse inghiottito dalle onde.

Gli sorresse la testa fuori dall'acqua e poi, lottando con tutte le sue forze, cercò di arrivare a riva. Dopo molti sforzi, esausta, giunse sulla spiaggia con il suo carico esanime. Al mattino la tempesta si era calmata e nel cielo senza nuvole, il sole cominciò a salire verso lo zenit. Il mare era calmo e tutti i resti della nave erano scomparsi. Si sarebbe potuto credere che non fosse successo niente. Soltanto la presenza del principe ricordava i tragici avvenimenti della notte. La sirenetta pensò che la vita era più tranquilla nel regno profondo del mare; fugacemente, rimpianse la sua vita comoda, ma la vista del giovane la riportò alla realtà. Con gli occhi chiusi sembrava dormisse e poté osservarlo per lungo tempo: assomigliava stranamente al busto di alabastro che ornava il suo giardino... furtivamente, gli diede un bacio sulla fronte. E se fosse morto? Disperata, non sapeva che fare per salvare colui che amava già con tutto il cuore. Si sentì inutile, la sua coda di pesce le impediva tutti i movimenti sulla terra ferma.

Coraggiosamente, incominciò a tirare il corpo inerte verso un luogo ben in evidenza, alla vista di eventuali passanti. Poi, andò a sedersi dietro una roccia, non potendo fare altro per il principe. Quasi subito, una ragazza che passeggiava sulla spiaggia, approfittando del dolce sole mattutino, vide il principe. Chiamò aiuto e il giovane ebbe finalmente soccorsi. Riscaldato, confortato, riprese i sensi e il primo volto che vide fu quello della giovane ragazza.

Ben rassicurata sulla sorte di chi aveva toccato il suo cuore per sempre, la piccola sirena si immerse nel mare e ritornò nel suo regno. Non raccontò nulla del suo soggiorno in superficie e il suo silenzio preoccupò il re, la nonna e le sue sorelle. Da quel giorno passò le giornate nel suo piccolo giardino contemplando la statua, sosia del principe. Molte volte andò sulla spiaggia dove aveva lasciato il principe, sperando di rivederlo ma invano... le stagioni passarono.

La malinconia della piccola principessa aumentava ogni giorno di più e il suo sconforto si intensificava. Sua nonna ebbe pena di lei e, dopo molte esitazioni, si decise a rivelare alla ragazza l'esistenza e i grandi poteri della strega che abitava sul fondo dei mari:

  • Se sei felice solo quando sei sulla terra, vai a trovarla, lei ti aiuterà ma...
    Senza aspettare un attimo di più, la piccola sirena riunì tutte le sue forze e nuotò verso l'antro della maga. Coraggiosamente, riuscì a resistere all'attacco delle murene che volevano morderla e ignorò le ferite causate dai coralli che laceravano il suo corpo. Superando la paura, continuò, malgrado gli ostacoli che le sbarravano il cammino e finalmente giunse davanti all'orribile donna che, avvisata del suo arrivo, l'aspettava.

Una puzza pestilenziale usciva da un pentolone il cui contenuto stava bollendo.

  • So quello che desideri, - sogghignò la donna spaventosa, - sei molto audace! Voglio esaudirti, ma come contropartita, dovrai fare grandi sacrifici: in cambio delle gambe, voglio la tua voce, resterai per sempre muta... non ridiventerai mai più una sirena e se non saprai guadagnarti l'amore dell'uomo che ti ha ammaliata, se egli amerà un'altra donna, morrai... Poi aggiunse con un' aria terribile: ad ogni passo, avrai dolori, i tuoi piedi sanguineranno ma tu dovrai sorridere, nascondere il tuo tormento... Sei ancora decisa?-
  • La mia decisione è irremovibile. Voglio realizzarla a qualunque costo!-
    Nauseata, inghiottì la bevanda dall'odore fetido che la strega le diede.
    Con atroci sofferenze, la coda di pesce si trasformò in due gambe affusolate.

La piccola sirena non riuscì a trattenere un grido di' dolore. Ad ogni passo gli occhi le si riempivano di lacrime; faticosamente si diresse verso la spiaggia. Le sue nuove gambe erano più un intralcio che un aiuto e, esausta, svenne sulla sabbia. Quando si svegliò, il suo sguardo incrocio... quello del principe! Anche il principe veniva regolarmente sulla spiaggia: era alla ricerca di una ragazza che aveva conquistato il suo cuore, con uno sguardo che aveva incrociato il suo al risveglio dopo il naufragio... E così scoprì la sirenetta.

Soggiogato dal suo fascino e dalla sua bellezza, la presentò ai suoi genitori, a corte e diventò la regina dei balli e dei ricevimenti dati in suo onore. La sirenetta soffriva atrocemente, ma sorrideva radiosa. Appena restava sola, furtivamente bagnava i piedi sanguinanti nel mare fresco e riposante. Una grande tristezza la tormentava notte e giorno: il principe l'amava, ma come una sorella, un'amica... essendo muta, si confidava molto con lei, sicuro che avrebbe mantenuto il segreto. Il principe pensava che le lacrime che brillavano negli occhi della ragazza, fossero lacrime di compassione e le era riconoscente. Se avesse potuto immaginare... Il principe cominciò a disperare di poter ritrovare la ragazza da cui lui credeva fosse stato salvato, quando ricevette un invito dal re di un paese vicino.

Fu con grande sorpresa e gioia che riconobbe nella figlia del re la sua salvatrice! Anche la giovane principessa si era innamorata dello sconosciuto della spiaggia e il loro ritrovarsi fu meraviglioso. Fu subito stabilito il matrimonio, che si celebrò dopo qualche giorno con grande sfarzo. Il ballo degli sposi si svolse su una nave riccamente decorata e illuminata.

La piccola sirena si sforzò molto per essere gaia e gentile. Le sue gambe la sostenevano a malapena, ma lei danzò tutta la notte, la sua ultima notte... il principe aveva sposato un'altra e la piccola sirena doveva ritornare nel mare dove sarebbe affogata, essendo ormai una ragazza terrena. Ciò a lei non importava; come poteva vivere senza amore? Sulla spiaggia, prima di entrare tra i flutti che sarebbero diventati la sua bara, intravide le sue sorelle:

  • Vieni, - le gridarono, - abbiamo venduto le nostre lunghe chiome alla strega in cambio della tua vita. Ma ad un'altra condizione: prima dello spuntare del sole, il sangue del principe dovrà bagnare le tue gambe che si ritrasformeranno in una coda di pesce... sbrigati, stai morendo... - arrivavano queste parole dal mare...
    Spaventata... uccidere colui che amava ancora! I brividi la percorsero… la morte cominciava la sua opera.

Poi il suo corpo divenne leggero, aereo, e la sirenetta si ritrovò nel regno dell'aria dove le figlie del vento, per compassione l'avevano portata. Ormai, la piccola sirena infelice vivrà nel cielo eternamente perché lassù la morte non esiste. Dall'immensità dei cieli, veglierà e proteggerà la giovane coppia principesca, testimone della felicità che non aveva potuto avere.