Il tatuatore di Auschwitz: recensione della storia vera raccontata da Heather Morris
di Chiara PoliIl tatuatore di Auschwitz è una storia vera. La storia di un uomo che si fa deportare volontariamente ad Auschwitz per salvare la sua famiglia e si fa una promessa: sopravvivrà. A qualsiasi costo.
Quando avrete finito di leggere questo libro, la vostra vita non sarà più la stessa.
Perché Il tatuatore di Auschwitz è una storia vera.
La storia di un amore più forte della paura. La storia di una voglia di vivere più potente dei nazisti. La storia di una generazione che ha dovuto fare ciò che era necessario per sopravvivere… E arrivare fino a noi. Resistendo a tutto, per raggiungerci con il suo racconto terrificante e insegnarci il valore della libertà, della forza di volontà e di una promessa per la vita.
Il tatuatore di Auschwitz: la trama
Ogni nuovo prigioniero, all’arrivo ad Auschwitz, deve prima di tutto essere sottoposto allo stesso crudele rituale: deve essere tatuato.
Sul suo braccio deve essere impresso in modo indelebile un numero.
Perché ad Auschwitz-Birkenau le persone non esistono più. Le persone sono forza lavoro, giocattoli per i sadici, sfogo di una follia di massa.
Le persone diventano numeri.
Ma Lale, deportato volontario per salvare la sua famiglia, ha fatto una promessa a se stesso: sopravvivrà, a qualsiasi costo. E così, quando gli viene offerta l’occasione di diventare lui il tatuatore, l’uomo che trasforma le persone in numeri, la coglie.
Sarà la sua guardia nazista a fargli conoscere Gita, la ragazza che diventerà la sua ragione di vita.
L’incredibile storia vera di Lale e Gita vi precipiterà nell’inferno di una fabbrica di morte, ma vi restituirà anche speranza grazie all’amore. Un amore più forte della guerra, dell’odio, della crudeltà.
Un amore che non potrete mai dimenticare.
Il tatuatore di Auschwitz: una storia vera
Le note dell’autrice, che ci racconta del suo primo incontro con Lale Sokolov, arrivano alla fine. Dopo che abbiamo conosciuto Lale e Gita, che abbiamo conosciuto la loro storia, che abbiamo guardato l’inferno attraverso i loro occhi.
L’irruzione della realtà, con le lunghe interviste della Morris a un uomo desideroso di raccontare la propria storia per rendere omaggio al grande amore della sua vita, e che in vita in qualche modo l’ha tenuto. L’ha fatto restare vivo, mantenendo fede alla propria promessa.
La storia vera di Lale Eisenberg, che nella Slovacchia liberata sceglie il cognome russo del cognato perché essere ebreo è ancora un marchio, è la storia di una vita intera da prigioniero.
Poco importa se a togliergli la libertà siano prima i tedeschi e poi i russi: Lale Eisenberg ha vissuto una parte della sua vita da prigioniero, ma è riuscito a restare libero. Sempre. A pensare liberamente, a ragionare lucidamente, a calcolare il modo migliore per restare in vita prima, per fuggire poi. Lale Eisenberg ha vissuto da prigioniero, ma è diventato il simbolo stesso della libertà. Anche se era lui a imprimere quei numeri inconfondibili sulle braccia di uomini, donne e bambini.
Lale SokolovA me è stata data la possibilità di partecipare alla distruzione del nostro popolo, e ho accettato di farlo per sopravvivere. Posso solo sperare che un giorno non verrò giudicato come un esecutore o un collaborazionista.
Il tatuatore di Auschwitz: il terrore di essere giudicati
Lale Sokolov aveva il terrore di essere giudicato, di essere considerato un collaborazionista, di essere considerato un alleato del nemico che ha segnato la sua intera esistenza. Come molti altri, Lale ha fatto tutto ciò che riteneva di dover fare per restare vivo. Come si può giudicarlo? Come possiamo pensare che fosse dalla parte di uomini che, di umano, non avevano più nulla?
Per qualcuno, scoprire che a imprimere in modo indelebile sulla pelle degli innocenti quei numeri drammaticamente famosi era uno di loro, un ebreo prigioniero ad Auschwitz, sarà incredibile.
Per altri risulterà ovvio: i tedeschi non avrebbero mai impiegato delle risorse per un compito tanto banale e privo di valore, quando potevano far lavorare gli altri. Del resto, avevano scritto a lettere giganti fuori dal campo Arbeit machts frei: il lavoro rende liberi. E loro, liberi, certamente non erano. I nazisti erano complici, sostenitori o schiavi - alla fine, poco cambia, avendo obbedito agli ordini - di un sistema ossessionato dalla burocrazia, dal conteggio, dalla trascrizione, dalla documentazione. Salvo, poi, cercare di distruggere quella documentazione all’arrivo dei russi. Perché i nazisti, poco ma sicuro, sapevano cosa stavano facendo. Lo sapevano benissimo.
A rifiutarsi di sapere, semmai, erano i tedeschi e gli altri popoli fuori dai campi. Non volevano credere alle voci sui campi di concentramento perché era più facile non farlo. Non potevano e non volevano accettare che lo sterminio pianificato, organizzato e documentato di milioni di uomini, donne e bambini fosse reale.
Noi, invece, dobbiamo continuare ad accettarlo. Dobbiamo continuare a ricordare. A imparare. A piangere. Ad ascoltare le storia come quella di Lale Sokolov. Perché le nostre lacrime e il nostro orrore non sono nulla, di fronte al dramma di milioni di vite spezzate o trasformate dal più spaventoso orrore che gli uomini abbiamo trasformato in realtà.
Il tatuatore di Auschwitz vi farà piangere. Vi sconvolgerà. Vi indignerà. Ma vi renderà anche consapevoli che l’unico modo per opporsi all’orrore è ricordarlo. Conoscerlo. Viverlo attraverso le voci dei sopravvissuti come Lale Sokolov.
Il tatuatore di Auschwitz è una storia vera. La prova che, a volte, l'amore è più forte di tutto. Perfino della guerra, dell'odio, dell'orrore più atroce. E cambierà le vostre vite, per sempre...