25 intense poesie sulla notte

di Elisabetta Rossi

Scrittori di ogni epoca ci hanno lasciato splendide poesie sulla notte. Nell'articolo abbiamo raccolto le più belle.

Indice

Quando il giorno termina e lascia spazio alla notte, alle sue ombre e alla luce delle stelle, si dà finalmente spazio al riposo fisico per recuperare le energie spese durante i vari impegni del quotidiano.

L’oscurità però è anche l’occasione per raccogliere le idee nel silenzio che avvolge case e città, per riflettere su se stessi e su ciò che è accaduto d’importante, per entrare in contatto con le proprie inquietudini e cercare in qualche modo di riappacificarsi con esse.

La notte esercita dunque un grande fascino non solo sulle persone ma anche e soprattutto sugli scrittori. Ogni epoca infatti è ricca di poesie sulla notte nelle quali vengono affrontate le tematiche più diverse, come quelle sentimentali, in cui le tenebre favoriscono l’intimità degli amanti e quel cercarsi e mancarsi mentre ci si perde ad ammirare il cielo inondato di stelle. Altri componimenti ci ricordano invece che siamo parte di un tutto, elementi della natura esattamente come le piante e gli animali.

Queste poesie sulla notte possono quindi diventare la voce dei nostri pensieri più intimi, delle paure che ci attanagliano o del più accecante desiderio nutrito per qualcuno. Volendo possono anche essere usate per fare una dedica della buonanotte al partner o a un amico al fine di accompagnarli tra le braccia di Morfeo nella consapevolezza di non essere soli, di avere qualcuno che li ama.

Le più belle poesie sulla notte

La notte piena di segreti e di storie da raccontare, viene narrata da poeti di ogni tempo nelle più diverse maniere, tutte ugualmente intense e coinvolgimenti e in grado di portare in superficie i sentimenti più estremi, quelli che consumano l’anima.

Ad esempio Cesare Pavese, un maestro nel narrare le pene e la disperazione sua e degli uomini, ha scritto una meravigliosa poesia sulla notte nella quale dà voce al profondo dolore provato per non essere corrisposto dal suo ultimo e triste amore. Quello nutrito per Constance Dowling.

Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange muta,
dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia –
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e t’implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.

La notte soffre e anela l’alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c’è chi come te attende l’alba
scrutando il tuo viso in silenzio.

Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l’alba.

Ugualmente travolgente è la lirica di Pablo Neruda dedicata a una notte la cui immensità, gli ricorda l’assenza della donna amata ma perduta.

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Scrivere, per esempio: “La notte è stellata,
e tremano, azzurri, gli astri in lontananza”.
E il vento della notte gira nel cielo e canta.

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Io l’ho amata e a volte anche lei mi amava.
In notti come questa l’ho tenuta tra le braccia.
L’ho baciata tante volte sotto il cielo infinito.
Lei mi ha amato e a volte anch’io l’amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Pensare che non l’ho più.
Sentire che l’ho persa.
Sentire la notte immensa,
ancor più immensa senza di lei.

Gabriele D’Annunzio, in O falce di luna calante, ci regala una descrizione estremamente evocativa della notte. Tra le varie strofe si avverte l’influenza del panismo, ossia della fusione tra l’uomo e la natura che tanto spazio avrà nei futuri componimenti del poeta.

O falce di luna calante
che brilli sull’acque deserte,
o falce d’argento, qual messe di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

Aneliti brevi di foglie,
sospiri di fiori dal bosco
esalano al mare: non canto non grido
non suono pe ‘l vasto silenzio va.

Oppresso d’amor, di piacere,
il popol de’ vivi s’addorme…
O falce calante, qual messe di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

Herman Hesse, nella lirica Canzone d’amore, porta in superficie il ricordo di una donna amata stimolato dall’avvento dell’oscurità.

Per dire cos’hai fatto
di me, non ho parole.
Cerco solo la notte
fuggo davanti al sole.

La notte mi par d’oro
più di ogni sole al mondo,
sogno allora una bella
donna dal capo biondo.

Sogno le dolci cose,
che il tuo sguardo annunciava,
remoto paradiso
di canti risuonava.

Guarda a lungo la notte
e una nube veloce
per dire cos’hai fatto
di me, non ho la voce.

Peppino Impastato, noto giornalista e attivista italiano, assassinato nel 1978, ci ha lasciato una splendida lirica sulla notte pregna di malinconia.

Lunga è la notte
e senza tempo.
Il cielo gonfio di pioggia
non consente agli occhi
di vedere le stelle.
Non sarà il gelido vento
a riportare la luce,
né il canto del gallo,
né il pianto di un bimbo.
Troppo lunga è la notte,
senza tempo,
infinita.

Notturno, di Antonia Pozzi, è una poesia della notte dove con immagini ricche di suggestioni viene descritto l’arrivo dell’oscurità.

Curva tu suoni
ed il tuo canto è un albero d’argento
nel silenzio oscuro.

Limpido nasce dal tuo labbro – il profilo
delle vette – nel buio – .
Muoiono le tue note
come gocce assorbite dalla terra.

Le nebbie sopra gli abissi
percorse dal vento
sollevano il suono spento
nel cielo.

Alda Merini, con la sua classica intensità, racconta l’approssimarsi delle tenebre con immagini suggestive in cui pone in evidenza come la notte porti l’anima a lanciarsi in intrepide avventure non appena svaniscono le paure del giorno.

La cosa più superba è la Notte,
quando cadono gli ultimi spaventi
e l’anima si getta all’avventura.
Lui tace nel tuo grembo
come riassorbito dal sangue,
che finalmente si colora di Dio
e tu preghi che taccia per sempre,
per non sentirlo come rigoglio fisso
fin dentro le pareti.

Federico García Lorca, come suggerisce lo stesso titolo del componimento, Quando spunta la luna, narra il momento in cui il giorno muore e al suo posto nasce la notte.

Quando spunta la luna
tacciono le campane
e i sentieri sembrano
impenetrabili

Quando spunta la luna
il mare copre la terra
e il cuore diventa
isola nell’infinito

Nessuno mangia arance
sotto la luna piena
Bisogna mangiare
frutta verde e gelata

Quando spunta la luna
dai cento volti uguali,
la moneta d’argento
singhiozza nel taschino.

In Cade la notte di Forough Farrokhzad, l’oscurità diventa emblema della solitudine dei cuori, di un silenzio penetrante rotto solo dai respiri e dall’acqua che goccia dal rubinetto.

Cade la notte
E dopo la notte, il buio
E dopo il buio
Gli occhi
Le mani
I respiri, i respiri…

E il rumore dell’acqua
Che gocciola dal rubinetto
Dopo due punti rossi
Due sigarette accese
Il tic-tac dell’orologio

Due cuori
E due solitudini.

La poesia Notte di Ada Negri è una seducente descrizione delle tenebre in cui prevalgono immagini naturalistiche, come quelle delle gardenie dai petali socchiusi, bagnate di rugiada.

Sul giardino fantastico
Profumato di rosa
La carezza dell’ombra
Posa.

Pure ha un pensiero e un palpito
La quiete suprema;
L’aria, come per brivido,
Trema.

La luttuosa tenebra
Una storia di morte
Racconta a le cardenie
Smorte?

Forse—perché una pioggia
Di soavi rugiade
Entro i socchiusi petali
Cade. –

…. Su l’ascose miserie,
Su l’ebbrezze perdute,
Sui muti sogni e l’ansie

Mute,
Su le fugaci gioie
Che il disinganno infrange,

La notte le sue lagrime
Piange.

Kahlil Gibran, celebre poeta libanese, nella lirica La notte è silenziosa fonde insieme l’amore e il creato, un sentimento di profonda spiritualità, caratteristico dei suoi componimenti più famosi.

La notte è silenziosa
e nell’abito del suo silenzio
si nascondono i sogni.

La Luna è spuntata
e per la Luna occhi
che controllano i giorni.

O figlia dei campi,
vieni per visitare
la vigna degli innamorati.

Può darsi che spegneremo
con quel nettare
la scottatura degli amori;
ascolta l’usignolo
dei prati fioriti,
che diffonde la sua musica,
in uno spazio immenso nel quale
le colline hanno soffiato
gli odori dei loro fiori!

O mia giovane, non temere
poiché le alte stelle
serbano i misteri
e la nebbia della notte
in quella vigna ferace vela i suoi segreti;

non temere la strega, essa dorme ubriaca
nella sua taverna magica
e il Re dei Ginn
se passerà andrà via
poiché l’amore lo incanta.

Egli è innamorato come me,
come potrà svelare
i segreti del suo cuore?

Ugo Foscolo, invece, nella lirica Alla sera, dà spazio, attraverso immagini notturne, al sentimento della morte, visto come un momento che porterà all’anima quiete e riposo.

Forse perché della fatal quïete
tu sei l’imago a me sì cara vieni
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre e lunghe all’universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

Nazim Hikmet, in Nelle mie braccia tutta nuda, ci trasporta nel cuore di una notte vissuta in intimità con la donna amata.

Nelle mie braccia tutta nuda
la città la sera e tu
il tuo chiarore l’odore dei tuoi capelli
si riflettono sul mio viso.

Di chi è questo cuore che batte
più forte delle voci e dell’ansito?
È tuo è della città è della notte
o forse è il mio cuore che batte forte?

Dove finisce la notte
dove comincia la città?
Dove finisce la città dove cominci tu?
Dove comincio e finisco io stesso?

Fernando Pessoa in Ode alla notte, parte prima, dà spazio a suggestive e coinvolgenti immagini notturne che ben rappresentano la fine del giorno.

Vieni, Notte antichissima e identica,
Notte Regina nata detronizzata,
Notte internamente uguale al silenzio,
Notte con le stelle, lustrini rapidi
sul tuo vestito frangiato di Infinito.

Vieni vagamente, vieni lievemente,
vieni sola, solenne, con le mani cadute
lungo i fianchi, vieni e porta i lontani
monti a ridosso degli alberi vicini,
fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
cancella in essa tutte le differenze che vedo
da lontano di giorno,

tutte la strade che la salgono,
tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,
tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
e lascia solo una luce,
un’altra luce e un’altra ancora,
nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
nella distanza subitamente impossibile da percorrere.

Anne Sexton, scrittrice statunitense scomparsa nel 1974, ha raccontato la notte come l’attimo migliore per morire, per abbandonare la vita terrena.

La città non esiste
se non dove un albero dai capelli
neri scivola via, come una donna
annegata nel cielo caldo. Tace,
la città. Bolle la notte, con dieci
e una stella. Oh notte stellata,
stellata notte! È così che voglio
morire.

Si muove. Sono tutti quanti vivi.
Quando la luna rompe le catene
arancioni che la legano e spruzza
bambini dai suoi occhi, come un dio,
il vecchio serpente, senza esser visto
divora le stelle. Oh stellata notte,
notte stellata! È così che voglio
morire:

in questa strisciante bestia notturna,
risucchiata tutta dentro nel grande
drago, separata
dalla mia vita senza una bandiera,
senza pancia
né grido.

In L’ora nostra di Umberto Saba, la notte diventa il migliore momento del giorno per cogliere tutta la bellezza del mondo e gli spettacoli offerti dalla natura.

Sai un’ora del giorno che più bella
sia della sera? tanto
più bella e meno amata? È quella
che di poco i suoi sacri ozi precede;
l’ora che intensa è l’opera, e si vede
la gente mareggiare nelle strade;
sulle mole quadrate delle case
una luna sfumata, una che appena
discerni nell’aria serena.

È l’ora che lasciavi la campagna
per goderti la tua cara città,
dal golfo luminoso alla montagna
varia d’aspetti in sua bella unità;
l’ora che la mia vita in piena va
come un fiume al suo mare;
e il mio pensiero, il lesto camminare
della folla, gli artieri in cima all’alta
scala, il fanciullo che correndo salta
sul carro fragoroso, tutto appare
fermo nell’atto, tutto questo andare
ha una parvenza d’immobilità.

È l’ora grande, l’ora che accompagna
meglio la nostra vendemmiante età.

In segreto di notte, Else Lasker-Schüler racconta l’incontro intimo tra due amanti e la travolgente intensità del sentimento d’amore.

Io t’ho prescelto fra tutte le stelle.
E sono sveglia – fiore
attento,
fra il canto basso del fogliame.

Le nostre labbra per cercare miele,
le nostre notti lucenti sbocciate.
Alla luce gloriosa del tuo corpo
il mio cuore accende i cieli.

Tutti i miei sogni pendono al tuo oro.
Io t’ho prescelto fra tutte le stelle.

Rabindranath Tagore in Al chiar di luna, prega la notte di aiutarlo a liberarsi dalle sue brucianti preoccupazioni, dalle pene che affliggono il suo cuore.

Calma, calma questo cuore agitato,
tu, notte tranquilla di luna piena.
Troppe gravi preoccupazioni,
più e più volte
gravano sul mio cuore.

Versa tenere lacrime
Sopra brucianti pene.
Con i tuoi raggi argentati,
portatori di sogno e di magia,
morbidi come petali di loto,

o notte, vieni, accarezza
tutto il mio essere
e fammi dimenticare
tutte le mie pene.

Salvatore Quasimodo, in I soldati piangono di notte, descrive gli ultimi momenti di vita dei soldati caduti in guerra che versano lacrime avvolti dall’oscurità, prima di esalare l’ultimo respiro.

Né la Croce né l’infanzia bastano,
il martello del Golgota, l’angelica
memoria a schiantare la guerra.

I soldati piangono di notte
prima di morire, sono forti, cadono
ai piedi di parole imparate
sotto le armi della vita.

Numeri amanti, soldati,
anonimi scrosci di lacrime.

Robert Frost, in Conoscenza della notte, racconta con immagini coinvolgenti come lui conosca bene ogni aspetto della fine del giorno. Dagli antri più luminosi a quelli più tetri.

Io sono uno che ben conosce la notte.
Ho fatto nella pioggia la strada avanti e indietro.
Ho oltrepassato l’ultima luce della città.
Sono andato a frugare nel vicolo più tetro.
Ho incontrato la guardia nel suo giro
Ed ho abbassato gli occhi, per non spiegare.

Ho trattenuto il passo e il mio respiro
Quando da molto lontano un grido strozzato
Giungeva oltre le case da un’altra strada,
Ma non per richiamarmi o dirmi un commiato;

E ancora più lontano, a un’incredibile altezza,
Nel cielo un orologio illuminato
Proclamava che il tempo non era né giusto, né errato.
Io sono uno che ben conosce la notte.

Anna Achmatova nella lirica Quella notte fummo pazzi uno dell’altra, narra il fugace e trepidante incontro di due amanti. Un incrocio d’anime mai dimenticato.

Quella notte fummo pazzi uno dell’altra;
ci era lume la tenebra ferale,
assorti mormoravano i canali
e d’Asia odoravano i garofani.

Andavamo attraverso la città forestiera
nel canto velato e l’afa di mezzanotte,
soli sotto le stelle del Serpente
senza osare scambiarci uno sguardo.

Poteva essere il Cairo o anche Bagdad,
non la mia spettrale Leningrado –
e questo divario amaro soffocava
come la luttuosa atmosfera.

Forse accanto ci camminavano i secoli,
una mano invisibile batteva il tamburello:
i suoni, come segni arcani,
ci volteggiavano innanzi nel buio.

Così camminammo nella tenebra segreta
come in una terra di nessuno;
e ad un tratto la luna – feluca adamantina –
rischiarò l’incontro che fu commiato.

Se un giorno quella notte ritornerà da te
non scacciarla come maledetta
e sappi che qualcuno
vide nel sogno quel momento sacro.

Ne Il gelsomino Notturno, Giovanni Pascoli racconta la prima notte di nozze di due novelli sposi che porterà alla nascita di una nuova vita.

E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso ai miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.

Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.

Per tutta la notte s’esala
l’odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s’è spento…

È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.

In Nostalgia, Giuseppe Ungaretti ricorda l’incontro casuale con una ragazza a Parigi che lo allontana, seppur solo per un breve momento, dagli orrori della guerra.

Quando
la notte è a svanire
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno passa

Su Parigi s'addensa
un oscuro colore
di pianto

In un canto
di ponte
contemplo
l'illimitato silenzio
di una ragazza
tenue

Le nostre
malattie
si fondono

E come portati via
si rimane.

In Invictus di William Ernest Henley, la notte diventa un modo per rappresentare la forza interiore del poeta, la sua capacità di decidere del suo destino nonostante la vita lo sottoponga a dure prove.

Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come un pozzo che va da un polo all’altro,
ringrazio qualunque dio esista
per l’indomabile anima mia.

Nella feroce stretta delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo d’ira e di lacrime
si profila il solo Orrore delle ombre,
e ancora la minaccia degli anni
mi trova e mi troverà senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

In Rose nella nottedi Pierre Louÿs, le tenebre sono descritte con immagini naturalistiche estremamente coinvolgenti, culminanti nella figura di un cespuglio di rose misteriose ma dal profumo inebriante.

Quando la notte sale al cielo, il mondo
è nostro e degli dei. Dai campi alla sorgente,
dai boschi scuri alle radure andiamo
seguendo i piedi nudi.

Alle piccole ombre che noi siamo
basta la luce delle piccole stelle.
Talvolta, sotto i rami bassi, troviamo
cerve addormentate.

Ma nella notte più bella di ogni cosa
c’è un luogo che noi soli conosciamo,
e ci attira al di là della foresta:
un cespuglio di rose misteriose.

Niente al mondo è divino come
il profumo delle rose di notte. Perché
quando ero sola non ne venivo
inebriata?