Le più emozionanti poesie sul mare
di Elisabetta RossiSiete alla ricerca di poesie sul mare per celebrare questo suggestivo elemento della natura? Nell'articolo trovate i componimenti più belli dedicati ad esso!
Il mare esercita da sempre un grande fascino negli artisti che ne hanno parlato in componimenti poetici ricchi di suggestioni ed emozioni. Tale elemento della natura è ugualmente amato dalle persone che lo vedono come un luogo in cui rifugiarsi a riflettere o come la cornice più adatta per confessare i propri sentimenti a chi si ama.
Non solo, il mare con il moto perpetuo delle sue onde, il loro infrangersi a riva e contro gli scogli, è spesso usato come metafora del cambiamento, l’unica cosa certa della vita, alla quale nessuno può sottrarsi e che bisogna accettare, sebbene possa spaventare in quanto obbliga ad uscire dalla propria zona di confort per andare incontro a qualcosa di nuovo e di sconosciuto.
Le poesie sul mare sono l’espressione artistica migliore per raccontare la bellezza e l’incanto di un elemento della natura a cui è impossibile restare indifferenti, soprattutto d’inverno, quando nella solitudine del freddo, accompagna con la sua voce chi si siede sulla riva ad ammirarlo, un canto ruvido ma rilassante.
Le più belle poesie sul mare
I poeti hanno saputo narrare il fascino e l’esuberante meraviglia del mare con liriche coinvolgenti e profonde in cui ogni persona riesce a identificarsi, a trovare riflesse nelle parole le proprie sensazioni. Poesie che hanno superato i confini del tempo diventando eterne, come quella di Giovanni Pascoli dove sono descritti gli aspetti principali del mare, quelli che restano più impressi.
M’affaccio alla finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l’onde.
Vedo stelle passare, onde passare:
un guizzo chiama, un palpito risponde.Ecco sospira l’acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d’argento.
Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?
Suggestiva è la lirica tra Terra e mare di Aleksandr Puskin, che evoca immagini di barche e vascelli e del ruggito delle onde.
Quando sull’azzurro dei mari,
Zèfiro soffia la sua brezza
Sulle vele dei fieri vascelliE le barche sull’onde accarezza,
Lasciato il peso dei pensieri,
Nell’inerzia io posso annegare –
Dimentico i canti delle muse,
M’è più caro il mormorio del mare.Ma quando contro la riva l’onde
Schiumose ruggiscono e fremono,E il tuono rimbomba nel cielo,
E i lampi nel buio balenano,
Allora i più ospitali querceti
Io ai mari preferisco;La terra mi sembra più fedele,
E il grave pescatore compatisco:
Vive su una fragile imbarcazione,Trastullo della cieca corrente,
Mentre io nel silenzio sicuro
Ascolto il fruscio d’un torrente.
La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge, descrive l’esperienza di un marinaio incantato dallo spettacolo del mare, dal modo in cui riflette la luce e dalle creature che lo abitano.
La vagante luna ascendeva in cielo
e non si fermava mai:
dolcemente saliva, saliva
in compagnia di una o due stelle –
I suoi raggi illusori davano aspetto di una distesa bianca
brina d’aprile a quel mare putrido e ribollente;ma dove si rifletteva la grande ombra della nave,
l’acqua incantata ardeva
in un monotono e orribile color rosso.Al di là di quell’ombra,
io vedevo i serpi di mare:
si muovevano a gruppi di un lucente candore,
e quando si alzavano a fior d’acqua, la magica luce
si rifrangeva in candidi fiocchi spioventi.Nell’ombra della nave,
guardavo ammirando la ricchezza dei loro colori:
blu, verde-lucidi, nero-vellutati,
si attorcigliavano e nuotavano; e ovunque movessero
era uno scintillio di fuochi d’oro.O felici creature viventi! Nessuna lingua
può esprimere la loro bellezza:
e una sorgente d’amore scaturì dal mio cuore,
e istintivamente li benedissi:
certo il mio buon Santo ebbe allora pietà di me,
e io inconsciamente li benedissi.Nel momento stesso potei pregare;
e allora dal mio collo libero
l’Albatro cadde, e affondò
come piombo nel mare.
Antonia Pozzi, invece, nella sua lirica Amore di lontananza, esprime la magia esercitata su di lei dal mare, visto una sola volta ma mai dimenticato.
Ricordo che, quand’ero nella casa
della mia mamma, in mezzo alla pianura,
avevo una finestra che guardava
sui prati; in fondo, l’argine boscoso
nascondeva il Ticino e, ancor più in fondo,
c’era una striscia scura di colline.Io allora non avevo visto il mare
che una sol volta, ma ne conservavo
un’aspra nostalgia da innamorata.Verso sera fissavo l’orizzonte;
socchiudevo un po’ gli occhi; accarezzavo
i contorni e i colori tra le ciglia:
e la striscia dei colli si spianava,
tremula, azzurra: a me pareva il mare
e mi piaceva più del mare vero.
Un’autentica dichiarazione d’amore verso il mare è la poesia di Edmondo De Amicis, Al mare. Ogni rigo esprime l’entusiasmo e la passione nutrita verso tale elemento della natura.
Salve, o gran mar! Come un eterno aprile
Al canto sempre il riso tuo m’invita
E mi fa ne la carne invigorita
L’onda bollir del sangue giovanile.Salve, adorato mar! Sgomento al vile,
Tripudio al valoroso, all’egro vita,
Mistero immenso, gioventù infinita,
Bellezza formidabile e gentile!T’amo allor che l’immane ira nei liti
Frangi, dei lampi al funeral bagliore,
Amo i tuoi flutti enormi e i tuoi ruggiti;Ma più assai de’ ruggiti il tuo sussurro
Lento e solenne che addormenta il core,
O sterminato cimitero azzurro.
Charles Baudelaire, ne L’uomo e il mare, sostiene come lo specchio d’acqua salata sarà amato in eterno dagli uomini, che lo considerano il riflesso della loro anima.
Uomo libero, amerai sempre il mare!
Il mare è il tuo specchio: contempli la tua anima
Nel volgersi infinito delle sue onde,
E il tuo spirito non è un abisso meno amaro.
Ti piace tuffarti nel seno della tua immagine;L’accarezzi con gli occhi e con le braccia e il tuo cuore
Si distrae a volte dal suo battito
Al rumore di questa distesa indomita e selvaggia.Siete entrambi tenebrosi e discreti:
Uomo, nulla ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi,
O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze
Tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti!E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli
Vi combattete senza pietà né rimorsi,
Talmente amate la carneficina e la morte,
O eterni rivali, o fratelli implacabili!
Marina Ivanovna Cvetaeva, in Spuma di mare, umanizza la spuma del mare, sottolineandone tutte le caratteristiche come quella di essere effimera e leggera.
Chi è fatto di pietra, chi è fatto d’argilla –
Io invece sono fatta d’argento e brillo!
La mia occupazione – è il tradimento, il mio nome – Marina,
io – sono l’effimera spuma del mare.Chi è fatto d’argilla, chi è fatto di carne –
a costoro la bara e le lastre tombali …
-battezzata nella fonte marina – e nel mio
volo continuamente infranta!Attraverso ogni cuore, attraverso ogni rete
batte il mio arbitrio.
Io – vedi questi ricci scomposti? –
non sono fatta del sale della terra.Mi frango sulle vostre granitiche ginocchia
e da ogni onda – risuscito!
Evviva la schiuma – l’allegra schiuma –
l’alta schiuma del mare!
Rabindranath Tagore in La nostra vita naviga su un mare considera l’esistenza umana un qualcosa in perenne agitazione come l’acqua salata.
La nostra vita naviga su un mare
Mai attraversato, le cui onde,
si inseguono l’un l’altra giocando
a un eterno rimpiattino.È il mare agitato del mutamento,
che pascola le sue schiumanti
greggi, e mille volte le disperde,
che batte incessante le sue mani
contro la calma del cielo.Nel centro di questa volteggiante
Danza di guerra di luce e di buio,
amore, tua è quell’isola verde,
dove il sole bacia la ritrosa
ombra della selva ed il silenzio
è corteggiato dal canto di uccelli.
Il mare viene considerato alla stregua di un fratello da Nazim Hikmet nella lirica Arrivederci fratello mare, scritta con parole intense e delicate.
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.
Emily Dickinson, nella lirica seguente, considera il mare, animato dal moto costante delle onde, un simbolo di eternità.
Come se il mare separandosi
svelasse un altro mare,
questo un altro, ed i tre
solo il presagio fossero
d’un infinito di mari
non visitati da rive –
il mare stesso al mare fosse riva-
questo è l’eternità.
Per Constantinos Kavafis, il mare è il luogo dove rievocare alcuni ricordi della sua vita, delle sue esperienze passate.
Che io mi fermi qui; per un’occhiata alla natura anch’io.
Di un cielo sgombro e del mare al mattino
il blu brillante con la gialla riva; tutto
bello, e tutto in piena luce.Che io mi fermi qui. E m’illuda di aver visto
(certo che ho visto, in quell’attimo di sosta);
non vittima anche qui dei miei abbagli
dei miei ricordi dei miei fantasmi di lussuria.
Altrettanto evocativa è la lirica di Cecília Meireles per la quale il mare è la pura ombra di se stesso, pronto ad accogliere la donna solo se si converte ad elemento naturale.
La solidità della terra, monotona,
ci sembra debole illusione.Vogliamo la grande illusione del mare,
moltiplicata nella sua sequela di pericoli.Il mare è solo il mare, sprovvisto di legami,
si annulla e si ricompone,
per diventare dopo la pura ombra di se stesso
vinto da se medesimo. È il suo grande esercizio.Non vuole trascinarmi come i miei avi di un tempo,
né condurmi pian piano,
come i miei padri, dai sereni occhi scuri.Mi accetta solo convertita nella sua natura:
plastica, fluida, disponibile,
identica a lui, in costante soliloquio,
senza esigenze di principio e fine,
indipendente da terra e cielo.
Fernando Pessoa, in Le isole fortunate, ci racconta della voce di terre lontane che grazie al mare portano all’uomo le loro storie.
Quale voce giunge sul suono delle onde
che non è la voce del mare?
È la voce di qualcuno che ci parla,
ma che, se ascoltiamo, tace,
perché si è ascoltato.E solo se, mezzo addormentati,
senza sapere di udire, udiamo,
essa ci dice la speranza
cui, come un bambino
dormiente, dormendo sorridiamo.Sono isole fortunate,
sono terre che non hanno sito,
ove il Re dimora aspettando.Ma, se ci andiamo svegliando,
tace la voce, e c’è solo il mare.
Arturo Graf, in Saluto al mare, scrive un vero e proprio inno alla bellezza e all’incanto del mare.
O mar profondo, o generosa, invitta
Immensità! sempre, fidente e pia,
Quand’è più stanca e di dolor trafitta.
Sempre ritorna a te l’anima mia.O mare, a te, che negli oscuri e vasti
Scoscendimenti ove il tuo gorgo dorme,
I prischi germi e le perplesse formeDi quanto vive e dee morir creasti.
Perchè nell’ombra travedendo il lume
Forse del ver l’antica fantasia,
Nata sognò la genitrice iddia,
La sfavillante iddia dalle tue spume.A te, che tutta la terrestre mole
Cingi e soggioghi, e nel volubil grembo
Specchi l’azzurro sterminato e il nembo
Vertiginoso e il fulvo occhio del sole.
Dal grembo tuo, che mansueto videE sofferse dell’uom la tracotanza,
Un’arcana speranza, una speranza
Imperitura al perituro arride.Ond’ei col vivo imaginar lontane
Patrie vagheggia e sconosciute, dove
Innovati destini e virtù nove,
Più mite il cielo e men conteso il pane.Questa la speme che commise ai venti,
E alla fortuna, di Giason la prua,
Onde eterno il suo nome e della sua
Ventura il grido fra le umane genti.
Questa la speme che drizzò le vele
E resse il cor del Ligure tenace,Quando il gran volo dietro al sol che giace
Spiegò, sordo agli scherni e alle querele.
O mare, o mar! sull’antico dirupo
Io seggo e guardo dal tuo sen fremente
Spuntar le nubi ora veloci or lente,
Volar per l’aria e ricalar nel cupo.O mare, o mar! su’ tuoi flutti spumanti
Veggo le navi sbieche e profilate
Dileguar con le bianche ali spiegate
A mo’ di grandi procellarie erranti.E trasognando penso all’errabondo
Corso de’ fiumi che fan verde e vaga
Senza frutto la terra, e d’ogni plagaVengon tutti a finir nel tuo profondo.
E penso a questa inesorabil sorte
Che mutando non muta, e alle infinite
Che furono e saran misere viteSacre invano al dolor, sacre alla morte.
E mi s’acqueta il cor doglioso, e tace
De’ turbolenti miei pensieri il grido:Torno coi fati e con me stesso in pace
E dello stolto mio dolor sorrido.
In Onda, Gabriele D’annunzio, descrive in modo efficace ed estremamente vivo il movimento delle onde che nascono e si spengono sospinte dal vento.
Nella cala tranquilla
scintilla,
intesto di scaglia
come l’antica
lorica
del catafratto,
il Mare.Sembra trascolorare.
S’argenta? s’oscura?
A un tratto
come colpo dismaglia
l’arme, la forza
del vento l’intacca.Non dura.
Nasce l’onda fiacca,
súbito s’ammorza.Il vento rinforza.
Altra onda nasce,
si perde,
come agnello che pasce
pel verde:
un fiocco di spuma
che balza!Ma il vento riviene,
rincalza, ridonda.
Altra onda s’alza,
nel suo nascimento
più lene
che ventre virginale!Palpita, sale,
si gonfia, s’incurva,
s’alluma, propende.Il dorso ampio splende
come cristallo;
la cima leggiera
s’aruffa
come criniera
nivea di cavallo.Il vento la scavezza.
L’onda si spezza,
precipita nel cavo
del solco sonora;
spumeggia, biancheggia,
s’infiora, odora,
travolge la cuora,
trae l’alga e l’ulva;
s’allunga,
rotola, galoppa;
intoppa
in altra cui ‘l vento
diè tempra diversa;
l’avversa,
l’assalta, la sormonta,
vi si mesce, s’accresce.Di spruzzi, di sprazzi,
di fiocchi, d’iridi
ferve nella risacca;
par che di crisopazzi
scintilli
e di berilli
viridi a sacca.O sua favella!
Sciacqua, sciaborda,
scroscia, schiocca, schianta,
romba, ride, canta,
accorda, discorda,
tutte accoglie e fonde
le dissonanze acute
nelle sue volute
profonde,
libera e bella,
numerosa e folle,
possente e molle,
creatura viva
che gode
del suo mistero
fugace.E per la riva l’ode
la sua sorella scalza
dal passo leggero
e dalle gambe lisce,Aretusa rapace
che rapisce le frutta
ond’ha colmo suo grembo.Súbito le balza
il cor, le raggia
il viso d’oro.Lascia ella il lembo,
s’inclina
al richiamo canoro;
e la selvaggia
rapina,
l’acerbo suo tesoro
oblía nella melode.E anch’ella si gode
come l’onda, l’asciutta
fura, quasi che tutta
la freschezza marina
a nembo
entro le giunga!Musa, cantai la lode
della mia Strofe Lunga.
In Sabbia e spuma, Kahlil Gibran, fa un paragone efficace tra la precarietà della vita, rappresentata dalle orme lasciate sulla sabbia, e l’eternità del mare.
Per sempre camminerò su questi lidi,
Tra la sabbia e la spuma,
L’alta marea cancellerà le mie orme,
E il vento soffierà via la spuma.
Ma il mare e la spiaggia rimarranno
Per sempre.
Walt Whitman, nella poesia Miracoli, racconta di come ogni singolo aspetto della natura, quale il mare, l’alternarsi del giorno e della notte, sia per lui un miracolo.
Perché la gente fa tanto caso ai miracoli?
Per quanto mi riguarda io non conosco altro che miracoli,
sia che passeggi per le vie di Manhattan,
o levi il mio sguardo sopra i tetti, verso il cielo,
o sguazzi coi piedi nudi lungo la spiaggia, proprio sul filo dell’acqua,
o mi fermi sotto gli alberi, nei boschi,
o parli, di giorno, con chi amo, o dorma, di notte, accanto a chi amo,
o sieda a pranzare a un tavolo insieme ad altri,
o getti uno sguardo agli estranei che viaggiano in tram di fronte a me,
o spii le api che nei pomeriggi d’estate si affaccendano intorno all’alveare,
o gli animali al pascolo nei campi,
o gli uccelli, o gli straordinari insetti dell’aria,la meraviglia del tramonto, le stelle che brillano placide e luminose,
o la delicata sottile curva della luna nuova in aprile;
queste cose, e le altre, una e tutte, sono miracoli per me,
a tutto si riferiscono anche se ognuna è distinta dalle altre,
e al suo posto.È un miracolo per me ogni ora di luce e di buio,
è un miracolo ogni centimetro cubo di spazio,
ogni metro della superficie terrestre è impregnato di miracolo,
formicola di miracoli ogni centimetro del sottosuolo.Il mare è per me un miracolo senza fine,
i pesci che nuotano – gli scogli – il moto delle onde –
le navi che portano gli uomini,
quali i miracoli più strani di questi?
Sandro Penna, in Il mare è tutto azzurro, esalta la bellezza assoluta del mare paragonata a un urlo di gioia.
Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E tutto è calmo.
Intensa, suggestiva e coinvolgente è la lirica di Cesare Pavese E sempre vieni dal mare, in cui tra un verso e l’altro accosta il mare a una misteriosa donna.
Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
sempre hai occhi segreti
d’acqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
già sapeva e si serra.Ogni volta è uno strappo,
ogni volta è la morte.
Noi sempre combattemmo.
Chi si risolve all’urto
ha gustato la morte
e la porta nel sangue.Come buoni nemici
che non s’odiano più
noi abbiamo una stessa
voce, una stessa pena
e viviamo affrontati
sotto povero cielo.Tra noi non insidie,
non inutili cose –
combatteremo sempre.Combatteremo ancora,
combatteremo sempre,
perché cerchiamo il sonno
della morte affiancati,
e abbiamo voce roca
fronte bassa e selvaggia
e un identico cielo.
Fummo fatti per questo.Se tu od io cede all’urto,
segue una notte lunga
che non è pace o tregua
e non è morte vera.Tu non sei più. Le braccia
si dibattono invano.
Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.
È forte il sentimento di mancanza e di malinconia verso il mare di cui parla Juan Ramón Jiménez nella lirica Nostalgia del mare.
Quanto dolore,
bellezza!
L’odio accende fuochi di passione
sui fuochi lontani fari, grandi fiori rossi,
delle coste del mare; grida all’erta
di fiamma bianca e verde,
sulle grida di fiamme
dei sogni, che, come nei sogni,
non si sa, in verità, se furono…E sono quelli ancor mal desti
che brutta espressione, che freddo!
contro quelli ancor mal addormentati
che brivido, che espressione ancor più brutta!E la morte si unisce con la vita
inaspettatamente, qua e là, come in bagliori
di cento colori tragici ed acuti;
si unisce con il sogno,
che preferisce morire anziché svegliarsi.Si unisce con il sogno.
Comincia a far giorno rosso e bianco.
Coste che fumano, nel primo sole,
per quelli che vivono ancora!
Alda Merini, con la sua classica intensità, in Mare e Terra descrive lo specchio d’acqua salata come un luogo simbolo di emozioni e pensieri e voglia di fuga.
Mare,
che io domino col pensiero,
mi hai nascosto mille bugie
e tante verità.Un giorno d’aprile
è esplosa un’onda
che avrei voluto baciare,
come un animale
fugge davanti al fuoco,
io sono fuggito da te.Ho lasciato il mare per la terra
e la terra per il mare,
ho lasciato il mare per la terra
e la terra per il mare,
e ho sbagliato tutto,
perché non esistono
né ombre né luci,
ma solo il nostro breve pensiero,
ma solo il nostro bisogno d’amore.
Jacques Brel, nella lirica Conosco delle barche, racconta di vari tipi d’imbarcazioni che diventano, in un significato più profondo, la rappresentazione di uomini che restano immobili, incapaci di fare qualsiasi cosa per paura, e di altri che invece hanno un cuore pronto a sfidare la vita.
Conosco delle barche che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.
Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.
Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.
Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.
Conosco delle barche che si graffiano un po’
sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,
ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.Conosco delle barche
che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.
Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.
Per Arthur Rimbaud, nella lirica seguente, l’eternità è il mare mischiato al sole, nessun’altra cosa gli può far pensare a un’esistenza che duri per sempre.
È ritrovata.
Che cosa? L’eternità.
È il mare mischiato
col sole.Anima sentinella,
mormoriamo la confessione
della notte così nulla
e del giorno infuocato.Dagli umani suffragi,
dagli slanci comuni
là ti liberi
e voli dove vuoi.Poiché soltanto da voi,
o braci di raso,
il dovere si esala
senza che si dica: finalmente.Là, nessuna speranza,
nessun orietur.
Scienza con pazienza,
il supplizio è sicuro.È ritrovata.
Che cosa? L’eternità.
È il mare mischiato
col sole.
Antonio Machado, nella poesia Il mare, descrive quest’elemento della natura nei suoi molteplici aspetti, tra i quali spicca il moto ondoso.
Lo scafo consunto e verdiccio
della vecchia feluca
riposa sul lido…
sembra la vela mozzata
che sogni ancora nel sole e nel mare.Il mare ribolle e canta…
Il mare è un sogno sonoro
sotto il sole d’aprile.Il mare ribolle e ride
con le onde turchine e spume di latte e argento,
il mare ribolle e ride
sotto il cielo turchino.Il mare lattescente,
il mare rutilante,
che risa azzurre ride sulle sue cetre d’argento…Ribolle e ride il mare!
L’aria pare che dorma incantata
nella fulgida nebbia del sole bianchiccio.Palpita il gabbiano nell’aria assopita, e al tardo
sonnolento volare, si spicca e si perde nella foschia del sole.
In Maestrale, Eugenio Montale, uno dei più grandi poeti del Novecento, si identifica con il mare, luogo da lui molto amato.
S'è rifatta la calma
nell'aria: tra gli scogli parlotta la maretta.
Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma
a pena svetta.Una carezza disfiora
la linea del mare e la scompiglia
un attimo, soffio lieve che vi s'infrange e ancora
il cammino ripiglia.Lameggia nella chiarìa
la vasta distesa, s'increspa, indi si spiana beata
e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia
vita turbata.O mio tronco che additi,
in questa ebrietudine tarda,
ogni rinato aspetto co' tuoi raccolti diti
protesi in alto, guarda:sotto l'azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai:ché tutte le cose pare sia scritto:
«più in là».
Anche Antonia Pozzi in Io vengo da mari lontani opera un paragone tra lei e il mare per descrivere aspetti di se stessa.
Io vengo da mari lontani –
io sono una nave sferzata
dai flutti
dai venti –
corrosa dal sole –
macerata
dagli uragani –io vengo da mari lontani
e carica d’innumeri cose
disfatte
di frutti strani
corrotti
di sete vermiglie
spaccate –
stremate
le braccia lucenti dei mozzi
e sradicate le antenne
spente le vele
ammollite le corde
fracidi
gli assi dei ponti –io sono una nave
una nave che porta
in sé l’orma di tutti i tramonti
solcati sofferti –
io sono una nave che cerca
per tutte le rive
un approdo.Risogna la nave ferita
il primissimo porto –
che vale
se sopra la scia
del suo viaggio
ricade
l’ondata sfinita?Oh, il cuore ben sa
la sua scia
ritrovare
dentro tutte le onde!
Oh, il cuore ben sa
ritornare
al suo lido!O tu, lido eterno –
tu, nido
ultimo della mia anima migrante –
o tu, terra –
tu, patria –
tu, radice profonda
del mio cammino sulle acque –
o tu, quiete
della mia errabonda
pena –oh, accoglimi tu
fra i tuoi moli –
tu, porto –
e in te sia il cadere
d’ogni carico morto –
nel tuo grembo il calare
lento dell’ancora –nel tuo cuore il sognare
di una sera velata –
quando per troppa vecchiezza
per troppa stanchezza
naufragherà
nelle tue mute
acque
la greve nave
sfasciata.
Nella lirica Mare e vento, Maria Letizia Del Zompo, narra di come il mare susciti in lei emozioni e ricordi.
Sull’antico legno
Corroso dalla salsedine
Siedo e attendo
Che il mare mi rechi il suo sapore.Anch’esso aspetta il riverbero
Delle mie rimembranze
Mentre si specchia quieto
Nell’azzurro regno dei gabbiani.Lieve gioca il vento con le sue onde,
lo accarezza
da fedele amante
che custodisce fiero
l’impeto delle sue burrasche.
In Febbre del mare di John Masefield, quest’elemento della natura esercita un fascino irresistibile sul poeta, è un richiamo a cui non può dire di no.
Devo tornare sul mare, solitario sotto il cielo,
e chiedo solo un’alta nave e una stella per guidarla,
colpi di timone, canti del vento,
sbuffi della vela bianca,
e bigia foschìa sul volto del mare
e un bigio romper dell’alba.Devo tornare sul mare, ché la chiamata
della marea irruente è una chiara
selvaggia chiamata imperiosa;
e io chiedo soltanto un giorno di vento
con volanti nuvole bianche,
pien di spruzzi e di spuma e di strillanti gabbiani.Devo tornare sul mare, alla vita
di zingaro vagabondo; alla via
delle balene e degli uccelli marini,
dove il vento è una lama tagliente;e io chiedo solo un’allegra canzone
da un compagno ridente e un buon sonno
e un bel sogno
quando la lunga giocata è finita.
Poesie sul mare per bambini
Il mare con le onde, le alghe, i coralli, i pesciolini, è il protagonista assoluto di alcune divertenti e belle poesie per bambini. Questi componimenti sono perfetti per far conoscere ai piccoli l’ambiente marino con tutte le sue caratteristiche e anche per rallegrare i pomeriggi trascorsi in casa durante la stagione fredda.
La prima poesia sul mare per bambini che vi proponiamo è Il girotondo del mare di Voltolini. Ben ritmata, parla del mondo sottomarino.
Girotondo, girotondo!
Dentro il mare,
giù nel fondo,
ci son tanti pesciolini
piccolini, piccolini.Han minuscole casette
fatte d’alghe e di coralli
azzurrini, rosa, gialli.,
e conchiglie per barchette.Guizzan vispi i pesciolini,
scivolando nel lor mondo.
Sembran bimbi birichini
in un grande girotondo.
Kathryn Jackson, invece, nella filastrocca La conchiglia marina, parla del ritrovamento di una conchiglia che se accostata all’orecchio fa ascoltare il rumore del mare.
Ho trovato una conchiglia
e la voglio conservare,
era là, presso la chiglia
d’una barca in riva al mare.Se l’inverno sarà grigio,
sarà freddo, e lungo tanto
io del mare, che prodigio,
potrò sempre udire il canto.Accostando la conchiglia
all’orecchio si può udire,
delle onde,oh meraviglia,
sulla spiaggia il rifluire.
Come suggerisce lo stesso titolo, I giardini del mare di Mario Pucci, descrive il fondale marino ricco di alghe e di tante specie di pesci.
Chi li ha visti i giardini del mare
dove ogni cosa un gioiello pare?
In una luce di seta verdina
un popolo cammina
assorto, silenzioso,
ospite d’un mondo prezioso.C’è un prato d’alghe: lentamente oscilla;
rupe muscosa scintilla:
fra i rami di corolla
guizzano pesci vestiti di giallo,
sogliole d’argento…E le seppie dal passo sonnolento
vanno con le lamprede
in cerca di facili prede;
dagli antri dove dormon le sirene
escon le murene
e la medusa che danzando sciacqua
la veste color d’acqua…Nella luce di seta verdina
così un popolo vive e cammina:
assorto, silenzioso,
ospite d’un mondo prezioso.Più in fondo è il regno del nero
e vi alberga il mistero.
Gentucca, nella filastrocca L’Onda, racconta le onde, il loro moto continuo agitato e spumoso simile a un’allegra danza.
Scherzosa, spumosa, gioconda,
tu mormori e corri, lieve onda,
con mille e poi mille sorelle,
che danzano e ridon fra loro
nel bacio del bel sole d’oro
e sotto la luna e le stelle.Tu fai dondolare la candida
e fragile vela per gioco,
la culli col canto tuo fioco,
pian piano,e intanto la porti lontano,
lontano.Eppoi ti trastulli felice
coi bimbi: li spruzzi, li arruffi
se fra le tue braccia si tuffano;
con loro discorri. Che dice
la voce tua blanda e ridente
in note sì chiare?I bimbi l’intendono:
la viva lor gioia lo sente
che sei come loro gioconda,
scherzosa, serena, live onda
del mare.
Il granchiolino in vacanza di Vivian Lamarque parla della disavventura di un povero granchio che voleva solo concedersi una vacanza.
Viva viva le vacanze!
un promosso granchiolino
passeggiava in su e in giù
sulla spiaggia in costumino.Niente scuola stamattina!
Finalmente potrò farmi
una bella gitarella!Mentre andava beatamente
…zac! un bimbo se lo prende
e lo infila in un secchiello,
poverino poverello.Il sole scotta,
l’acqua manca,
perde il granchiolino ogni speranza:
che bruttissima vacanza!Ma ecco un’onda salvatrice:
il secchiello si rovescia,
fugge fugge il granchiolino
dal temibile bambino.
Diego Valeri ci ha lasciato la bella lirica Mare colore dove narra le continue metamorfosi del mare.
Mare fanciullo insaziato di giuoco,
vecchio mare insaziato di pianto,
tu che sei lampo e fango
e cielo e sangue e fuoco,
oggi hai lasciato alle lente rive
orgoglio e forza, gaiezza e dolore:
oggi non sei che colore,
un bel colore che vive.
Sulla spiaggia di Marzia Cabano è una simpatica filastrocca in cui viene descritta una giornata sulla spiaggia di una mamma con le sue figlie.
Sulla spiaggia per conchiglie
va la mamma, van le figlie,
per vetrini colorati
vanno quelli un po’ fissati
di trovar tra questo e quello,
una pietra per l’anello!Cerca cerca tra i granelli,
cerca lui con i fratelli,
cerca lei con le sorelle
sassolini e cose belle!
La filastrocca Tre barchettine di Enriquez racconta di tre barchette che navigano nel mare sospinte dal vento.
Tre barchettine vagano sul mare;
le cullan l’onde, le sospinge il vento.
Il sole d’oro sta per tramontare
e appar nel cielo la. luna d’argento.Tre barchettine vagano sul mare.
Gonfia, gonfia le vele, o venticello! …
Mormoran l’onde e canta il pescatore;«Fammi tornare dal mio bimbo bello,
fammi tornare dal mio dolce amore!»
Gonfia, gonfia le vele, o venticello!
Il faro di Ugo Ghiron è la storia di un faro, di come espande la sua luce nel mare frastagliando la notte.
Sta tutta la notte a spiare
lontano sul mare,
pupilla di fuoco
che fisa nel buio sfavilla.Si spegne,
s’accende;
ancora si spegne,
più viva risplende.E il mare che giù
rimormora roco
od ulula fiero,
par dirgli crucciato e severo:“Che vuoi,
che cerchi, grand’occhio di fuoco?”.E il faro sfavilla,
né all’onde
risponde.Ma parla soave,
col fido suo raggio,
a più d’una nave
lontana, sul mare in viaggio.E quando più nera
infuria sul mar la bufera,
con quella sua muta,
lucente parola
che dice: “Coraggio! Son qua!”.
Bacino Marino di Jolanda Restano narra del bacio romantico tra due cavallucci marini e del desiderio di una ragazza di essere baciata a sua volta da chi le ha rubato il cuore.
Cavallucci in fondo al mare:
anche loro sanno amare
e si scambiano un bacino
nell’ambiente blu marino.E si scambiano un baciotto
sotto l’ombra di un canotto
poi si scambiano un bacione
mentre affonda un galeone.E io che cosa devo fare
per convincerti a baciare
le mie guance rubiconde?
Anch’io andare tra le onde?