I Fratelli Grimm hanno riscritto le favole più celebri della tradizione europea. Nell'articolo abbiamo raccolto le più belle.
Jacob Ludwig Grimm e Wilhelm Karl Grimm, meglio conosciuti come i Fratelli Grimm sono due linguisti e filologi tedeschi, diventati famosi in quanto hanno rielaborato e riscritto le favole più famose della tradizione europea, soprattutto quella germanica.
Non è però possibile sapere con certezza quali sono state le fonti a cui i Fratelli Grimm hanno attinto, in quanto le fiabe sono state trasmesse in un lontano passato tramite tradizione orale, di conseguenza la loro origine e datazione risulta impossibile. Tra le più conosciute abbiamo sicuramente Cappuccetto rosso, Cenerentola e Hänsel e Gretel.
Anche se si tratta di favole, non sono state pensate dagli autori per un pubblico di bambini, tant’è vero che le loro ambientazioni sono piuttosto lugubri, popolate da esseri spaventosi, quali streghe, goblin, orchi, troll e ricche di dettagli realistici e cruenti.
Proprio per questo motivo, in molti adattamenti sono state edulcorate dai dettagli più terrificanti. Cosa che è avvenuta già al tempo dei Fratelli Grimm, tanto da suscitare la loro ira. Jacob Grimm in particolare ha espresso in una lettera tutta la propria contrarietà sulla questione, sostenendo che le fiabe non devono essere concepite per i bambini e che questi ultimi avrebbero compreso gli elementi oscuri di esse una volta cresciuti.
Le fiabe dei fratelli Grimm La bella addormentata
Questa favola, che molti conosceranno per via del lungometraggio della Walt Disney, ha radici molto antiche ed è stata trascritta a suo tempo dai fratelli Grimm. La storia è incentrata su una giovane principessa che cade addormentata a causa di un incantesimo. Solo l’intervento di un principe riesce a svegliarla.
C'era una volta un re e una regina che ogni giorno dicevano: "Ah, se avessimo un bambino!" Ma il bambino non veniva mai. Un giorno, mentre la regina faceva il bagno, ecco che un gambero saltò fuori dall'acqua e le disse: "Il tuo desiderio sarà esaudito: darai alla luce una bambina."
La profezia del gambero si avverò e la regina partorì una bimba così bella che il re non stava più nella pelle dalla gioia e ordinò una gran festa. Non invitò soltanto i suoi parenti, amici e conoscenti, ma anche le fate perché fossero benevole e propizie alla neonata. Nel suo regno ve n'erano tredici, ma siccome egli possedeva soltanto dodici piatti d'oro per il pranzo, dovette rinunciare a invitarne una.
Dopo la festa, le fate diedero alla bimba i loro doni meravigliosi: la prima le donò la virtù, la seconda la bellezza, la terza la ricchezza, e così via, tutto ciò che si può desiderare al mondo. Dieci fate avevano già formulato il loro auspicio, quando giunse la tredicesima che voleva vendicarsi perché‚ non era stata invitata. Ella disse ad alta voce: "A quindici anni, la principessa si pungerà con un fuso e cadrà a terra morta." Allora si fece avanti la dodicesima, che doveva formulare il suo voto; certo non poteva annullare la spietata sentenza, ma poteva attenuarla e disse: "La principessa non morirà ma cadrà in un sonno profondo che durerà cento anni."
Il re, sperando di poter preservare la sua bambina da quella grave disgrazia, ordinò che tutti i fusi del regno fossero bruciati. Frattanto, nella fanciulla si adempirono i voti delle fate: ella era così bella, virtuosa, gentile e intelligente, che non si poteva guardarla senza volerle bene. Ora avvenne che proprio il giorno in cui compì quindici anni, il re e la regina erano fuori ed ella rimase sola nel castello. Giro dappertutto, visitò ogni stanza a piacer suo e giunse infine a una vecchia torre. Salì una stretta scaletta che la condusse fino a una porticina. Nella serratura c'era una chiave arrugginita e quand'ella la girò, la porta si spalancò: in una piccola stanzetta c'era una vecchia con un fuso che filava con solerzia il suo lino.
"Oh, nonnina," disse la principessa, "che cosa stai facendo?" - "Filo," rispose la vecchia, e assentì con il capo. "Come gira quest'aggeggio!" esclamò la fanciulla, e prese in mano il filo per filare anche lei. Ma non appena lo toccò, si compì l'incantesimo ed ella si punse un dito.
Come sentì la puntura, cadde a terra in un sonno profondo. E il re e la regina, che stavano rincasando, si addormentarono anch'essi con tutta la corte. I cavalli si addormentarono nelle stalle, i cani nel cortile, le colombe sul tetto, le mosche sulla parete; persino il fuoco che fiammeggiava nel camino si smorzò e si assopì, l'arrosto smise di sfrigolare e il cuoco, che voleva prendere per i capelli uno sguattero colto in flagrante, lo lasciò andare e si addormentò anche lui. Tutto ciò che aveva parvenza di vita, tacque e dormì.
Intorno al castello crebbe una siepe di fitte spine, che ogni anno diventava sempre più alta finché‚ arrivò a cingerlo completamente e a ricoprirlo tutto; così non se ne vide più nulla, neanche le bandiere sul tetto. Ma nel paese si diffuse la leggenda di Rosaspina, la bella addormentata, come veniva chiamata la principessa; e ogni tanto veniva qualche principe che si avventurava attraverso il roveto tentando di raggiungere il castello. Ma non riuscivano a penetrarvi perché‚ le spine li trattenevano come se si fosse trattato di mani, ed essi si impigliavano e morivano miseramente.
Dopo molti, molti anni, giunse nel paese un altro principe; un vecchio gli parlò dello spineto che circondava un castello nel quale una meravigliosa principessa di nome Rosaspina dormiva con tutta la corte. Già suo nonno gli aveva narrato che molti principi avevano tentato di penetrare fra le spine ma vi erano rimasti imprigionati ed erano miseramente periti. Allora il giovane disse: "Io non ho timore: attraverserò i rovi e vedrò la bella Rosaspina." Il vecchio cercò di dissuaderlo in tutti i modi, ma egli non gli diede retta.
Ora, proprio il giorno in cui il principe tentò l'impresa erano trascorsi cento anni. Quando si avvicinò al roveto, non trovò che fiori bellissimi che si scostarono spontaneamente al suo passaggio, ricongiungendosi alle sue spalle, sicché egli passò illeso. Giunto nel cortile del castello, vide cavalli e cani da caccia pezzati che dormivano, distesi a terra; sul tetto erano posate le colombe con le testine sotto l'ala. Quando entrò, le mosche dormivano sulla parete e il cuoco, in cucina, tendeva ancora la mano per afferrare lo sguattero, mentre la serva sedeva davanti al pollo nero che doveva spennare.
Egli andò oltre e vide dormire tutta la corte e in alto, sul trono, dormivano il re e la regina. Proseguì ancora e il silenzio era tale che egli udiva il proprio respiro. Finalmente giunse alla torre e aprì la porta della cameretta in cui dormiva Rosaspina. Giaceva là, ed era così bella che egli non riusciva a distoglierne lo sguardo. Si chinò e le diede un bacio.
E, come l'ebbe baciata, Rosaspina aprì gli occhi, si svegliò e lo guardò tutta ridente. Allora scesero insieme e il re, la regina e tutta la corte si svegliarono e si guardarono l'un l'altro stupiti. I cavalli in cortile si alzarono e si scrollarono; i cani da caccia saltarono su scodinzolando; le colombe sul tetto levarono la testina da sotto l'ala, si guardarono intorno e volarono nei campi; le mosche ripresero a muoversi sulle pareti; il fuoco in cucina si ravvivò, si mise ad ardere e continuò a cuocere il pranzo; l'arrosto ricominciò a sfrigolare, il cuoco diede allo sguattero uno schiaffo che lo fece gridare, e la serva finì di spennare il pollo.
Poi furono celebrate con gran fasto le nozze del principe e di Rosaspina, che vissero felici fino alla morte.
Fiabe fratelli Grimm Cenerentola
Questa favola racconta di una ragazza che dopo la morte della madre viene trattata malamente dalle sorellastre.
La moglie di un ricco si ammalò e, quando sentì avvicinarsi la fine, chiamò al capezzale la sua unica figlioletta e le disse: "Sii sempre docile e buona, così il buon Dio ti aiuterà e io ti guarderò dal cielo e ti sarò vicina." Poi chiuse gli occhi e morì. La fanciulla andava ogni giorno alla tomba della madre, piangeva ed era sempre docile e buona. La neve ricoprì la tomba di un bianco drappo, e quando il sole l'ebbe tolto, l'uomo prese moglie di nuovo.
La donna aveva due figlie che portò con sé in casa, ed esse erano belle e bianche di viso, ma brutte e nere di cuore. Per la figliastra incominciarono tristi giorni. "Che vuole quella buona a nulla in salotto?" esse dicevano. "Chi mangia il pane deve guadagnarselo: fuori, sguattera!" Le presero i suoi bei vestiti, le diedero da indossare una vecchia palandrana grigia e la condussero in cucina deridendola. Lì doveva sgobbare per bene: si alzava prima che facesse giorno, portava l'acqua, accendeva il fuoco, cucinava e lavava. Per giunta le sorelle gliene facevano di tutti i colori, la schernivano e le versavano ceci e lenticchie nella cenere, sicché doveva raccoglierli a uno a uno. La sera, quando era stanca, non andava a letto, ma doveva coricarsi nella cenere accanto al focolare. E siccome era sempre sporca e impolverata, la chiamavano Cenerentola.
Un giorno, il padre volle recarsi alla fiera e chiese alle due figliastre che cosa dovesse portare loro. "Bei vestiti," disse la prima. "Perle e gemme," disse la seconda. "E tu, Cenerentola," disse egli, "che cosa vuoi?" - "Babbo, il primo rametto che vi urta il cappello sulla via del ritorno," rispose Cenerentola. Così egli comprò bei vestiti, perle e gemme per le due figliastre; e sulla via del ritorno, mentre cavalcava per un verde boschetto, un ramo di nocciolo lo sfiorò e gli fece cadere il cappello. Allora egli colse il rametto e quando giunse a casa diede alle due figliastre quello che avevano chiesto, e a Cenerentola diede il ramo di nocciolo. Cenerentola lo prese, andò a piantarlo sulla tomba della madre, e pianse tanto che le lacrime l'innaffiarono. Così crebbe e divenne un bell'albero. Cenerentola ci andava tre volte al giorno, piangeva e pregava e ogni volta si posava sulla pianta un uccellino che le dava ciò che aveva desiderato.
Ora avvenne che il re diede una festa che doveva durare tre giorni, perché suo figlio potesse scegliersi una sposa. Anche le due sorellastre erano invitate, così chiamarono Cenerentola e dissero: "Pettinaci, spazzola le scarpe e assicura le fibbie: andiamo a ballare alla festa del re." Cenerentola ubbidì ma piangeva, perché anche lei sarebbe andata volentieri al ballo, e pregò la matrigna di accordarle il permesso. "Tu, Cenerentola," disse questa, "non hai niente da metterti addosso, non sai ballare, e vorresti andare a nozze!" Ma Cenerentola insisteva e la matrigna finì col dirle: "Ti rovescerò nella cenere un piatto di lenticchie e se in due ore le sceglierai tutte, andrai anche tu." La matrigna le rovesciò le lenticchie nella cenere, ma la fanciulla andò nell'orto dietro casa e chiamò: "Dolci colombelle mie, e voi, tortorelle, e voi, uccellini tutti del cielo, venite e aiutatemi a scegliere le lenticchie:
Quelle buone me le date,
le cattive le mangiate."Allora dalla finestra della cucina entrarono due colombe bianche e poi le tortorelle e infine, frullando e svolazzando, entrarono tutti gli uccellini del cielo e si posarono intorno alla cenere. E le colombelle annuirono con le testine e incominciarono, pic, pic, pic, pic, e allora ci si misero anche gli altri, pic, pic, pic, pic, e raccolsero tutti i grani buoni nel piatto. Non era passata un'ora che avevano già finito e volarono tutti via. Allora la fanciulla, tutta contenta, portò il piatto alla matrigna e credeva di poter andare a nozze anche lei. Ma la matrigna disse: "No, Cenerentola; non hai vestiti e non sai ballare; non verrai." Ma Cenerentola si mise a piangere, e quella disse: "Se in un'ora riesci a raccogliere dalla cenere e a scegliere due piatti pieni di lenticchie, verrai anche tu." E pensava: "Non ci riuscirà mai." Quando la matrigna ebbe versato i due piatti di lenticchie nella cenere, la fanciulla andò nell'orto dietro casa e gridò: "Dolci colombelle mie, e voi, tortorelle, e voi, uccellini tutti del cielo, venite e aiutatemi a scegliere:
Quelle buone me le date,
le cattive le mangiate."Allora dalla finestra della cucina entrarono due colombe bianche e poi le tortorelle ed infine, frullando e svolazzando, entrarono tutti gli uccellini del cielo e si posarono intorno alla cenere. E le colombelle annuirono con le loro testoline e incominciarono, pic, pic, pic, pic, e allora ci si misero anche gli altri, pic, pic, pic, pic, e raccolsero tutti i grani buoni nei piatti. E non era passata mezz'ora che avevano già finito e volarono tutti via. Allora la fanciulla, tutta contenta, portò i piatti alla matrigna e credeva di potere andare a nozze anche lei. Ma la matrigna disse: "E' inutile: tu non vieni, perché non hai vestiti e non sai ballare; dovremmo vergognarci di te." Così detto se ne andò con le sue due figlie.
Rimasta sola, Cenerentola andò alla tomba della madre sotto il nocciolo, e gridò:
"Scrollati pianta, stammi a sentire,
d'oro e d'argento mi devi coprire!"Allora l'uccello le gettò un abito d'oro e d'argento e scarpette trapunte di seta e d'argento. Cenerentola indossò l'abito e andò a nozze. Ma le sorelle e la matrigna non la riconobbero e pensarono che fosse una principessa sconosciuta, tanto era bella nell'abito così ricco. A Cenerentola non pensarono affatto, e credevano che se ne stesse a casa nel sudiciume. Il principe le venne incontro, la prese per mano e danzò con lei. E non volle ballare con nessun'altra; non le lasciò mai la mano, e se un altro la invitava diceva: "È la mia ballerina."
Cenerentola danzò fino a sera, poi volle andare a casa. Il principe disse: "Vengo ad accompagnarti," perché voleva vedere da dove veniva la bella fanciulla, ma ella gli scappò e balzò nella colombaia. Il principe allora aspettò che ritornasse il padre e gli disse che la fanciulla sconosciuta era saltata nella colombaia. Questi pensò: Che sia Cenerentola? e si fece portare un'accetta e un piccone per buttar giù la colombaia; ma dentro non c'era nessuno. E quando rientrarono in casa, Cenerentola giaceva sulla cenere nelle sue vesti sporche e un lumino a olio ardeva a stento nel focolare. Ella era saltata velocemente fuori dalla colombaia ed era corsa al nocciolo; là si era tolta le belle vesti, le aveva deposte sulla tomba e l'uccello le aveva riprese; ed ella nella sua palandrana grigia si era distesa sulla cenere in cucina.
Il giorno dopo quando la festa ricominciò e i genitori e le sorellastre erano di nuovo usciti, Cenerentola andò sotto al nocciolo e gridò:
"Scrollati pianta, stammi a sentire,
d'oro e d'argento mi devi coprire!"Allora l'uccello le gettò un abito ancora più superbo del primo. E quando comparve a nozze così abbigliata, tutti si meravigliarono della sua bellezza. Il principe l'aveva aspettata, la prese per mano e ballò soltanto con lei. Quando la invitavano gli altri, diceva: "Questa è la mia ballerina." La sera ella se ne andò e il principe la seguì per sapere dove abitasse; ma ella fuggì d'un balzo nell'orto dietro casa. Là c'era un bell'albero alto da cui pendevano magnifiche pere; svelta, ella vi si arrampicò e il principe non sapeva dove fosse sparita. Ma attese che arrivasse il padre e gli disse: "La fanciulla sconosciuta mi è sfuggita e credo che si sia arrampicata sul pero." Il padre pensò: Che sia Cenerentola? Si fece portare l'ascia e abbatté l'albero, ma sopra non vi era nessuno. E quando entrarono in cucina, Cenerentola giaceva come al solito sulla cenere: era saltata giù dall'altra parte dell'albero, aveva riportato le belle vesti all'uccello sul nocciolo, e aveva indossato la sua palandrana grigia.
Il terzo giorno, quando i genitori e le sorelle se ne furono andati, Cenerentola tornò alla tomba di sua madre e disse all'alberello:
"Scrollati pianta, stammi a sentire,
d'oro e d'argento mi devi coprire!"Allora l'uccello le gettò un vestito così lussuoso come non ne aveva ancora veduti, e le scarpette erano tutte d'oro. Quando ella comparve a nozze, la gente non ebbe più parole per la meraviglia. Il principe ballò solo con lei; e se qualcuno la invitava, egli diceva: "È la mia ballerina."
Quando fu sera Cenerentola se ne andò; il principe voleva accompagnarla ma ella gli sfuggì. Tuttavia perse la sua scarpetta sinistra, poiché il principe aveva fatto spalmare tutta la scala di pece e la scarpa vi era rimasta appiccicata. Egli la prese e, con essa, si recò il giorno seguente dal padre di Cenerentola e disse: "Colei che potrà calzare questa scarpina d'oro sarà mia sposa." Allora le due sorelle si rallegrarono perché avevano un bel piedino. La maggiore andò con la scarpa in camera sua e voleva provarla davanti a sua madre. Ma la scarpa era troppo piccola e il dito grosso non le entrava; allora la madre le porse un coltello e disse: "Tagliati il dito: quando sarai regina non avrai più bisogno di andare a piedi." La fanciulla si mozzò il dito, serrò il piede nella scarpa e andò dal principe. Egli la mise sul cavallo come sua sposa e partì con lei. Ma dovettero passare davanti alla tomba; sul nocciolo erano posate due colombelle che gridarono:
"Voltati e osserva la sposina:
ha del sangue nella scarpina,
per il suo piede è troppo stretta.
Ancor la sposa in casa t'aspetta.”Allora egli le guardò il piede e ne vide sgorgare il sangue. Voltò il cavallo, riportò a casa la falsa sposa e disse: "Questa non è quella vera; l'altra sorella deve provare la scarpa." Questa andò nella sua camera e riuscì a infilare le dita nella scarpa, ma il calcagno era troppo grosso. Allora la madre le porse un coltello e le disse: "Tagliati un pezzo di calcagno: quando sarai regina non avrai bisogno di andare a piedi." La fanciulla si tagliò un pezzo di calcagno, serrò il piede nella scarpa e andò dal principe. Questi la mise sul cavallo come sposa e andò via con lei. Ma quando passarono davanti al nocciolo, le due colombelle gridarono:
"Voltati e osserva la sposina:
ha del sangue nella scarpina,
per il suo piede è troppo stretta.
Ancor la sposa in casa t'aspetta."Egli le guardò il piede e vide il sangue sgorgare dalla scarpa, sprizzando purpureo sulle calze bianche. Allora voltò il cavallo e riportò a casa la falsa sposa. "Questa non è quella vera," disse. "Non avete un'altra figlia?" - "No," rispose l'uomo, "c'è soltanto una piccola brutta Cenerentola della moglie che mi è morta: ma non può essere la sposa." Il principe gli disse di mandarla a prendere, ma la matrigna rispose: "Ah no, è troppo sporca, non può farsi vedere." Ma egli lo volle assolutamente e dovettero chiamare Cenerentola. Ella prima si lavò ben bene le mani e il viso, poi andò e si inchinò davanti al principe che le porse la scarpina d'oro. Allora ella si tolse dal piede il pesante zoccolo, l'infilò nella scarpetta e spinse un poco: le stava a pennello. E quando si alzò, egli la riconobbe e disse: "Questa è la vera sposa!" La matrigna e le due sorellastre si spaventarono e impallidirono dall'ira, ma egli mise Cenerentola sul cavallo e se ne andò con lei. Quando passarono davanti al nocciolo, le due colombelle bianche gridarono:
"Volgiti e guarda la sposina,
non c'è più sangue nella scarpina,
calza il piedino in modo perfetto.
Porta la sposa sotto il tuo tetto."E, dopo aver detto queste parole, scesero in volo e si posarono sulle spalle di Cenerentola, una a destra e l'altra a sinistra, e lì rimasero.
Quando stavano per essere celebrate le nozze con il principe, arrivarono le false sorellastre: esse volevano ingraziarsi Cenerentola e partecipare alla sua fortuna. All'entrata della chiesa, la maggiore si trovò a destra di Cenerentola, la minore alla sua sinistra. Allora le colombe cavarono un occhio a ciascuna. Poi, all'uscita, la maggiore era a sinistra e la minore a destra; e le colombe cavarono a ciascuna l'altro occhio. Così esse furono punite con la cecità per essere state false e malvagie.
Fiaba dei fratelli Grimm Cappuccetto Rosso
Questa fiaba racconta di una bambina soprannominata Cappuccetto rosso che fa l’infelice incontro con un lupo famelico.
C'era una volta una dolce bimbetta; solo a vederla le volevan tutti bene, e specialmente la nonna che non sapeva più che cosa regalarle. Una volta le regalò un cappuccetto di velluto rosso, e poiché‚ le donava tanto, ed ella non voleva portare altro, la chiamarono sempre Cappuccetto Rosso. Un giorno sua madre le disse: "Vieni, Cappuccetto Rosso, eccoti un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino, portali alla nonna; è debole e malata e si ristorerà. Sii gentile, salutala per me, e va' da brava senza uscire di strada, se no cadi, rompi la bottiglia e la nonna resta a mani vuote."
"Sì, farò tutto per bene," promise Cappuccetto Rosso alla mamma, e le diede la mano. Ma la nonna abitava fuori, nel bosco, a una mezz'ora dal villaggio. Quando Cappuccetto Rosso giunse nel bosco, incontrò il lupo, ma non sapeva che fosse una bestia tanto cattiva e non ebbe paura. "Buon giorno, Cappuccetto Rosso," disse questo. "Grazie, lupo." - "Dove vai così presto, Cappuccetto Rosso?" - "Dalla nonna." - "Che cos'hai sotto il grembiule?" - "Vino e focaccia per la nonna debole e vecchia; ieri abbiamo cotto il pane, così la rinforzerà!" - "Dove abita la tua nonna, Cappuccetto Rosso?" - "A un buon quarto d'ora da qui, nel bosco, sotto le tre grosse querce; là c'è la sua casa, è sotto la macchia di noccioli, lo saprai già," disse Cappuccetto Rosso. Il lupo pensò fra s': Questa bimba tenerella è un buon boccone prelibato per te, devi far in modo di acchiapparla. Fece un pezzetto di strada con Cappuccetto Rosso, poi disse: "Guarda un po' quanti bei fiori ci sono nel bosco, Cappuccetto Rosso; perché non ti guardi attorno? Credo che tu non senta neppure come cantano dolcemente gli uccellini! Te ne stai tutta seria come se andassi a scuola, ed è così allegro nel bosco!"
Cappuccetto Rosso alzò gli occhi e quando vide i raggi del sole filtrare attraverso gli alberi, e tutto intorno pieno di bei fiori, pensò: Se porto alla nonna un mazzo di fiori, le farà piacere; è così presto che arrivo ancora in tempo. E corse nel bosco in cerca di fiori. E quando ne aveva colto uno, credeva che più in là ce ne fosse uno ancora più bello, correva lì e così si addentrava sempre più nel bosco. Il lupo invece andò dritto alla casa della nonna e bussò alla porta. "Chi è?" - "Cappuccetto Rosso, ti porto vino e focaccia; aprimi." - "Non hai che da alzare il saliscendi," gridò la nonna, "io sono troppo debole e non posso alzarmi." Il lupo alzò il saliscendi, entrò, e senza dir motto andò dritto al letto della nonna e la inghiottì. Poi indossò i suoi vestiti e la cuffia, si coricò nel letto, e tirò le cortine.
Ma Cappuccetto Rosso aveva girato in cerca di fiori, e quando ne ebbe raccolti tanti che più non ne poteva portare, si ricordò della nonna e si mise in cammino per andare da lei. Quando giunse si meravigliò che la porta fosse spalancata, ed entrando nella stanza ebbe un'impressione così strana che pensò: "Oh, Dio mio, che paura oggi! e dire che di solito sto così volentieri con la nonna!" Allora si avvicinò al letto e scostò le cortine: la nonna era coricata con la cuffia abbassata sulla faccia, e aveva un aspetto strano. "Oh, nonna, che orecchie grandi!" - "Per sentirti meglio." - "Oh, nonna, che occhi grossi!" - "Per vederti meglio." - "Oh, nonna, che mani grandi!" - "Per afferrarti meglio." - "Ma, nonna, che bocca spaventosa!" - "Per divorarti meglio!" E come ebbe detto queste parole, il lupo balzò dal letto e ingoiò la povera Cappuccetto Rosso.
Poi, con la pancia bella piena, si rimise a letto, s'addormentò e incominciò a russare sonoramente. Proprio allora passò lì davanti il cacciatore e pensò fra sé: "Come russa la vecchia! Devi darle un'occhiata se ha bisogno di qualcosa." Entrò nella stanza e avvicinandosi al letto vide il lupo che egli cercava da tempo. Stava per puntare lo schioppo quando gli venne in mente che forse il lupo aveva ingoiato la nonna e che poteva ancora salvarla. Così non sparò, ma prese un paio di forbici e aprì la pancia del lupo addormentato. Dopo due tagli vide brillare il cappuccetto rosso, e dopo altri due la bambina saltò fuori gridando: "Che paura ho avuto! Era così buio nella pancia del lupo!" Poi venne fuori anche la nonna ancora viva. E Cappuccetto Rosso andò prendere dei gran pietroni con cui riempirono il ventre del lupo; quando egli si svegliò fece per correr via, ma le pietre erano così pesanti che subito cadde a terra e morì.
Erano contenti tutti e tre: il cacciatore prese la pelle del lupo, la nonna mangiò la focaccia e bevve il vino che le aveva portato Cappuccetto Rosso; e Cappuccetto Rosso pensava fra sé: "Mai più correrai sola nel bosco, lontano dal sentiero, quando la mamma te lo ha proibito."
Fiabe fratelli Grimm Hansel e Gretel
Questa fiaba narra di un fratello e di una sorella catturati da una strega cattiva intenzionata a mangiarli.
Davanti a un gran bosco abitava un povero taglialegna che non aveva di che sfamarsi; riusciva a stento a procurare il pane per sua moglie e i suoi due bambini: Hänsel e Gretel. Infine giunse un tempo in cui non poté più provvedere neanche a questo e non sapeva più a che santo votarsi. Una sera, mentre si voltava inquieto nel letto, la moglie gli disse: "Ascolta marito mio, domattina all'alba prendi i due bambini, dai a ciascuno un pezzetto di pane e conducili fuori in mezzo al bosco, nel punto dov'è più fitto; accendi loro un fuoco, poi vai via e li lasci soli laggiù. Non possiamo nutrirli più a lungo." - "No moglie mia" disse l'uomo "non ho cuore di abbandonare i miei cari bambini nel bosco, le bestie feroci li sbranerebbero subito." - "Se non lo fai," disse la donna, "moriremo tutti quanti di fame." E non lo lasciò in pace finché egli non acconsentì.
Anche i due bambini non potevano dormire per la fame, e avevano sentito quello che la madre aveva detto al padre. Gretel pensò che per loro fosse finita e incominciò a piangere amaramente, ma Hänsel disse: "Stai zitta Gretel, non ti crucciare, ci penserò io." Si alzò, si mise la giacchettina, aprì l'uscio da basso e sgattaiolò fuori. La luna splendeva chiara e i ciottoli bianchi rilucevano come monete nuove di zecca. Hänsel si chinò, ne ficcò nella taschina della giacca quanti pot‚ farne entrare e se ne tornò a casa. "Consolati Gretel e riposa tranquilla," disse; si rimise di nuovo a letto e si addormentò.
Allo spuntar del giorno, ancor prima che sorgesse il sole, la madre venne e li svegliò entrambi: "Alzatevi bambini, vogliamo andare nel bosco; qui c'è un pezzetto di pane per ciascuno di voi, ma siate saggi e conservatelo per mezzogiorno." Gretel mise il pane sotto il grembiule perché Hänsel aveva le pietre in tasca, poi si incamminarono verso il bosco. Quando ebbero fatto un pezzetto di strada: Hänsel si fermò e si volse a guardare la casa; così fece per più volte. Il padre disse: "Hänsel, che cos'è che ti volti a guardare e perché ti fermi? Su, muoviti!" - "Ah, babbo, guardo il mio gattino bianco che è sul tetto e vuole dirmi addio." Disse la madre: "Ehi, sciocco, non è il tuo gattino, è il primo sole che brilla sul comignolo." Hänsel però non aveva guardato il gattino, ma aveva buttato ogni volta sulla strada uno dei sassolini lucidi che aveva in tasca.
Quando giunsero in mezzo al bosco, il padre disse: "Ora raccogliete legna, bambini, voglio accendere un fuoco per non gelare." Hänsel e Gretel raccolsero rami secchi e ne fecero un mucchietto. Poi accesero il fuoco e quando la fiamma si levò alta, la madre disse: "Adesso stendetevi accanto al fuoco e dormite, noi andiamo a spaccare legna nel bosco; aspettate fino a quando non torniamo a prendervi."
Hänsel e Gretel rimasero accanto al fuoco fino a mezzogiorno, poi ciascuno mangiò il proprio pezzetto di pane. Credevano che il padre fosse ancora nel bosco perché udivano i colpi d'accetta; invece era un ramo che egli aveva legato a un albero e che il vento sbattéva di qua e di là. Così attesero fino a sera, ma il padre e la madre non tornavano e nessuno veniva a prenderli. Quando fu notte fonda Gretel incominciò a piangere, ma Hänsel disse: "Aspetta soltanto un poco, finché sorga la luna." E quando la luna sorse, prese Gretel per mano; i ciottoli brillavano come monete nuove di zecca e indicavano loro il cammino. Camminarono tutta la notte e quando fu mattina giunsero alla casa patema. Il padre si rallegrò di cuore quando vide i suoi bambini, poiché gli era dispiaciuto doverli lasciare soli; la madre finse anch'essa di rallegrarsi, ma segretamente ne era furiosa.
Non passò molto tempo e il pane tornò a mancare in casa, e Hänsel e Gretel udirono una sera la madre che diceva al padre: "Una volta i bambini hanno ritrovato il cammino e io ho lasciato correre: ma adesso non c'è di nuovo più niente, rimane solo una mezza pagnotta in casa; devi condurli domani più addentro nel bosco, perché non ritrovino la strada: per noi non c'è altro rimedio." L'uomo si sentì stringere il cuore e pensò: "Sarebbe meglio se dividessi l'ultimo boccone con i tuoi bambini." Ma siccome aveva già ceduto una volta, non poté dire di no.
Quando i bambini ebbero udito quel discorso, Hänsel si alzò per raccogliere di nuovo i ciottoli, ma quando giunse alla porta, la madre l'aveva chiusa. Tuttavia consolò Gretel e disse: "Dormi, cara Gretel, il buon Dio ci aiuterà." Allo spuntar del giorno ebbero il loro pezzetto di pane, ancora più piccolo della volta precedente. Per strada Hänsel lo sbriciolò in tasca; si fermava sovente e gettava una briciola per terra. "Perché ti fermi sempre Hänsel e ti guardi intorno?" disse il padre. "Cammina!" - "Ah! Guardo il mio piccioncino che è sul tetto e vuole dirmi addio." - "Sciocco," disse la madre, "non è il tuo piccione, è il primo sole che brilla sul comignolo." Ma Hänsel sbriciolò tutto il suo pane e gettò le briciole per via.
La madre li condusse ancora più addentro nel bosco, dove non erano mai stati in vita loro. Là dovevano di nuovo sedere accanto al fuoco e dormire e alla sera i genitori sarebbero venuti a prenderli. A mezzogiorno Gretel divise il proprio pane con Hänsel, che aveva sparso tutto il suo per via. Ma passò mezzogiorno e passò anche la sera senza che nessuno venisse dai poveri bambini. Hänsel consolò Gretel e disse: "Aspetta che sorga la luna: allora vedrò le briciole di pane che ho sparso; ci mostreranno la via di casa." La luna sorse, ma quando Hänsel cercò le briciole non le trovò: i mille e mille uccellini del bosco le avevano viste e le avevano beccate. Hänsel pensava di trovare ugualmente la via di casa e si portava dietro Gretel, ma ben presto si persero nel grande bosco; camminarono tutta la notte e tutto il giorno, poi si addormentarono per la gran stanchezza. Poi camminarono ancora tutta una giornata, ma non riuscirono a uscire dal bosco, e avevano tanta fame, perché non avevano nient'altro da mangiare che un po' di bacche trovate per terra.
Il terzo giorno, quand'ebbero camminato fino a mezzogiorno, giunsero a una casina fatta di pane e ricoperta di focaccia, con le finestre di zucchero trasparente. "Ci siederemo qui e mangeremo a sazietà," disse Hänsel. "Io mangerò un pezzo di tetto; tu, Gretel, mangia un pezzo di finestra: è dolce." Quando Gretel incominciò a rosicchiare lo zucchero, una voce sottile gridò dall'interno:
"Chi mi mangia la casina zuccherosa e sopraffina?"
I bambini risposero:
"È il vento che piega ogni stelo, il bel bambino venuto dal cielo."E continuarono a mangiare. Gretel tirò fuori tutto un vetro rotondo e Hänsel staccò un enorme pezzo di focaccia dal tetto. Ma d'un tratto la porta della casa si aprì e una vecchia decrepita venne fuori piano piano. Hänsel e Gretel si spaventarono tanto che lasciarono cadere quello che avevano in mano. Ma la vecchia scosse il capo e disse: "Ah, cari bambini, come siete giunti fin qui? Venite dentro con me, siete i benvenuti." Prese entrambi per mano e li condusse nella sua casetta. Fu loro servita una buona cena, latte e frittelle, mele e noci; poi furono preparati due bei lettini bianchi, e Hänsel e Gretel si coricarono e pensavano di essere in Paradiso.
Ma la vecchia era una strega cattiva che attendeva con impazienza l'arrivo dei bambini e, per attirarli, aveva costruito la casetta di pane. Quando un bambino cadeva nelle sue mani, lo uccideva, lo cucinava e lo mangiava; e per lei quello era un giorno di festa. Era proprio felice che Hänsel e Gretel fossero capitati lì. Di buon mattino, prima che i bambini fossero svegli, ella si alzò, andò ai loro lettini, e quando li vide riposare così dolcemente, si rallegrò e mormorò fra sì: "Saranno un buon bocconcino per me!" Poi afferrò Hänsel e lo rinchiuse in una stia. Quando questi si svegliò, si trovò circondato da una grata, come un pollo da ingrassare, e poteva fare solo pochi passi. Poi la vecchia svegliò Gretel con uno scossone e le gridò: "Alzati, poltrona, prendi dell'acqua e vai in cucina a preparare qualcosa di buono; tuo fratello è là nella stia e voglio ingrassarlo per poi mangiarmelo; tu devi dargli da mangiare." Gretel si spaventò e pianse, ma dovette fare quello che voleva la strega.
Ora ad Hänsel venivano cucinati ogni giorno i cibi più squisiti, poiché doveva ingrassare; Gretel invece non riceveva altro che gusci di gambero. Ogni giorno la vecchia veniva e diceva: "Hänsel, sporgi le dita, che senta se presto sarai grasso." Ma Hänsel le sporgeva sempre un ossicino ed ella si meravigliava che non volesse proprio ingrassare. Dopo quattro settimane, una sera disse a Gretel: "Vai a prendere dell'acqua, svelta; grasso o magro che sia, domani ammazzerò il tuo fratellino e lo cucinerò; nel frattempo mi metterò a impastare il pane da cuocere nel forno." Con il cuore grosso, Gretel portò l'acqua nella quale doveva essere cucinato Hänsel. Dovette poi alzarsi di buon mattino, accendere il fuoco e appendere il paiolo pieno d'acqua. "Ora fa' attenzione," disse la strega. "Accendo il fuoco nel forno per cuocere il pane." Gretel era in cucina e piangeva a calde lacrime mentre pensava: "Ci avessero divorato le bestie feroci nel bosco! Almeno saremmo morti insieme senza dover sopportare questa pena, e io non dovrei far bollire l'acqua che deve servire per la morte di mio fratello. Buon Dio, aiuta noi, miseri bambini!"
La vecchia gridò: "Gretel, vieni subito qui al forno!" e quando Gretel arrivò, disse: "Dai un'occhiata dentro se il pane è ben cotto e dorato; i miei occhi sono deboli e io non arrivo a vedere fin là. E se anche tu non ci riesci, siediti sull'asse: ti spingerò dentro, così potrai controllare meglio." Ma la perfida strega aveva chiamato Gretel perché pensava, una volta spintala dentro al forno, di chiuderlo e di farla arrostire per mangiarsi pure lei. Ma Dio ispirò alla fanciulla un'idea, ed ella disse: "Non so proprio come fare, fammi vedere tu per prima: siediti sull'asse e io ti spingerò dentro." La vecchia si sedette e, siccome era leggera, Gretel pot‚ spingerla dentro, il più in fondo possibile; poi chiuse in fretta la porta e mise il paletto di ferro. Allora la vecchia incominciò a gridare e a lamentarsi nel forno bollente, ma Gretel scappò via, ed ella dovette bruciare miseramente.
Gretel corse da Hänsel, gli aprì la porticina e gridò: "Salta fuori, Hänsel, siamo liberi!" Allora Hänsel saltò fuori, come un uccello quando gli aprono la gabbia. Ed essi piansero di gioia e si baciarono. Tutta la casetta era piena di perle e di pietre preziose: essi se ne riempirono le tasche e se ne andarono in cerca della via che li riconducesse a casa. Ma giunsero a un gran fiume che non erano in grado di attraversare. Allora la sorellina vide un'anatrina bianca nuotare di qua e di là.
E le gridò:
"Ah, cara anatrina, prendici sul tuo dorso."Udite queste parole, l'anatrina si avvicinò nuotando e trasportò prima Gretel e poi Hänsel dall'altra parte del fiume. Dopo breve tempo ritrovarono la loro casa: il padre si rallegrò di cuore quando li rivide, poiché non aveva più avuto un giorno di felicità da quando i suoi bambini non c'erano più. La madre invece era morta. Ora i bambini portarono ricchezze a sufficienza benché non avessero più bisogno di procurarsi il necessario per vivere.
Le fiabe dei fratelli Grimm Fratellino e sorellina
Questa storia racconta la disavventura di un fratello e di una sorella colpiti da un terribile sortilegio.
Il fratellino prese la sorellina per mano e disse: "Da quando è morta la mamma, non abbiamo più avuto un'ora di bene: la matrigna ci picchia ogni giorno e quando andiamo da lei ci caccia a pedate. I tozzi di pane raffermo sono il nostro cibo, e il cagnolino sotto la tavola sta meglio di noi: a lui getta ogni tanto qualcosa di buono. Dio mio, se lo sapesse la nostra mamma! Vieni, ce ne andremo insieme per il mondo." Camminarono tutto il giorno attraverso prati, campi, sentieri sassosi, e, mentre pioveva, la sorellina disse: "Dio e i nostri cuori piangono insieme." La sera giunsero in un gran bosco, ed erano così stanchi per il pianto, la fame e il lungo cammino, che si sedettero dentro a un albero cavo e si addormentarono.
La mattina dopo, quando si svegliarono, il sole era già alto nel cielo e i suoi raggi penetravano ardenti all'interno dell'albero. Allora il fratellino disse: "Sorellina ho sete; se sapessi dov'è una fonte andrei a bere; credo di averne sentito il mormorio." Il fratellino si alzò, prese la sorellina per mano e volevano cercare la sorgente. Ma la cattiva matrigna era una strega e aveva visto benissimo che i due bambini se ne erano andati; li aveva seguiti quatta quatta, di nascosto, come fanno le streghe, e aveva stregato tutte le sorgenti del bosco. Quand'essi trovarono un rivolo che saltellava scintillando sulle pietre, il fratellino volle bere; ma la sorellina udì la fonte mormorare: "Chi beve della mia acqua diventa una tigre! Chi beve della mia acqua diventa una tigre!" Allora la sorellina gridò: "Ah, fratellino, ti prego, non bere, altrimenti diventi una belva feroce e mi sbrani." Il fratellino non bevve, anche se aveva una gran sete, e disse: "Aspetterò fino alla prossima sorgente." Quando arrivarono alla seconda fonte, la sorellina udì che anche questa diceva: "Chi beve della mia acqua diventa un lupo! Chi beve della mia acqua diventa un lupo!" Allora gridò: "Ah, fratellino, ti prego, non bere, altrimenti diventi un lupo e mi divori." Il fratellino non bevve e disse: "Aspetterò fino alla prossima sorgente, ma allora dovrò bere; puoi dire quello che vuoi, ho troppa sete." E quando giunsero alla terza fonte, la sorellina udì mormorare: "Chi beve della mia acqua diventa un capriolo! Chi beve della mia acqua diventa un capriolo!" La sorellina disse: "Ah, fratellino, ti prego, non bere, altrimenti diventi un capriolo e scappi via." Ma il fratellino si era subito inginocchiato presso la sorgente, si era chinato e aveva bevuto l'acqua; non appena le prime gocce gli toccarono le labbra, giacque a terra, trasformato in un piccolo capriolo.
La sorellina pianse sul povero fratellino stregato, e anche il piccolo capriolo piangeva, standosene tutto triste accanto a lei. Infine la fanciulla disse: "Chetati, caro caprioletto, io non ti abbandonerò mai." Sciolse la sua giarrettiera d'oro e la mise intorno al collo del capriolo, poi divelse dei giunchi e ne intrecciò una corda flessibile. Legò l'animaletto, lo condusse con s‚ e si addentrò sempre di più nel bosco. Cammina, cammina, giunsero finalmente a una casetta; la fanciulla guardò dentro e siccome era vuota pensò: "Qui possiamo fermarci ad abitare." Cercò allora foglie e muschio per fare un morbido giaciglio al capriolo e ogni mattina usciva e raccoglieva radici, bacche e noci, e al capriolo portava erba tenera; ed esso la mangiava dalla sua mano, era felice e giocherellava davanti a lei. La sera quando la sorellina era stanca e aveva detto le sue preghiere, posava il capo sul dorso del piccolo capriolo: quello era il suo cuscino e su di esso si addormentava dolcemente. E se il fratellino avesse avuto la sua figura umana, sarebbe stata una vita meravigliosa.
Per un certo periodo di tempo vissero così, soli, in quel luogo selvaggio. Ma avvenne che il re di quella zona tenesse una gran caccia nel bosco. Echeggiò fra gli alberi il suono dei corni, il latrato dei cani e le grida allegre, e il piccolo capriolo ascoltava e gli sarebbe tanto piaciuto essere della partita. "Ah," disse alla sorellina, "lasciami andare alla caccia, non posso più resistere!" E la pregò così a lungo che ella infine acconsentì. "Però," gli disse, "ritorna questa sera. Davanti ai feroci cacciatori io chiuderò la porticina: per farti riconoscere, bussa e di': "Sorellina mia, lasciami entrare!" Ma se non dici così, non aprirò." Allora il capriolo saltò fuori, e stava tanto bene, ed era così allegro all'aria aperta! Il re e i suoi cacciatori videro il bell'animaletto e lo inseguirono; ma non riuscivano a raggiungerlo, e quando credevano di prenderlo, il capriolo saltava nella boscaglia e spariva.
Quando fu buio corse alla casetta, bussò e disse: "Sorellina mia, lasciami entrare!" Allora la porticina gli fu aperta, egli saltò dentro e dormì tutta la notte sul suo morbido giaciglio. Il mattino dopo la caccia ricominciò, e quando il capriolo udì nuovamente il corno e il grido dei cacciatori, non ebbe più pace e disse: "Sorellina aprimi, devo uscire." La sorellina gli aprì la porta e disse: "Ma questa sera devi essere di nuovo qui con la tua parola d'ordine." Quando il re e i suoi cacciatori rividero il capriolo con il collare d'oro, lo inseguirono tutti, ma egli era troppo rapido e svelto. La caccia durò tutto il giorno, ma finalmente a sera i cacciatori lo accerchiarono e uno lo ferì leggermente a una zampa, cosicché egli si mise a zoppicare e corse via più adagio. Allora un cacciatore gli andò dietro pian piano fino alla casetta e l'udì esclamare: "Sorellina mia, lasciami entrare!" e vide che la porta gli veniva aperta e subito richiusa. Il cacciatore tenne tutto bene a mente, andò dal re e gli raccontò ciò che aveva visto e udito. Allora il re disse: "Domani andremo a caccia ancora una volta."
Ma la sorellina si spaventò terribilmente quando il piccolo capriolo rientrò ferito. Lavò la ferita, ci mise sopra delle erbe e disse: "Va' al tuo giaciglio, caprioletto mio, così guarisci." Ma la ferita era così piccola che al mattino il capriolo non sentiva più nulla e quando udì nuovamente il tripudio della caccia disse: "Non posso resistere, devo andarci; non sarà così facile acchiapparmi." La sorellina pianse e disse: "Adesso ti uccideranno; non ti lascio uscire." - "E io ti morirò qui di tristezza, se mi trattieni" rispose il capriolo. "Quando sento il corno da caccia mi sembra di non stare più nella pelle!" Allora la sorellina dovette cedere, gli aprì la porta con il cuore grosso e il capriolo corse nel bosco vispo e felice. Quando il re lo scorse, disse ai suoi cacciatori: "Inseguitelo per tutto il giorno fino a sera, ma che nessuno gli faccia del male!" Come il sole fu tramontato, il re disse al cacciatore: "Vieni e mostrami la casetta nel bosco."
E quando fu davanti alla porticina bussò e gridò: "Sorellina cara, lasciami entrare!" Allora la porta si aprì e il re entrò e trovò una fanciulla così bella come non ne aveva mai viste. Ma la fanciulla si spaventò quando vide entrare un re con una corona d'oro al posto del suo piccolo capriolo. Il re la guardò amorevolmente, le diede la mano e disse: "Vuoi venire con me al mio castello e diventare la mia cara sposa?" - "Ah sì," rispose la fanciulla, "ma deve venire anche il capriolo, non lo abbandono." Disse il re: "Rimarrà con te finché vivi e non gli mancherà nulla." In quel momento entrò a salti il capriolo; la sorellina lo legò di nuovo alla fune di giunco che prese in mano lei stessa, e insieme a lui lasciò la casetta nel bosco.
Il re condusse la bella fanciulla nel suo castello, dove le nozze furono celebrate con gran pompa; ora ella era Sua Maestà la regina, e vissero insieme felici per lungo tempo; il capriolo era ben nutrito e ben curato e ruzzava nel giardino del castello. Ma la cattiva matrigna, per via della quale i bambini se ne erano andati per il mondo, credeva che la sorellina fosse stata sbranata dalle bestie feroci nel bosco e che il fratellino, trasformato in un capriolo, fosse stato ucciso dai cacciatori. Quando sentì che erano felici e che stavano così bene, l'invidia e la gelosia le si destarono in cuore e non le davano pace, e non pensava che al modo di procurar loro un'altra sciagura. La sua figlia vera, che era brutta come la notte e aveva un solo occhio, protestava e diceva: "Diventare una regina! Questa fortuna spettava a me!" - "Sta' tranquilla," disse la vecchia e aggiunse allegramente: "Al momento buono, saprò cosa fare."
E quando venne il momento e la regina diede alla luce un bel maschietto, mentre il re era a caccia, la vecchia strega prese le sembianze della cameriera, entrò nella stanza dove giaceva la regina e disse alla puerpera: "Venite, il bagno è pronto, vi farà bene e vi rinforzerà; presto, prima che diventi freddo." C'era anche sua figlia; insieme trasportarono la regina, debole com'era, nella stanza da bagno, la misero nella vasca e se ne andarono in fretta chiudendo la porta. Ma nella stanza da bagno avevano acceso un fuoco d'inferno, cosicché la bella giovane regina soffocò ben presto.
Ciò fatto, la vecchia prese sua figlia, le mise una cuffia in testa e la pose nel letto al posto della regina. Le diede anche la sua figura e il suo aspetto, ma non poté restituirle l'occhio perduto. Ma perché il re non si accorgesse di nulla, si dovette coricare dalla parte dove le mancava l'occhio. La sera, quando il re ritornò e udì che gli era nato un bambino, fu pieno di gioia e volle recarsi al letto della sua cara moglie per vedere come stava. Subito la vecchia esclamò: "Per carità, lasciate chiuse le cortine: la regina non sopporta ancora la luce e deve riposare!" Il re si ritirò e non sapeva che nel letto c'era una falsa regina.
Ma quando fu mezzanotte e tutto taceva, la bambinaia, che sedeva nella camera del bambino accanto alla culla ed era l'unica a vegliare ancora, vide aprirsi la porta ed entrare la vera regina. Ella tolse il bambino dalla culla, lo prese fra le braccia e lo allattò; poi sprimacciò il suo piccolo cuscino, lo rimise a letto e lo coprì con la piccola coltre. Ma non dimenticò neanche il capriolo, andò nell'angolo dove si trovava e lo accarezzò sul dorso. Poi uscì silenziosamente dalla porta e la bambinaia, la mattina dopo, domandò alle guardie se durante la notte avessero visto qualcuno entrare nel castello; ma esse risposero: "No, non abbiamo visto nessuno."
La regina venne per molte notti, senza dire mai una parola; la bambinaia la vedeva sempre, ma non osava dire nulla a nessuno.
Quando fu trascorso un certo periodo di tempo, una notte la regina incominciò a dire:
"Che cosa fanno nel loro lettino il capriolo e il mio bambino? Ancor due volte fin qui verrò, ma una terza non tornerò."La bambinaia non le rispose, ma quando fu scomparsa andò dal re e gli raccontò tutto. Disse il re: "Mio Dio, che cosa è mai questa! Voglio vegliare accanto a mio figlio la prossima notte." La sera andò nella camera del bambino; a mezzanotte apparve ancora la regina e disse:
"Che cosa fanno nel loro lettino il capriolo e il mio bambino? Ancora una volta fin qui verrò, ma una seconda non tornerò."
E si prese cura del piccino come sempre, prima di sparire. Il re non osò rivolgerle la parola, ma la notte seguente vegliò di nuovo. Ella disse:
"Che cosa fanno nel loro lettino il capriolo e il mio bambino? Per l'ultima volta son giunta quaggiù un'altra volta non torno più."Allora il re non poté più trattenersi, corse a lei e disse: "Tu non puoi essere che la mia cara sposa." Ella rispose: "Sì, sono la tua cara sposa." E in quel momento, per grazia divina, tornò a vivere, fresca, rosea e sana. Poi raccontò al re il crimine commesso dalla strega cattiva e da sua figlia. Il re le fece giudicare entrambe, ed esse furono condannate: la figlia fu condotta nel bosco, dove le bestie feroci la sbranarono non appena la videro; la strega fu invece gettata nel fuoco e dovette bruciare miseramente. E quando fu ridotta in cenere, il piccolo capriolo si trasformò e riacquistò il suo aspetto umano; e sorellina e fratellino vissero felici insieme fino alla morte.