Sylvia Plath

Quando dai a qualcuno tutto il tuo cuore e lui non lo vuole, non puoi riprenderlo indietro. Se ne è andato per sempre.

C’è un prezzo da pagare per spiare le mie cicatrici, c’è un prezzo, per auscultare il mio cuore – eh sì, batte.

Se la luna sorridesse, somiglierebbe a te. Tu fai lo stesso effetto di qualcosa di bello, ma annientante.

Gli avevo detto che credevo nell'inferno, e che certe persone, io per esempio, erano condannate a vivere all'inferno durante la vita, per compensare il fatto di non andarci dopo morte, visto che non credevano nell'aldilà, e che dopo la morte a ciascuno succede quello in cui aveva creduto.

E quando finalmente trovi qualcuno su cui senti di poter riversare la tua anima, ti blocchi sconvolta dalle tue stesse parole: le hai tenute in quella piccola stretta oscurità dentro di te così a lungo, che sono arrugginite, brutte, banali, fiacche.

Che cosa ho mangiato? Bugie e sorrisi.

È terribile voler andarsene e non voler andare da nessuna parte.

Io, amore, io sono una pura vergine d’acetilene con una scorta di rose.

Le carezze sui graffi si sentono di più.

Ci sono amori senza paradiso.

Incontrarsi. Sfiorarsi. Ma non è possibile dipanare il groviglio delle nostre vite, inventarne un’altra solo per noi due.

Voglio essere una cicatrice di parole.

“Disarmato” era l’unica parola che poteva descrivere il mio cuore mentre era accanto al suo.

Non sono un'ombra, benché un'ombra si allunghi dai miei piedi. Sono una moglie.

È come se la mia vita fosse misteriosamente percorsa da due correnti elettriche: gioiosa positiva e disperata negativa – e quella che passa al momento mi domina, m’inonda.

È meglio che ogni fibra si spezzi e vinca la furia.

Ho bisogno di un flusso di vita, non di questa folata di favole.

Dovunque mi fossi trovata, sul ponte di una nave o in un caffè di Parigi o a Bangkok, sarei stata sotto la stessa campana di vetro, a respirare la mia aria mefitica.

Io sarò una donna che sorride. Non ho che trent’anni. E come il gatto ho nove vite da morire.

Sono abitata da un grido. Di notte esce svolazzando in cerca, con i suoi uncini, di qualcosa da amare.