Roberto Vecchioni

Il teatro: inventare l’uomo e metterlo su un palcoscenico.

Io sono un uomo: altro non c'è, non contano né il viaggio né gli incontri, non contano la tempesta e il sole, non contano i giorni, le ore; non conta nemmeno il senso delle cose, che brilla o si spegne. Io sono un uomo e basta: al di là e oltre, con o senza tutto questo.

Così è la disperazione, come una preghiera senza destinatario.

Il cuore si abitua a ogni cosa, perché non esiste la felicità assoluta e se ne possiamo avere un quarto, una metà soltanto, quella metà, quel quarto sono un tutto.

Gli uomini son come il mare: l'azzurro capovolto che riflette il cielo; sognano di navigare, ma non è vero.

Nel disordinato ordine in cui si presentano i colori, o c’è una trama che l’anima sa leggere o c’è il nulla.

Erano tempi erano bei tempi erano tempi di parole che correvano da sole ed era veramente amore.

Questa maledetta notte dovrà pur finire perché la riempiremo noi da qui di musica e di parole.

Io sono là, dove è sempre stato l’uomo, viaggiatore vincente del suo dolore, nel teatro dove non recita, ma vive le parole.

Ho paura della fine non ho più voglia di un inizio; ho paura che gli altri pensino a questo amore come a un vizio.

Non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro, senza rimpiangere e senza piangere.

La misura dell’amore sta nella sua costanza, nella sua lentezza.

Bellezza è questo vestito che ti senti cucito addosso, soffice, caldo, indistruttibile, fra tanti altri che mancano sempre di qualcosa.

Parigi è vicina, è una stella nella sera dove fuggono i ricordi di una notte scura e vanno via.

Mi sentirò morire dovendo immaginare con chi sei.

L’Inter è spiritualità, è un modo di vivere, di essere. Un’avventura storica straordinaria: sconfitte, vittorie di Pirro, casualità, è sempre un sabato del villaggio. L’interista è programmato geneticamente alla sconfitta, noi la vittoria non sappiamo come gestirla.